«lo, giurata per affetto» di Simonetta Robiony

«lo, giurato per affetto» «lo, giurato per affetto» Voti Trotta: «Perché torno alla mostra» OGGI AL UDO SALA GRANDE ore 15 «Finestra sulle immagini». SALA GRANDE ore 18.30, Venezia concorso: «Der Totmacher» (Il costruttore di morte) di Romuald Karmakar (Germania). PALAGALILEO ore 20.30: Venezia concorso: «Der Totmacher» (Il costruttore di morte) di Romuald Karmakar (Germania) e a seguire film di apertura «Allarme rosso» di Tony Scott (Usa). SALA GRANDE ore 21, serata inaugurale della 52g Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica. Omaggio al Centenario del Cinema, immagini dal film «Celluloide» di Carlo Lizzani dedicato a «Roma città aperta». A seguire film di apertura «Allarme rosso» di Tony Scott (Usa) e per le «NOTTI VENEZIANE»: «Caballos Salvajes» di Marcello Pineyro (Spagna). VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO ariane che si opposero alla deportazione dei loro uomini ebrei in un campo di concentramento». Ancora la grande ferita del nazismo? «Sono tedesca e non credo sia giusto dimenticare. E poi questa vicenda mi intriga perché è contraddittoria: da un lato c'è Hitler che per i suoi 54 anni chiedeva una Berlino pura, ariana, senza più ebrei, dall'altro ci sono donne, ma anche uomini, di razza ariana che si battono perché i loro compagni ebrei abbiano salva la vita. Tra l'altro è l'unico caso in cui il nazismo è stato sconfitto». Margarethe von Trotta vive la sua condizione di giurata con grande imbarazzo: giudicare non le piace. Ma il festival di Venezia e l'amicizia per Gillo Pontecorvo le hanno impedito di rifiutare questo ruolo: proprio al Lido nel 1980, in una famosa edizione curata da Carlo Lizzani, fu per la prima volta messa in giuria accanto a Umberto Eco, Suso Cecchi D'Amico, l'egiziano Youssef Chahin e lo stesso Pontecorvo, e l'anno dopo, sempre a Venezia, con «Anni di piombo», vinse quel Leone che la consacrò tra i grandi registi europei. «Ho legami affettivi con Venezia e con i colleghi conosciuti qua. E ho un debito di riconoscenza per quel Leone inaspettato che mi trovò impreparata e confusa come Alice nel Paese delle Meraviglie». Quante volte si è trovata a far parte di una giuria? «Quattro, cinque volte. Dico molti no perché non mi piace». Cosa la infastidisce? «Mi turba, anche se lo capisco benissimo, la velocità con cui i giurati che vengono dalla critica sono capaci di emettere un verdetto su un film. E' il loro mestiere. Lo so benissimo. Ma in quattro ore, due per vedere la pellicola e due per scrivere il pezzo, bruciano o salvano un lavoro che per noi autori dura un anno, due anni di vita». Anche essere giudicati può essere sgradevole. «Per me niente è peggio che andare con un mio film al festival di Berlino. Sono una provocatrice involon- Margarethe von Trotta è il primo giurato della Mostra del Cinema ad arrivare al Lido: perfino la sua stanza in albergo non è ancora pronta, così lei e il suo compagno Felice Laudadio aspettano al ristorante davanti a un mare improvvisamente tornato azzurro, dopo la tempesta dell'altro giorno. Viene direttamente da Parigi dove ormai vive stabilmente e dove è tornata in questi giorni, interrompendo le vacanze a Fregene, per discutere con il regista Schloendorff, che ne sarà il produttore, del suo prossimo nuovo film. «Per strane coincidenze della vita tanto Schloendorff che io stiamo lavorando a due storie ambientate nella Berlino del '43. Solo che lui sta girando un film con Malkovich, "Le roi des olmes", da un libro di Michel Tourneur, mentre io mi sono ispirata a un episodio di cronaca: la protesta vittoriosa operata da un gruppo di donne taria, dice un mio amico psicoanalista: rompo i tabù senza volerlo. All'ultimo festival, soprattutto i critici berlinesi hanno stroncato "La promessa", rendendomi difficile non reagire». Allora perché un autore di nome si ostina a partecipare ai festival? «I produttori hanno bisogno dei premi e i film hanno bisogno dei produttori». Ma un premio fa ancora andare la gente al cinema? «Cannes, Venezia, Berlino a volte ci riescono. "L'albero degli zoccoli" di Olmi senza Cannes non sarebbe stato anche un successo commerciale. E se si vince c'è la gratificazione personale». Anche se si sa che i premi sono spesso frutto di compromessi? «Se si vince si dimentica ogni cosa. E poi dipende da dove si vince. Per me il "Felix", l'Oscar europeo presieauto da Bergman, è il premio più ambito. Non porta neanche uno spettatore in sala, ma lo danno col leghi illustri da cui fa piacere esse re stimati». Simonetta Robiony