Il giuramento laico è discriminatorio? La lotta delle donne africane

Il giuramento laico è discriminatorio? La lotta delle donne africane Il giuramento laico è discriminatorio? La lotta delle donne africane I lampioni del peccato LA LETTERA DI O.cLB. Recentemente leggevo su un quotidiano locale il seguente commento: «Ragazze africane che forse non hanno nemmeno provato a cercare un posto al sole. A loro basta la luce di un lampione ed eccole iniziare quello che per la donna è il lavoro più antico del mondo». Dando per scontato che l'autore del pezzo non si sia mai preoccupato di intervistare una ragazza africana, si rivela un'ignoranza di fondo sulle reali condizioni delle donne africane. Lo rivela lo stesso attributo «africano», come se l'Africa, che è il secondo contmente per estensione terri-. toriale e popolazione, fosse un paesino di poco più di mille abitanti in cui usi e costumi, per ragioni ovvie, sono identici in ogni suo rione. Io, per esempio, sono nigeriana, lavoro come educatrice e non mi è mai venuto in mente di prendere la tintarella di luna sotto «un lampione», nonostante che, a detta di questo signore, «a noi» non interessi cercare lavoro, esattamente come non ci preoccupiamo di trovare «un posto al sole» giacché abbronzate a sufficienza. Questa infelice metafora crea ancora di più nell'immaginario collettivo la convinzione che «tutte» le donne africane, siano «nate, cresciute e pasciute» prostitute per avidità e per bassezza morale. Se le donne di alcune zone dell'Africa si prostituiscono, lo fanno per emanciparsi (nell'unico modo consentitogli!) da una società maschilista che le considera inferiori all'uomo in tutto e nega il diritto di innamorarsi, di studiare, di lavorare, di guadagnare e di decidere liberamente della propria vita. Un punto che dovrebbe far riflettere, prima di dare pareri alquanto azzardati, è il seguente: la maggior parte delle donne africane viene ancora venduta a cifre irrisorie, nobilmente chiamate «doti» (trattasi in realtà di vere e proprie compravendite), dalla propria famiglia al futuro marito. E' vero che per la donna, la prostituzione è «il mestiere più antico del mondo». Questa verità però ne Egr. dott. Del Buono, la Riviera dei Fiori è divenuta invivibile? Sembrerebbe proprio di si a causa di ladri, malviventi, drogati e zingari che, ormai, la fanno da padroni, scatenandosi su tutta la costa e prendendo di mira gli alloggi, a tutte le ore del giorno. Gli agenti sembrano impotenti di fronte all'offensiva dei malviventi che fanno registrare furti, forzature di porte, scippi e rapine. Poiché gli anni scorsi hanno fatto segnare una escalation della microcriminalità, sorprende che i tutori dell'ordine non abbiano previsto di adottare misure adeguate... Francesco Cardelli, Sanremo GENTILE Signor Cardelli, pubblico la sua lettera, a testimoniare che, se a Torino non c'è da ridere a proposito di degrado, neppure le altre località d'Italia possono permettersi di scherzare. Non si tratta dell'ipocrita consolazione del mal comune mezzo gaudio, ma di un'interruzione del flusso di lamenti e proteste dei torinesi contro la Torino attuale, un'interruzione che ammonisce che in questione non è una singola piaga da curare con mezzi appropriati, ma una situazione nazionale generale. Ogni località celebre o sconosciuta paga il suo tributo alla microcriminalità, perché è saltata completamente la vecchia morale che contrapponeva il bene al male e, attirandosi, inevitabilmente, l'accusa di manicheismo, ma garantendo co- Una Rtra e den munque, un minimo funzionamento della vita sociale. Lei dice, gentile Signor Cardelli: «Sorprende che i tutori dell'ordine non abbiano previsto di adottare misure adeguate alla situazione che compromette la sicurezza dei cittadini residenti o di quanti vi soggiornano per vacanze. Va rilevato, inoltre, che gli uffici preposti al ricevimento delle denunce di furto, scasso, rapine ecc. operano con assoluta indifferenza tanto da provocare un senso