MELATO Siate esagerate

racconti distate I LA GIOVINEZZA. Autoritratto d'attrice, dalla Milano Anni 60 all'Italia d'oggi. Con un consiglio per le esordienti racconti distate I LA GIOVINEZZA. Autoritratto d'attrice, dalla Milano Anni 60 all'Italia d'oggi. Con un consiglio per le esordienti MELATO Siate esagerate "771 ROMA i i ARA Mariangela...». I Chissà come se l'immagiI i nano le donne che le scriA^Jvono per chiedere consigli di vita, istruzioni per la felicità, rimedi contro la solitudine che funzionino meglio del solito bricolage misto di lavoro, famiglia, tivvù e psicofarmaci. A cinquantanni e passa Mariangela Melato è contenta di non aver avuto manti né figli, non ha rimpianti normali, è «orgogliosa di non essermi mai distratta, di non essere mai stata altrove, nemmeno dentro i personaggi che mi è capitato d'interpretare». Non dispone di galatei sentimentali da spacciare a chi scrive, interroga. Più ragazze, ora. «Si angosciano tutte intorno allo stesso problema: non so chi sono. E allora? Non l'ho mai ben capito nemmeno io chi sono. Mi sono buttata avanti fra casini, errori, illusioni, esagerando ogni volta, con un disperato bisogno di farmi amare, di ammettere questa mia debolezza ch'è di tutti, alla fine. Senza mai sospettare che ci fosse un "come". Come amare o "far carriera" o come "stare sempre bene", che è il mito più idiota. Un "come" vivere, va'». Non c'era tempo di cercare un «come» nella Milano veloce e dura del primo boom, il '68 tutto da venire, per la ragazzina povera, fragile e nemmeno bella che era Mariangela Melato a quattordici anni. Autoritratto dell'artista da cucciola. «Ero la più strana delle ragazze di via Montebello, una specie di punk ante litteram. Lavoravo alla Rinascente e mi coloravo i capelli con le vernici che usavo per dipingere le vetrine. I vestiti, di conseguenza. Il risultato è che sembravo un uccello tropicale perduto nella nebbia. Però mi sentivo unica. Da bambina ero stata molto, molto infelice. Non una parola di più. E allora: o mi prendete così o niente. Conciata a quel modo non potevo passare inosservata. Tornavo a casa trionfante: mamma, si fermano perfino i camionisti! E lei, povera, ch'era sarta e non rinunciava a cucirmi di quei bei tailleurini, si disperava tutta: ossignùr, ossignùr. Mi sentivo tanto lucignola». Ogni sera la quattordicenne Mariangela usciva dalla Rinascente e sulla strada di cruu le appariva il «paese dei balocchi», il mitico Giamaica di Brera, allora covo di «capelloni», oggi semplice bar fighetto a base di rucola. «C'erano i pittori, i Crippa, i Migneco, gli scrittori, i registi, i giornalisti e Buzzati che arrivava per ultimo, chiuse le bozze del Corriere in tipografia, e non parlava quasi mai. Ho conosciuto li Dova, Manzoni, Squarzina. Buffa e orgogliosa com'ero, stavo lì ad ascoltare discussioni egizie per me, ignorante come una bestia, Si temono violenze per te pretendendo pure di intervenire. Quando si accorgevano di me, mi offrivano un'aranciata, un bicchiere di bianco, con l'aria pietosa. Sul tardi arrivava mio padre, tutto addobbato da ghisa, era un capo vigile, e mi portava via di peso. Che umiliazione. Ma io ci tornavo, attratta dal peccato, tu pensa. Col tempo mi hanno affibbiato un soprannome: l'Occhio. Detta anche: l'Occhio-chevuole-la-sua-parte» . r l' «La televisione è un cannibale» Gli occhi di Mariangela parti ne hanno avute cento, in cinema, teatro e altrove. Tragiche, comiche, assurde, di operaia, puttana, amante borghese, maestra, giudice, avvocato, transessuale, eroina, pasionaria, folle, barbona, regina. La parte più giusta, forse, la