Bruciano la bocciafila dell'amicizia

Bruciano la bocciatila dell'amicizia Attentato in via Ponchielli, ultimo angolo verde tra case popolari Bruciano la bocciatila dell'amicizia Benzina contro la «scommessa» di un quartiere UNA SFIDA CRUDELE Due taniche di benzina lasciate davanti alla porta, poi la scia della miccia lungo un muro della palazzina. L'attentatore è fuggito attraverso un varco nella rete di recinzione di uno dei campi di gioco. Il fuoco ha fatto scoppiare i vetri e ha distrutto e piegato le pareti in materiale plastico. Il fumo ha annerito soffitti e scaffali. Della bocciofila Ponchielli, al civico 36 della stessa via, sono rimaste solo strutture inservibili. E un sacco di debiti, cambiali ancora da pagare. Un gesto teppistico. Vigliacco. Che ha colpito al cuore un centro di aggregazione dove si incontrano molti abitanti del quartiere, uomini e donne, aperto a tutti. Un angolo verde che 130 soci, molti dei quali pensionati, hanno fatto nascere per sfida, al confine tra Barriera Milano e Regio Parco. Le tre della scorsa notte. L'allarme. E' un inquilino del palazzo vicino, una delle «torrette», case popolari. Telefona ai vigili del fuoco, alla polizia ai carabinieri. La sirena delle autopompe, quelle delle volanti. Ma il fuoco ha ormai portato la distruzione. I periti dicono che gli ignoti hanno lasciato le taniche di plastica accanto alla porta. E hanno poi fatto correre sul cemento una rudimentale miccia, fatta di stracci imbevuti di benzina. Quindici di metri, lungo i primi campi da bocce, accanto alla sedie e ai tavoli in plastica bianca sistemati sotto gli alberi, dove si gioca a carte: scopa, briscola, sette e mezzo. Bartolomeo Crosetti, 53 anni, presidente della bocciofila Ponchielli, allarga le braccia: «Il fuoco si è portato via un'opera costata quasi novanta milioni, soldi che avevamo raccolto tra i soci. Ci sono rimasti solo i debiti, oltre trenta milioni». E racconta la storia di questo angolo di verde e di gioco, sorto quasi come una scommessa nell'83. Prima tre campi e una baracca. Poi i campi sono aumentati. Adesso sono otto. E si è allargato, col passar del tempo, anche il numero dei soci Centotrenta oggi. «Gente del quartiere, pensionati, operai, ex ferrovieri, anche qualche giovane. Tutti con la passione delle bocce assieme al desiderio di far due parole, ridere, tifare Toro o Juve, Napoli o Foggia». Un anno fa la decisione di buttar giù la storica baracca, una specie di rispostiglio, e costruire qualcosa dove poter mettere un bar, due uffici, un gabinetto. Preventivi, progetti, approvazioni da parte del Comune. Un po' di burocrazia, poi finalmente tutto ok. Restava un problema: dove trovare i soldi? «Ci siamo autotassati. Ciascuno ha dato quel che poteva», racconta il direttore sportivo Ernesto Malfatto, 60 anni. E' stata scelta una gerente, Terenzia Reggio, 45 anni: «Caffè e bibite. Preparo anche piatti caldi. Solo per i soci logicamente». Quell'angolo verde, tra case popolari, è diventato più accogliente. Adesso si combinano tornei e gare. Un successo. E forse tutto questo ha dato fastidio a qualcuno. Ora c'è amarezza e rabbia: «Ci hanno tagliato una fetta della nostra stessa vita». Tre storie. Pietro Careggio chiude gli occhi per inseguire ricordi lontani: «Anno 1961. Qui c'erano erbacce, orti e depositi di sfasciacarrozze. E alla sera era il regno delle prostitute. Periferia della città. Anzi, Torino era lontana. Poche case, qualche cascina. Anno 1970. Le prime cooperative, gli edifici popolari. E il Comune sfrattò i depositi di ferri vecchi. Un giorno, eravamo in quattro o cinque, abbiamo preso pale e piccone e qui, proprio qui, abbiamo costruito il primo Campetto. Allora si giocava con bocce di legno. Io lavoravo alla Spa, collaudatore di pullman. Ci si trovava la domenica, si giocava da mattina a sera». «Su quei due campi ho imparato a parlare piemontese». Ride Giuseppe Colucci, 58 anni, pugliese di nascita. Ha lavorato trentacinque anni alle Molinette, era in una delle portinerie. La sua è testimonianza importante: «Le aggregazioni fra genti con storie e culture diverse, avvengono anche in questi centri sportivi, di incontro. Io sono arrivato negli Anni Sessanta, ero solo. Ho trovato un posto per dormire in questo quartiere. E un giorno ho scoperto questo Campetto. Due strisce di terra spianata. Sembrava un angolo del mio paese, quando ragazzo giocavo con mio padre. Sono cresciuto in questo quartiere, ho trovato famiglia in questo quartiere». Per quarantuno anni ha percorso l'Italia alla guida di treni che sfrecciavano verso Milano, Venezia, Genova, Roma, Napoli. Giuseppe Picco, 70 anni compiuti ad aprile, da 12 è in pensione. E' uno dei quattro o cinque che un giorno, con pale e badili, ricavarono su quella terra abbandonata, due campetti da gioco. «Qui tutto è nato sulla buona volontà di pochi, senza l'aiuto di nessuno. Nell'83 il Comune ci ha concesso la licenza per questa bocciofila. Abbiamo buttato giù la baracca in lamiera. E abbiamo montato questo prefabbricato che qualcuno ha cercato di incendiarci. Ho settant'anni, ma tanta voglia di lottare. Rimonteremo, se necessario, la vecchia baracca di lamiera. La vita è bella se si ha uno scopo: ora so qual è». Ezio Mascarino Costruita anno dopo anno dai pensionati «Ci hanno tolto un pezzo di vita» L'interno del prefabbricato della bocciofila di via Ponchielli distrutto dalle fiamme. L'edificio era stato costruito appena un anno fa ed era costato 90 milioni, soldi raccolti tra i soci e la gente del quartiere I soci mostrano la scia nera lasciata dalla miccia accesa dagli ignoti attentatori che avevano appoggiato due taniche di benzina contro la porta del circolo A sin. Ernesto Malfatto, direttore sportivo del circolo. A destra il sindaco Castellani con il presidente Crosetti nella bocciofila bruciata e, sotto, Terenzia Reggio gerente del piccolo bar del circe

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