di sconsolata amarezza tra i malcapitati, nei quali subentra una inevitabile sfiducia nelle istituzioni incapaci, statistiche alla mano, di assicurare i malviventi alla giustizia...». Oreste del Buono L'albero di Giuda é il carrubo Ho letto con gran diletto su la Stampa di sabato 29 luglio l'articolo sul giudice Severino Santiapichi, che ho tanto stimato in occasione della decisione da lui presa, alcuni mesi fa, di consentire l'incontro tra un imputato e il suo cane. Non discuto su quanto affermato, ma su un particolare vorrei intervenire: sul carrubo. Il nome, contrariamente da quanto affermato da Santiapichi, non è Cercis siliqua, ma Ceratonia siliqua. Non è cosa da poco, in quanto potrebbe nascondere un lapsus calami di tipo freudiano. Il Cercis siliqua, o meglio, siliquastrum è il cosiddetto Albero di Giuda che servì a questo discepolo per porre fine alla sua colpa (il giudice di sé che da sé si punisce, per parafrasare un verso di Valéry), il vero nome del carrubo è Ceratonia siliqua, pianta che, tra le altre cose, serve a pesare l'oro: il carato deriva, infatti, dal greco keration e successivamente dall'arabo kirat; ancora oggi nell'Africa settentrionale una kharrouba equivale a 0,20 g. E un giudice che pesa l'oro della giustizia dovrebbe fare più attenzione a non confondere Cercis con Ceratonia, il peso della giustizia è la somministrazione della pena. Ma al di là di tutto sta un fatto importante, che mi preme sottolineare: dalle parti di Scicli e del Ragusano sopravvive il grande amore per il carrubo, vera cattedrale verde, ma in quasi tutte le altre parti della Sicilia, purtroppo, queste cattedrali hanno ceduto il posto alle seconde case, quasi sempre costruite abusivamente, e questo si configura il più delle volte non come semplice peccato. Antonio Patti Favara (Ag) Quella Torino «calvinista» «Qui, nella Torino calvinista, si osservano le leggi»: la frase che mi attribuisce il signor Maccario di Robassomero in una lettera ospitata nell'ultima rubrica «Il lunedì di O.d.B.» non è mia, bensì di Giuseppe Pichetto, presidente degli industriali piemontesi. Del resto si tratta di un'opinione e in quanto tale l'ho rispettata. Penso che La Stampa e il suo cronista (né il vero autore della frase) non meritino per questo di essere insultati da un lettore evidentemente poco attento. Giuseppe Sangiorgio Un alloggio dei Poveri Vecchi Leggo che il vostro collaboratore, entrando come Alice nel mondo di Affittopoli, vede spuntare un solo nome: Fiandrotti. Vorrei esporvi alcuni elementi dai quali risulterà - spero - che si tratta di una illusione ottica da scoop. Il grandioso alloggio (di ben 75 mq) di cui trattasi, era sul Ubero mercato. Il proprietario (Istituto Poveri Vecchi) cercava un affittuario, a prezzo di mercato. Io non lo «ottenni» dunque per gentile concessione, ma lo contrattai e pagai come ad un qualsiasi proprietario. Allora poi non ero nessuno; come d'altra parte adesso e come giustamente rileva il giornalista. Sciolto l'Istituto, l'alloggio passò al Comune e poi allo Iacp e quindi con esso il mio contratto. Intanto ero diventato deputato. E lì è cominciata la mia rovina economica. Pressato tra il crescente livello delle spese per la competizione politica ed il vincolo etico (ovvio, ai tempi in cui io sono «entrato in politica») di non profittare in alcun modo del ruolo pubblico, ho dovuto imporre alla mia famiglia un tenore di vita assolutamente normale e popolare, e poco per volta mi sono «mangiato» quel poco che avevo messo da parte con il lavoro in Stet, e poi quale direttore dell'Azienda Municipalizzata di Settimo T.se. Per questo motivo ho vissuto in un quartiere popolare, ed in una casa popolare, pagando un affitto normale. E non appena ho potuto me ne sono andato, perché vivere in tre persone in 75 mq non è il massimo dei lussi immaginabili per nessuno, nemmeno per un deputato. E allora, dove è la notizia? Avv. Filippo Fiandrotti Torino

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