Cassandra di Eschilo, simbolo di un misterioso coraggio femminile, non materno. Occhi sensibili alla luce di luoghi, persone e attimi. «Dario Fo, Visconti, Strehler, Ronconi, Gaber, Sepe, e poi Wertmuller, Petri, Brusati. Ho avuto la fortuna d'incrociarli nel momento di massima esplosione creativa, uscita in India di «L'ulti quando rischiavano ancora il tutto per tutto a ogni spettacolo. Poi alcuni hanno scelto di diventare statue». Fortuna. Sguardi così avidi e pieni di futuro come quelli della Mariangela del Giamaica oggi, nella Milano schiantata da ondate successive di conformismi, magari non se ne incrociano. «Quella era una Milano da respirare, non da bere. Un Bengodi per una curiosa di vita come me. Non vorrei essere giovane adesso. C'è troppa freddezza, è tutto fintamente facile. Nessun tabù da abbattere né famiglie da cui scappare, nessun dolore. La regola è il gruppo, una misura di sicurezza che offre un comune denominatore per passioni mediocri, aiuta ciascuno ad accettare la vita di merda che tutti facciamo. Come nei personaggi di Beckett che ai miei tempi sembrava un autore estremo, ideologicamente pessimista. Invece descriveva la vita da spettatore nell'era della televisione, oggi». E' uno dei pochi miti italiani che resistono lontano dalla televisione, costruiti anzi sull'assenza dal video, come Gaber u Battisti, Benigni o Benni o Paolo Conte. Scelta? «E chissà. Magari no, se m'avessero chiamata più m o sospiro del Moro»: il governo pronto a vietarlo spesso... Ora per esempio lavoro a questo personaggio di avvocato delle donne, una serie che uscirà l'autunno prossimo su Raidue, ispirato a Tina Lagostena Bassi, l'avvocato di Processo per stupro. Quando mi hanno offerto Domenica In invece ho rifiutato, dando un altro dispiacere alla mamma. Non era il mio mestiere. Bisogna starci attenti. La televisione è un cannibale, prima ti toglie le ossa e poi ti divora. «Non ho l'aspirazione di essere né maestra né mamma né zia Mariangela Melato: contenta di mariti né figli, senza Sopra, nei panni di Olimpia nell'«televisivo del 75. A lato Luca Roncon tivo fiera come una regina, mentre i romani si davano di gomito: 'nvedi 'sta matta. «Io, io, io, oddio sarò mica noiosa? E' che me lo sono ripetuta tante volte: io. Il sentirmi sempre speciale mi ha salvata. Ai provini ero circondata sempre da ragazze più belle, più colte, più "giuste". Ma poi, col successo, la diva non l'ho mai fatta. Non ho mai accettato di fare un monologo in teatro, per dire. Ed è la cosa che tutti ti propongono, soprattutto i giovani autori. Perché ci sono "i giovani autori", pochi per la verità. Una categoria detestabile. Voglio dire, Pirandello s'è mai pensato come "giovane autore", da giovane? E' una cosa come i segmenti di mercato. Nel pacchetto chiuso offerto agli abbonati c'è anche quella cosa lì, la novità in offerta speciale». A fianco la Melato con Giancarlo Giannini in «Mimi metallurgico ferito nell'onore» Sopra la regista del film Lina Wertmuller delle giovani attrici. Se la vedano da sole. Un consiglio solo: siate ambiziose, esagerate. E mai prendere a modello le attrici famose. E' così "professionale"! Meglio sperare che perdano colpi e rincoglioniscano, e brindare se si ammalano e ti lasciano la parte, come facevo io agli inizi e sbarcavo da negra, trovarobe, suggeritrice, sarta. Che è tutta 'sta deferenza? Il mio modello era Juliette Greco e poi, meglio, Angela Davis. A vent'anni portavo, unica, una magnifica chioma afro a spasso per Roma e mi sen¬ Bombay, e spesso gli è stata erroneamente attribuita dai giornali un'ammirazione per