ZOLA, UN ATEO IN VATICANO
ZOLA, UN ATEO IN VATICANO ZOLA, UN ATEO IN VATICANO Una oscura missione romana gurato si trova a Roma, ospite di un antico palazzo in via Giulia. Ha chiesto - mi raccomando, l'informazione è riservata - di incontrare Leone XIII. Il Papa tuttavia, credi a Cartocci, non lo riceverà. Sai che cosa pretende Froment?». Le labbra dell'anziano prete hanno tremato di sdegno prima di pronunciare la conclusione del discorso: «Quel folle, plagiato da Zola, vorrebbe che la Chiesa di Roma, la nostra Chiesa, si riavvicinasse a non so quali tradizioni di povertà. E mi si dice che Froment parli più da socialista che da cristiano. E aspira, proprio come il suo burattinaio parigino, a portare la politica sugli altari!». Alle 9, stamane, ero in via Giulia. Il salone, dove sono stato introdotto, affaccia sul Tevere e guarda il Gianicolo. Che spettacolo impagabile! Dopo la breve pioggia di ieri, Roma si presenta adesso semivelata da una nebbia d'oro. Appena un tono sotto dell'altro, di quello della nebbia, è l'oro delle foglie che ricoprono ancora il colle, su verso la quercia del Tasso. Mentre in basso scorre biondo e pigro il fiume. Osservavo tanta meraviglia in attesa dell'abate quando m'è giunto il rintocco d'una campana. forse quella di San Pietro in Montorio. «Nessuno, qualunque possa essere il prezzo da pagare, dovrà mai poter mutare Roma e imporsi sulle tradizioni che la fanno eterna», mi sono detto allora con un trasporto quasi rabbioso. Proprio in quello una voce giovane e orgogliosa è risuonata alle mie spalle. Voltandomi di scatto, mi sono trovato davanti l'abate Pierre Froment. Mi aspettavo, lo confesso, un contadino francese, un soldato di Giovanna d'Arco nerboruto e dal volto duro. L'uomo, che mi aveva appena salutato, era viceversa alto, elegante nell'abito talare. Solo i suoi occhi accesi, le sue guance appena un po' risucchiate all'interno rivelavano il mistico, l'uomo che spende nella preghiera e nell'apostolato energie febbrili. «Devo ringraziare i Boccanera della loro ospitalità», mi ha detto subito Froment, accompagnando alle parole un gesto largo della mano come a indicare un lusso e una grandiosità che non gli appartenevano. L'ho capito in quel momento, l'abate sarebbe stato un osso molto duro. La sua cortesia, la sua umiltà non concedevano nulla a quell'impaurita volontà di collaborare, che rende loquaci gli interlocutori degli sbirri come me. E ci sono volute infatti quasi due ore di domande, di interruzioni sgarbate, di interrogativi ripetuti a distanza di pochi minuti per ottenere finalmente qualche informazione. Il quadro, che è emerso dal colloquio, non mi sembra tranquillizzante. Pierre Froment considera l'ateo Zola un giusto che lotta per il bene e un giorno forse incontrerà la fede! Mi ha impressionato sentir dire all'abate: «Vivendo nelle pagine di Emile, prima o poi riuscirò a convertirlo!». Questo è fanatismo, peggio, follia! Quanto alla sua presenza a Roma, Froment la spiega in modo molto sospetto. Starebbe raccogliendo notizie sulla vita del popolino, sulle idee della gente. Fatto sta che gira, va, interroga, prende appunti sui quartieri in costruzione ma anche sulla condizione del clero, sui rapporti dei preti con la nobiltà. Lo scopo? A sentire l'interessato si tratterebbe di una collaborazione letteraria. Gli appunti raccolti dall'abate verrebbero poi utilizzati da Zc]n, che intende scrivere un romanzo sulla nostra città. La mia opinione? Non scherziamo! Si tratta di un alibi, di una copertura. In realtà, Froment è un agente straniero, che complotta contro la Triplice Alleanza. A qualcuno non vanno giù i nostri buoni rapporti con Austria e Germania! Che cosa suggerisco? L'unica è richiedere l'intervento degli uomini della squadra speciale. Non è così che si chiama? Sapranno loro dove e come far ritrovare il corpo del buon abate (sotto un ponte o in un bagno, appeso a un asciugamano) morto suicida in un attimo di imprevedibile sconforto. Antonio Debenedetti
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