Giolitti: serve un Dini-bis con una grande coalizione di Antonio Giolitti

Giolitti: serve un Dini-bis con una grande coalizione Giolitti: serve un Dini-bis con una grande coalizione LA SFIDA DELL'ULIVO ■CAVOUR O non ho nulla contro la candidatura a premier di Romano Prodi - dice al telefono Antonio Giolitti -. Come si può far derivare dal mio articolo un atteggiamento di sfiducia nei suoi confronti?». Questo protagonista della fase storica dei governi di centrosinistra, ministro della Programmazione, e negli anni Ottanta commissario Cee, ha pubblicato suW'Unità di ieri un polemico articolo [Subito alle urne? Abbiamo responsabilità verso l'Europa) in cui dichiara «irresponsabile andare alle elezioni politiche alla fine del 1995 o nel primo semestre del 1996», perché bisogna dare la precedènza agli impegni europei. On. Giolitti, lei non crede in Prodi? «Al contrario io credo che lui stia facendo lo sforzo di portare a galla un'identità culturale riformista europea dello schieramento di centrosinistra, ma non vedo perché non possa continuare a svolgere questo ruolo a prescindere da un ravvicinato confronto elettorale. Semmai mi duole una certa lentezza con cui procede: attendiamo con impazienza manifestazioni concrete di come affrontare i problemi che incombono». Ma fino a quando Romano Prodi può fare l'eterno candidato? «Sono tutti eterni candidati. Non vedo perché si debba considerare eterno candidato che rischia di logorarsi Romano Prodi e non altri che aspirano allo stesso ruolo. Ci sono personaggi politici anche di grande statura che hanno atteso ben più a lungo prima di sedere sulla poltrona di Palazzo Chigi». Quei personaggi erano però segretari ai partito, oppure parlamentari, rivestivano cioè ruoli istituzionali che Prodi non riveste. Quanto pesa questa differenza? «Che lui non sia un politico di professione, che lui non appartenga alla cosiddetta nomenclatura, perché dovrebbe costituire un handicap? Forse si teme che la candidatura protratta possa perdere di novità e freschezza, ma Prodi non è neanche un nuovo venuto nell'area politica, basta ricordare la presidenza dell'Iri». Per D'Alema e Prodi le elezioni non sono incompatibili con il semestre di presidenza europea. Sono degli irresponsabili? «Io lamento una sottovalutazione dei nostri impegni europei e non esito a esprimere una critica anche al segretario del partito a cui dò il mio voto, cioè il pds, perché questi impegni ricevono scarsa considerazione nelle sue dichiarazioni. Il semestre di presidenza è effettivamente di routine, ma durante il semestre avrà luogo la Conferenza per la revisione del Trattato di Maastricht, convocata a Roma, che come ho scritto sull'Unità rappresenta una fase costituente dell'Unione Europea ed è un impegno cruciale». Per quali ragioni? «Perché si tratta di un appuntamento politico in cui decidere il ruolo dell'Europea sulle iniziative di pace, sull'ordine inter- nazionale, e soprattutto sui problemi dell'area mediterranea. Mi preoccupa molto - e lo dico senza peli sulla lingua che un uomo attento come Massimo D'Alema non menzioni la conferenza, la consideri quasi una specie di accessorio del semestre di presidenza. Come dire: va bene, li ospiteremo sontuosamente, li porteremo in giro. Macché, scherziamo?» Perché le elezioni danneggiano la conferenza? «Se la conferenza intergovernativa si svolge a Roma nel primo semestre del prossimo anno, mi auguro che non vorremmo presentarci con una crisi di governo aperta! Potremmo però votare in novembre. Ma con un ruolo dei partiti così evanescente, lei crede che Babbo Natale ci regalerà un governo in grado di assumere la responsabilità del semestre e della conferenza?». Il centrosinistra può conti¬ nuare a farsi rappresentare da Dini, un uomo che non gli appartiene? «Infatti io penso non a un governo di centrosinistra ma a un Dini bis che poggi su una larga, grande coalizione». Con quale formula? «L'ipotesi a cui sono favorevole si può chiamare di coalizione alla rovescia: non una larga alleanza per esprimere un governo, ma un governo già esistente, forse da emendere o correg¬ gere, che coagula attorno a sé una grande coalizione». Lei ha fiducia in Dini? «Penso che dobbiamo far tesoro di un governo che ha mostrato la capacità di affrontare problemi vitali. Naturalmente resta un governo di emergenza, che nell'autunno del 1996 avrà esaurito il suo compito, però non prima». Ne farebbero parte sia pds sia Forza Italia? «Suppongo di sì. Quella che ve- do è una larga coalizione, dalla quale forse restino fuori le ali estreme, Rifondazione e An, con un programma che riguardi l'occupazione e il Mezzogiorno, ma il prius è l'Europa». Prodi ha obiettato che Dini non è stato legittimato dal voto. Che cosa risponde? «Che siamo in una fase di transizione, del tutto abnorme, direi patologica, quindi dobbiamo adottare procedure al di fuori della norma. Ma ho visto che lo stesso D'Alema accetta un Dini bis per l'autunno». Perché D'Alema vuole le elezioni? «Lui pensa che non ci sia altro da fare, che la situazione sia ormai bloccata. Invece no, prima di affermarlo bisogna sperimentare questa ipotesi della larga coalizione». D'Alema e il pds, se non si va alle elezioni, non rischiano di pagare prezzi impopolari senza portare a casa nulla? «No, non credo fondata la preoccupazione di un logoramento. Al contrario, lo schieramento di centrosinistra ha bisogno di tempo, per portare a termine il processo di rinnovamento. Il pds rappresenta un grande sforzo, lo so bene io che vedo pubblicato sul giornale del partito un articolo che va contro la posizione del segretario. Quando nel 1957 uscii dal pei, ben altra era la musica. Però bisogna far emergere meglio l'identità riformista europea. Confesso che sotto questo profilo sono rimasto molto deluso dal recente congresso tematico del pds. C'è da fare ancora un percorso né breve né agevole». Che cosa manca ai progressisti e Prodi? «Sono un cartello elettorale, non una vera formazione politica, che abbia una sua articolazione, ma anche una riconoscibile omogeneità. Invece continuo a vedere la Quercia e i vari cespugli, mentre l'Ulivo sta un po' lì. E' l'albero di Prodi, non ancora dello schieramento. Non credo che il tempo lavori a danno di questo progetto e che possa far svanire la candidatura Prodi. Il tempo anzi può essere un alleato prezioso». Alberto Papuzzi La Grosse Koalition in Germania tra edu (cristiano-democratici) e spd (socialdemocratici) dura quasi tre anni, dal 1° dicembre 1966 al 28 settembre 1969. Cancelliere è Kurt-Georg Kiesinger (edu), ministro degli Esteri Willi Brandt (spd), ministro delle Finanze il bavarese Franz Josef Strauss (csu). Dopo 17 anni di opposizione per la prima volta la spd ha responsabilità di governo. La Grosse Koalition nasce perché nessuna forza politica da sola era in grado di superare il periodo di recessione legato alla crisi del carbone nella Ruhr. Al termine della transizione ai cancellieri democristiani succederà Willi Brandt.

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