Hitler e le potenze dell'Asse. Quanto all'ideologia del suo personaggio, Rushdie scrive: «Era ostile agli "immigranti" nella città, intesi come tutti «Non vorrei Non c'è ness non avere avuto rimpianti normali Orlando furioso» i e Juliette Greco «I buoni borghesi scandalizzati» «Mi è sempre piaciuto il lavoro di squadra, ti protegge dalla follia della solitudine. Se ripenso alla più grande gioia professionale non vedo una mia parte da primattrice, piuttosto uno spettacolo: l'Orlando di Ronconi. Giravamo il mondo, una compagnia di sessanta attori, a scandalizzare il buon pubblico borghese. Allora si poteva ancora scandalizzare qualcuno. A distanza di tanti anni, se incontro Ottavia Piccolo, Foschi o Placido, provo ancora quella felicità di appartenere, essere complici. Siamo rimasti quelli dell'Or/ando. Il gruppo sì, ma nato intorno a un progetto a suo modo rivoluzionario. Una specie di comune. «Da allora ci ho sempre provato, in fondo. Su qualsiasi set mi quelli che non parlavano Maharathi, compresi quelli che là erano nati (...). Era favorevole all' "azione diretta", con la quale intendeva azione paramilitare in sostegno dei suoi obiettivi politici». E ancora: nella bandiera dell'India, Fiel- avere ventanni adesso un tabù da abbattere» trovi, in qualsiasi compagnia mi capiti di lavorare, cerco di coinvolgere tutti, di ricostituire quella comune utopica dell'Orlando, lo stato autonomo dello spettacolo. Mi è quasi impossibile lavorare non amala e non amando chi lavora accanto a me. Ma non funziona. Non può funzionare. Mi rendo conto sempre più spesso di sembrare un po' sopra le righe. Ma non c'entra nulla con la crisi del teatro o del cinema. C'entra piuttosto con la crisi di tutto il resto. «Anche per fare bene l'attore, per costruire in armonia un set o uno spettacolo teatrale, cioè la cosa in apparenza più fuori del mondo, ci vorrebbe intorno un mondo vero diverso da com'è diventato. Ci vorrebbe un altro clima politico, lo non ho mai fatto politica direttamente, non accettavo neppure di presenziare ai dibattiti sul femminismo o sul cinema ai festival di partito. Ho sempre soltanto votato per il partito comunista italiano. Eppure mi sembrava un'adesione più forte il voto di allora che candidarsi domani alle elezioni e entrare in Parlamento. Mi piace va quel pei perché aveva un prò getto, s'immaginava un Paese diverso. Ora mi dicono che il mas simo dell'aspirazione sarebbe un Paese Normale, con le maiuscole prego. Allora non capisco bene Comunque, m'interessa meno La politica è davvero teatrino roba minima, apparenza. I lea^ der che hanno le truccatrici e l'esperto d'immagine mi scoraggiano. Io faccio l'attrice e se posso mi trucco ancora da sola, secondo umore. Però, mi dico, ci sarà pure una reazione prima o poi. Ci sarà pure un futuro da qualche parte, c'è sempre no?». Curzio Maltese Salman Rushdie: il suo ultimo romanzo offenderebbe Bai Thackeray, uno dei più potenti e temuti uomini politici di Bombay, leader del partito di governo ding «era favorevole al color zafferano (per gli indù) e contro il verde (per l'Islam)». E' un'attesa carica di presagi, questa. Nessuno può predire che cosa succederà se L'ultimo sospiro del Moro sarà messo in vendita. Si ripeteranno i tumulti che hanno accompagnato la pubblicazione del versi satanici? Se il governo se ne avesse veramente a male, potrebbe impedire la distribuzione del romanzo fin da subito. Può darsi che a Rushdie, il più famoso figlio di Bombay, venga tolto il diritto di cittadinanza nelle librerie della città. Maria Chiara Bonazzi

Luoghi citati: India, Italia, Milano, Roma