BOVE, L'EROE IN FUGA di Angela Bianchini

BOVE, L'EROE IN FUGA BOVE, L'EROE IN FUGA «La trappola»: la guerra irrompe in una vita qualunque Da Vichy all'Algeria, l'ultima storia di uno scrittore di culto giocando di parsimonia espressiva per alzare un argine tra le cose e i sentimenti che sanno suscitare. E, anziché sbandierare questa sua scelta con manifesti e proclami come fa chiunque ambisca a una legittimazione da parte della comunità letteraria, se ne è rimasto in disparte, rispettando anche nella vita quel riserbo e quella discrezione che aveva adottato nella scrittura. Imprudenza gravissima, che non gli è stata ancora completamente perdonata, se il caso Bove fa eccezione anche a quell'altra regola che vuole che le rivincite postume, per gli scrittori dimenticati, siano compiote e definitive. Come, in vita, qualche saltuario e significativo riconoscimento non l'ha mai riscattato dal suo destino di emarginazione, così, dopo la morte, periodiche e calorose rivalutazioni si sono alternate a nuovi periodi di oblio. Da noi la scoperta, particolarmente tardiva, è avvenuta senza clamori, ma prosegue senza preoccupanti soste. Ai lettori italiani che di Bove conoscevano testi degli An¬ ni Venti (Armand, I miei amici, L'amore di Pierre Neuhart), Carlo Alberto Bonadies propone ora La trappola, un romanzo scritto nel '44 e pubblicato nel '45, tre mesi prima della morte dello scrittore. In esso l'eroe boviano neghittoso e velleitario, abituato a fare i conti con la soMtudine, con la miseria e col grigiore dell'esistenza, è chiamato a confrontarsi con una emergenza assoluta: la guerra, l'occupazione tedesca, la Francia ferita, divisa, in preda alla paura, al sospetto, alla rabbia, combattuta tra prudenza e ribellione, tra collaborazionismo e resistenza. Non contento delle mortificazioni e delle beffe che gli ha sempre dispensato, adesso il destino gli ha teso una trappola infernale e lui, come innumerevoli suoi simili, farà di tutto per cadervi. Bove è abilissimo nel descrivere sia il clima ossidionale che grava sulla Francia dei primi tempi della disfatta, a Parigi come a Vichy, sia il panico del protagonista che tenta goffamente di sfuggirvi, sia l'inesorabile meccanismo per cui ogni ge¬ sto, ogni parola che dovrebbe portarlo alla salvezza in realtà lo avvicina passo dopo passo all'inevitabile catastrofe. L'incubo del Processo è diventato realtà quotidiana. Per colpa della Storia, che in un attimo ha cancellato regole morali e principi di convivenza civile, e per colpa degli uomini, che non sanno astenersi dallo stuzzicarne i mostruosi appetiti. Joseph Bridet, omonimo ed emulo del kafkiano Joseph K., è uscito indenne dalla disfatta. Potrebbe restare a Lione dove vive in un sicuro anonimato, ma, più per insofferenza e irrequietezza che per convinta fede gollista, progetta di passare in Inghilterra. E per farlo, come tutti gli altri abulici e maldestri eroi boviani, sceglie la strada più tortuosa e rischiosa: va a Vichy, si finge zelante pétainista e tenta di sfruttare vecchie e malfide amicizie per ottenere un salvacondotto per l'Algeria. Entra così di sua volontà in un ingranaggio fatto di parole che dicono il contrario di quello che dovrebbero, di gesti innocenti che si trasformano in indi¬ zi di colpa, di speranze che si accendono un istante solo per preludere a cocenti delusioni, di circostanze che si concatenano secondo una logica perversa che nulla da un certo punto in poi è più in grado di spezzare. Bove, che ha scritto il libro ad Algeri dove, diversamente da Bridet, era riuscito a riparare, lascia più che altrove trasparire simpatia per il suo personaggio. Non che indulga al patetico o espliciti le emozioni che ancora una volta affida più all'eloquenza dei fatti che alla suggestione delle parole. Ma a Bridet accorda, seppure in extremis, un sussulto di coraggio e, pur nella stringatezza del racconto che stavolta ha il compito di scandire il crescendo dell'angoscia, attribuisce annotazioni e riflessioni dello stesso tono di quelle che riserva alla propria voce fuori campo. A osservare che i suoi connazionali, annichiliti dalla disfatta, «sembravano tutti riconoscenti, non si sa a chi, di essere ancora in vita» è Bridet; a notare, a proposito delle buone notizie, che «per paura di scoprirne un aspetto meno favorevole, non si osa parlarne» è invece l'autore. Ma le loro voci hanno la stessa disincantata amarezza, e quando sottolineano «la rapidità con cui la gente accetta le nostre pene e imbastisce già un futuro che tiene conto di quanto è andato perduto» il lettore non si domanda più se sia un discorso indiretto libero o un'intrusione dell'autore: da tempo si è lasciato catturare dalla sordina che Bove mette alle idee e ai sentimenti e in quelle voci sommesse e dolenti ha riconosciuto la sua. Giovanni Bogiiolo Emmanuel Bove La trappola (rad. di Carlo Alberto Bonadies Le Mani. pp. 160, L. 22.000 ventana è del 1958) si alternavano a escursioni fiabesche, e anche a spericolate costruzioni da folletin. Ma a sottendere il tutto, a spiegare gli indugi, tipici, della Gaite, nel bosco narrativo, c'è sempre la preoccupazione del raccontare la quotidianità della donna. In apparenza, Nuvolosità variabile è soltanto la storia di due amiche che, ritrovandosi da adulte, dopo anni, si scambiano, attraverso lettere incrociate e sfasate, le loro storie. Ma non si tratta tanto di comunicazione quanto di uno scambio di tessuto di esistenze: di «pettegolezzo» adoperato, si capisce, non in senso critico o riduttivo, bensì - come lo ha rivalutato recentemente un grande saggio di Edgardo Cozarinsky, intitolato Una voce poco fa (Leggere, ottobre 1993) - pettegolezzo inteso come tramite, come ingrediente di romanzo, come «racconto trasmesso», come il veicolo più umile, ma anche il più efficace, grazie al quale la narrativa porta a termine la sua missione, che è unica e la rende diversa da tutte le altre forme d'arte. Ed è proprio questo incontro dell'orale con lo scritto, legato alla creatività più varia delle donne: la chiacchiera, le antiche credenze, le favole, le paure, a fare di Nuvolosità variabile un romanzo assai singolare e seducente: tutto permeato da una strana e complice intimità, che finisce per identificare le protagoniste con l'autrice e, in fondo, con lo stesso lettore. Angela Bianchini Carmen Martin Gaite Nuvolosità variabile trad. Michela Finassi Parolo Giunti, pp. 416. L. 20.000 Carmen Martin Gaite La stanza dei giochi a cura di Michela Finassi Parolo La Tartaruga, pp. 182, L 26.000

Luoghi citati: Algeri, Algeria, Francia, Inghilterra, Lione, Parigi