Sarajevo, la notte della rivincita
Sarajevo, la notte della rivincita Sarajevo, la notte della rivincita Tutti alla finestra, a guardare un cielo di fuoco TESTIMONI DALLA CITTA' Icolori della famosa «notte di Baghdad», quella del primo bombardamento delle Nazioni Unite in diretta sulla Cnn, furono il blu cobalto del cielo, il bianco accecante dei razzi, l'azzurro dei traccianti. L'altra notte Sarajevo si è colorata di rosso. «Un rosso vivo che si accendeva a vampate e colorava tutti i profili delle montagne, un rosso incredibile... come potrei dirti? Oddio, un rosso sangue». Quello che le tv non sono state in grado di riprendere è rimasto impresso nelle retine, nelle memorie e adesso è affidato a quanto voci emozionate riescono a trasmettere attraverso il telefono. Il ricordo di Merilla è vivido come quelle fiamme. «Saranno state le due e mezzo di notte, forse le tre: non te lo so dire esattamente, sai che ormai i boati non ci fanno uscire dai letti. «I serbi ricominciano», ha bofonchiato mio marito. I figli stavano tranquilli. Ma poi il bombardamento continuava, la cadenza delle esplosioni si faceva più serrata. Mi sono alzata, ho scostato appena la tenda, temevo di vedere qualcosa che esplodeva vicino casa, i segni di una granata sulle case vicine. Invece di fronte c'era un'altra donna che aveva socchiuso la finestra e gridava: «Ma questi non sono i cetnici, non sono loro». Erano quasi le tre quando Radio Sarajevo ha interrotto un programma musicale (pare che l'ultima canzone fosse italiana, ma Merilla non la ricorda) per annunciare: «Le esplosioni che sentite non sono dovute a un nuovo attacco dell'aggressore». E' stato in quel momento che un sacco di gente si è messa a gridare. Chissà che suono nnwnnn aver mai avuto, a Sarajevo, delln grida di gioia. Merilla Bayramovic, ventisei anni, due figli, non le sentiva più da quasi quattro anni. Ma quando la Radio Televizjia di Bosnia ha escluso che a sparare fossero «gli aggressori» (i serbi, con sprezzante vaghezza, vengono sempre definiti in questo modo), tutti hanno capito che a bombardare erano gli altri, gli europei, gli aerei. Merilla abita a Bascarsija, nei vicoli che sovrastano Stari Grad, l'antico centro turchesco. Merkale, il luogo dell'ultima strage, da lì dista cinque minuti a piedi. «C'è stato qualcuno che è uscito per scendere fino alla piazza e vedere meglio l'orizzonte. Verso Vogosca il cielo era tnt*~ ti'nto di rosso: dalle vam¬ pate abbiamo capito che il deposito d'armi dei serbi era saltato in aria. Poi sono arrivati i poliziotti che gridavano a tutti: «Tornate dentro, i serbi possono tirare da un momento all'altro». E siamo tornati in casa, ma nessuno ha dormito più, io ho bussato alla porta della vicina perché alla mia radio stavano finendo le pile e siamo rimaste così fino a giorno fatto, ascoltando i notiziari e la musica. Come dirti? E' stato tutto «ludo i nezaborakno», matto e indimenticabile». Matto e indimenticabile. Per descrivere la notte della rivincita - di una prima, parziale rivincita - Merilla usa uno slang giovanile, quello che i ragazzi di Bascarsija adoperavano per rac¬ contare le sere in discoteca. Ed è strano, via via che i racconti si moltiplicano, le descrizioni si assommano, accorgersi di quanto diverso sia oggi lo stato d'animo dei giovani. Slatko Disdarevic, il giornalista e scrittore, sta tappato in casa come tutti. Come tutti, alle tre del pomeriggio ascolta il nuovo rincorrersi di boati che paiono tuoni. Ma l'entusiasmo, nel suo racconto manca del tutto. «A che bombardamento saremo? Non so, dalla notte scorsa ci sono state solo due pause. Da qui sotto, a noi sembra di aver udito già cinque o sei raid, cinque o sei ondate di «jet» che scendevano sulla città, viravano e colpivano postazioni sulle alture. Ma sono impressioni: adesso per esempio ci sono state quattro o cinque granate serbe cadute proprio qui vicino, la gente se ne sta rinchiusa. Un po' più allegramente di ieri, si potrebbe dire: ammesso che possa esserci qualcosa di allegro nello stare rinchiuso». Qualcuno racconta di una festa organizzata per strada, l'altra notte: di gente che ad Avde Jabucice, nella città vecchia, ha messo tavolini per strada, ha festeggiato, offrendo bevande e cibo. «Mi spiega dove avrebbero pututo trovare cibo da offrire? No, andiamo: c'è stata molta gente, è vero, che ha trascorso la notte alle finestra o al balcone cercando di capire dove gli aerei Nato stessero colpendo. Adesso però la città è deserta. Siamo tutti un po' più sollevati, questo sì, per la prima volta in quasi quattro anni la Nato sta facendo qualcosa di serio, qualcosa che sembra serio. Prima di capire cos'è accaduto davvero però dovranno passare due o tre giorni. Forse solo allora si comincerà a capire se questo bombardamento segna l'inizio della liberazione o il primo passo verso la spartizione». Tre anni e otto mesi trascorsi nei rifugi, nelle case oscurate, in qualche modo però affinano l'intuito, insegnano a cogliere frammenti di realtà anche da dettagli minimi. Adem Sehovic, per esempio, ha colto dai notiziari di Radio Pale i segni di un nervosismo che fra i serbi co- Karadzic accetta di allinearsi nella trattativa diplomatica alla linea più morbida imposta da Belgrado E' entrata in azione anche la forza di intervento colpendo con 2000 granate le basi dei miliziani sul monte Igman Qui accanto Izetbegovic a Parigi da Chirac A destra un cannone britannico della Frr Nelle altre foto, immagini del lavoro compiuto dai jet |FOTO ANSA)
Persone citate: Adem, Chirac, Izetbegovic, Karadzic, Radio Sarajevo, Sehovic
Luoghi citati: Baghdad, Belgrado, Citta' Icolori, Parigi, Sarajevo
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