«Così diedi In casa alla lotti »

Militello: me lo chiese un 'alta autorità Così diedi In casa alla lotti » Militello: me lo chiese un 'alta autorità L'EX PRESIDENTE DELL'INPS CROMA I sarà anche qualche reminiscenza di sindacalese, oltre alla voglia di difendere le sue opere, ma la «lettera aperta» che Giacinto Militello, ex sindacalista comunista, ex presidente dell'Inps e attuale componente dell'Autorità Antitrust, ha scritto a Gianni Billia, presidente dell'Inps in carica, sembra un quadro di Velazquez, che polarizza la sua attenzione non soltanto sul palazzo, ma anche sull'umanità «inferiore» di corte. Nel palazzone dell'Eur - denuncia Militello con decisione, ma senza soverchi dettagli - stanno avvenendo «fatti inquietanti»: immaginiamo perciò, con qualche ragione, risse, coltellate alle spalle, aspidi velenosi in giro per gli ambulacri di quello che fu il tempio burocratico della consociazione. La vox populi aggiunge persino che lo scandalo degli affitti nasce, alla fine, dalle denunce di un'inquilina morosa da interi lustri. Ma se Billia, che voleva far fuori l'attuale consiglio d'amministrazione mastellizzato, non riesce a difendere il prestigio «aziendale» neanche da nemici di questa fatta... Cerchiamo allora di capire che cosa sta avvenendo in quel cupo scenario, interrogando Militello. Che cosa sta accadendo, Militello, dentro l'Inps? «Ne manco dal 1989, dopo aver remato contro corrente per quattro anni: ai miei tempi, c'era un consiglio d'amministrazione di 40 persone, praticamente lo stato generale delle corporazioni, costituito per metà dai lavoratori e per l'altra metà dai datori di lavoro. Tra lavoratori e datori di lavoro avveniva un continuo scambio di favori: se c'era una questione interpretativa, poniamo sulla riscossione di contributi, i rappresentanti dei lavoratori davano un'interpretazione lassista. E viceversa. Era una specie di società di mutuo soccorso, di tempio della consociazione, a spese dello Stato. Contro questo combattemmo, anche con l'aiuto dei sindacati, cercando di fare dell'Inps un esempio avanzato di modernità nella pubblica amministrazione». Sei anni dopo, lei denuncia «fatti inquietantbi: quali? «C'è una rissa in consiglio d'amministrazione sui tanti interessi in gioco; non conosco i dettagli e non amo fare pettegolezzi, ma dentro l'Inps c'è un clima che definirei insano». Quali interessi? «Per esempio, quelli immobiliari. La norma obbliga gli enti ad alienare, a non gestire più il proprio patrimonio e a non investire in nuovi immobili: un ritorno al mercato. Ma con quali regole?». Non è stata costituita per questo l'Igei, una società di diritto privato? «Si, ma non ci vuol molto a capire che i soci privati stanno ripercorrendo i sentieri dei cartelli immobiliari di nota memoria. Del resto, questa prima privatizzazione è avvenuta senza aste». Questo, per le future alienazioni, ma per il problema presente degli affitti di favore? «Bisogna premettere che il mercato è stato svuotato da regole sbagliate. L'equo canone è stato l'esempio luminoso del non governo che invitava al malgoverno, in una situazione di deficit strutturale di alloggi». Colpa anche dei sindacati. «I sindacati hanno fatto un sacco di scioperi per la casa, ma l'equo canone ha provocato il malgoverno perché voleva mettere assieme gli interessi dei proprietari e dei non proprietari, in modo tale da non far funzionare il mercato. L'unico vincolo era per gli enti pubblici». Lei ha fatto il presidente dell'Inps in anni in cui si son siglati molti contratti di favore: c'erano pressioni? «Si, era un vero tormentone». Chi premeva, i partiti? «No, di più i singoli potenti». Perché per le case di Roma stabiliste la discrezionalità della presidenza? «Le ricordo che a quei tempi tutta la pubblica amministrazione, compreso l'Inps, erano nella totale dipendenza della politica. Non c'era distinzione tra indirizzo politico e gestione, ciò che cercammo di correggere. Né potrei negare che le case di Roma servivano per fare favori. Del resto, era la legge stessa che invitava alla discrezionalità. Io mi considero una persona diligente, e, se mi consente la presunzione, onesta: come mi dovevo comportare d' fronte a una legge che mi obbligava ad affittare a prezzi determinati? E come scegliere tra Pinco e Pallino? 0 si davano tutte le case agli sfrattati, o si davano a inquilini che si presumeva che almeno pagassero, visto che non c'erano criteri per assegnarle in modo oggettivo». Lei ha fatto dei favori? «Si, qualche eccezione c'è stata». Ce ne vuol dire una? «Si, da un'alta carica dello Stato mi fu rappresentata, con congrue motivazioni, la situazione di Nilde Jotti, allora presidente della Camera». Quale carica dello Stato? «Non desidero dirlo». E quali motivazioni? «C'era, tra l'altro, da sistemare il patrimonio della biblioteca Togliatti. Occorreva un grande appartamento e, identificatolo in via Piemonte, servivano opere di ristrutturazione e di consolidamento dello stabile. Fu allora che mi accorsi che sulla materia non esistevano regole scritte: così chiesi una circolare alla direzione generale, che determinò il canone». Che cosa pensa dell'attuale presidente dell'Inps Gianni Billia, che ne è stato a lungo direttore generale? «E' uno dei migliori tecnici, dotato di grande progettualità, e mi aiutò ad affrontare la malagestione: oggi sono sinceramente amareggiato nel vederlo partecipare a questa incredibile confusione». Lo fa per ragioni politiche? «Le ragioni politiche valgono soltanto per i servi, non per le persone libere. Io fui, tra virgolette, il primo presidente comunista dell'Inps all'epoca del Caf e non mutai le mie convinzioni in base al contesto politico». C'è un obiettivo politico mirato nella vicenda dei fitti? «Ai complotti non credo, ma questa vicenda può avere effetti politici pestilenziali, fare di tutte le erbe un fascio è quasi sempre l'anticamera di scelte pericolose». Ma non le sembra normale che, cambiato il vento, nessuno sopporti più il sindacato che si è fatto Stato, come dice Bertinotti? «Potrei dire con De Rita: meglio inquilini d'oro che ladri, ma non lo faccio». Mettiamola diversamente: un leader sindacale che tratta con Romiti e con il presidente del Consiglio, può vivere con 3 milioni al mese o è soltanto uno stupido esercizio di pauperismo? «C'è una cultura pauperista che appesantisce tutta la sinistra, non soltanto il sindacato, quasi un eroismo infantile. Con 3 milioni, poi, per difendere la mia autonomia devo avere il privilegio della casa. Niente di male, se vogliamo, purché il benefit sia dichiarato». Secondo lei, D'Antoni, pagato tre milioni al mese o poco più, uscirà a pezzi dalla storia dell'appartamento ai Parioli con Jacuzzi? «Non lo so, ma posso testimoniare che me lo sono trovato accanto nella battaglia per innovare l'Inps, nella quale il nostro avversario era il pubblico impiego». Scherza? «No, e infatti mi sentivo un dannato: sindacalista, ma padrone» Alberto Staterà

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