Alluvione sfila la rabbia del Piemonte di Gabriele Romagnoli

In seimila ad Alessandria: sindaci e gonfaloni, slogan e striscioni per denunciare i ritardi In seimila ad Alessandria: sindaci e gonfaloni, slogan e striscioni per denunciare i ritardi Alluvione, sfila la rabbia del Piemonte «Noi abbiamo lavorato, il governo ci tratta da accattoni» te); «Banche: un'alluvione di garanzie» e il definitivo «Siamo in cattivo Stato». Passano quelli pesanti nei confronti del governo: «Il vile tecnorospo aspetta altri suicidi (così non pagherà)»; «Caro Fantozzi, sei proprio caro, l'unico La minaccia non vale per l'onorevole Bertinotti, che sfila, imbavagliato da un sorriso Né per il leghista Gipo Farassino, che si mischia tra la folla mentre i suoi colleghi di parti to< Borghezio, Fogliato e Rossi entrano nella prefettura che si affaccia sulla piazza, si inca tenano, si slegano, espongono la bandiera dei lumbard, gri dano dalla finestra: «Via da Roma». I poliziotti, come si usa per queste casistiche, lasciano fa re. Il corteo non ascolta perché ha i suoi, di slogan: «Dieci mesi son passati, siamo ancora alluvionati», «I privati sono tanti, incazzati tutti quanti». Passano gli striscioni dell'i ronia: «Vogliamo il 100% di radice quadrata di 30 + (a+b) al quadrato x 723 al cubo : xy CHIARO?»; «Casa dolce casa» (sorretto da tre donne sfolla membro (segue illustrazione, ndr) del governo che si è ricordato di noi, 740 volte grazie» e del capo dello Stato «Premio Oscar per la toccata e fuga». Passano le accuse agli istituti di credito: «La seconda alluvione dalle banche, la terza «Ci hanno proposto soltanto promesse» appena pioverà» e «Se non era per la banca non so come... mi rovinavo». Parte un sarcastico applauso per le banche, unici esercizi rimasti aperti nella generale serrata di Alessandria. Partono gli sfottò amareggiati di questo strano corteo, politicamente trasversale, dove camminano insieme il datore di lavoro e i suoi dipendenti, indignato, ma con il pudore di esserlo, fatto di gente che urla, poi si guarda intorno, come per controllare se ha disturbato, che ha ri- O SC tC IMCRIiS AUWIONATC NON «tceva HANNO CU AIUTI rHOMKHI nunciato ai blocchi stradali e ferroviari per non intralciare chi magari era in giro per lavoro. Hanno portato le borse con i panini, da mangiare in pulman tornando a Carrù e Cortemilia, Ceva e Clavesana (paese che non c'è più, spiega un cartello). Entrano nella piazza e si radunano sotto .1 palco, affollato da autorità, fotografi e giornalisti, tvitti sotto l'enorme ritratto dello Zio Sam e la scritta «Stato dove sei? Tu uccidi il Piemonte». Lo speaker invita anche Bertinotti, ma l'onorevole conferma la sua proverbiale ritrosia ad apparire e resta tra la folla ad ascoltare gli oratori. L'ingrato compito di parlare per prima tocca al sindaco legalista di Alessandria, Francesca Calvo. Appena si avvicina al microfono riparte l'orchestra dei fischietti, si sprecano i mugugni. Frase ricorrente: «Proprio lei che non ha avvisato perché si stava facendo gli affari suoi». Lei ci prova, con coraggio. Incassa i fischi e dice che hanno ragione loro. Poi cerca le parole chiave per venirne fuori e le trova: «Voi chiedete: Stato dove sei? E lo chiedo anch'io». Nessuna risposta, ma mormorii di approvazione, che diventano applausi quando il sindaco chiede cinque anni di proroga fiscale. Applausi anche per il presidente della Provincia Fabrizio Palenzona («sono uno come voi») benché proponga «un monitoraggio» e «un tavolo», cose che solitamente fanno da preludio a molte parole e a pochi di quei fatti che la piazza invoca. Le promesse da mantenere Parla Pierangelo Paiuzza, in rappresentanza dei comitati alluvionati. Dice: «Noi non ci siamo messi la coperta addosso e non siamo andati in giro dicendo: siamo alluvionati. Noi abbiamo lavorato. Il governo ci ha proposto la ricostruzione fai da te, mentre loro se ne stavano al sole in Costa Smeralda, ecco cos'ha fatto il governo». La folla annuisce. Uno indica con orgoglio il cartello: «Alluvionato si, accattone no». Le porte del palazzo della Provincia si aprono per un vertice lampo. Ci sono tutte le autorità regionali, c'è il messaggio di Dini dalla capitale, c'è così tanto Stato che molti sindaci dei Comuni colpiti non trovano posto nella sala e aspettano fuori. Anche a nome loro, il presidente dei comitati alluvionati chiede semplicemente che le promesse siano mantenute. Le autorità annuiscono gravemente, come fecero dieci mesi fa, e sette e tre. «Sennò andremo a Roma», minaccia qualcuno, ma lo dice poco convinto, sa che non si farà veramente. Forse non ci sarà mai più neppure una manifestazione come questa, era l'ultimo grido. Anche ieri si aspettava più gente di quella che è venuta. Tanti hanno smesso di urlare, non perché hanno perso la voce o la rabbia, ma perché credono che non serva a niente. Questi, in piazza a domandare «Stato, dove sei?», quelli nel cortile finalmente sgomberato dalle macerie, a mettere una pietra, poi la calce, poi un'altra bella pietra sopra. Sopra a quel che è stato e alle illusioni su quel che sarà. Gabriele Romagnoli Un uomo anziano ha chiesto «Voglio poter ritornare nella mia casa. Nelle baracche ci vivano i politici»