De Rita: meglio inquilini con lo sconto, che ladri

De Rita: meglio inquilini con lo sconto, che ladri De Rita: meglio inquilini con lo sconto, che ladri IL SEGRETARIO DEL CENSIS MI pare chiaro. Ci troviamo di fronte a quella "cultura dell'elenco" che ritorna, periodicamente, nella nostra società». La cultura dell'elenco, professor De Rita? «Ma sì, oggi è la volta dell'elenco degli inquilini, fino a poco tempo fa c'era l'elenco degli indagati, presto arriverà, che so io, l'elenco dei telefonini di Stato o l'elenco delle ass&nzioni negli enti pubblici...». Giuseppe De Rita, presidente del Cnel, segretario generale del Censis e, in definitiva, massima «istituzione sociologica» italiana, sta spendendo a Courmayeur i suoi ultimi giorni di vacanza. E dal buon ritiro valdostano guarda e commenta, a distanza di sicurezza, l'esplosione scandalistica di fine estate: «Affittopoli». Professor De Rita, non negherà che sugli affitti facili scatta una rabbia sociale comprensibile... «Certamente scatta il meccanismo della rabbia contro il privilegio. Però in questo caso non riesco proprio a trovarci il dramma. C'è più che altro un rancore pettegolo, che a me fa anche un po' sorridere. Non ci trovo un risvolto politico rilevante». Che fa, professore, minimizza? Non è d'accordo con chi grida alla TangentopoU-bis? «Veda, le chiacchiere che sentivo stamattina davanti all'edicola di Courmayeur risuonavano di indignazione. Ma provenivano, tutte, da persone che, come minimo, hanno una casa di proprietà a Roma o a Milano e la seconda casa qui. Il loro scandalo stava nel trovare nell'elenco degli inquilini Inps i nomi di alcuni uomini pubblici. Che evidentemente non vivono in una casa di proprietà». Non le pare una giusta causa di indignazione? «Mi pare più che altro il sintomo della riprovazione che provano i "patrimonializzati" verso gli "affittuari"». Si spieghi meglio, prego. «L'Italia delle case è un Paese strano. C'è una percentuale di famiglie proprietarie di case che è fra le più alte del mondo, oltre il 65%. Nella nostra società c'è, da sempre, una gran voglia di mattone. Che, unita a 50 anni di blocco degli affitti e ad una legge sull'equo canone che rendeva antieconomico dare in affitto una casa, ha impedito che si sviluppasse un vero mercato degli affitti. Che infatti non c'è mai stato, non c'è e non ci sarà. Chi può, compra: patrimonializza, cioè, sul mattone». D'accordo, ma che c'entra con gli affitti facili? «Le spiego. Diciamo che i patrimonializzati, cioè i proprietari di casa, biasimano questi affittuari, per aver cercato - aiutandosi con il proprio ruolo pubblico - un privi- legio banale, di quarta fila: l'alloggio pubblico a equo canone. Li biasimano come farebbero con un ladro di polli». Delinquente e pezzente, insomma? «Appunto. Ma in realtà chi paga un equo canone non è equiparabile a un ladro di polli, perché si limita a fruire di una legge dello Stato. Insomma, c'è una riprovazione morale per chi ha ottenuto un affitto facile sfruttando la propria carica pubblica; ma c'è anche e soprattutto un forte disprezzo sociale». Però, professor De Rita, molti inquilini «facili» appartengono alla nomenclatura sindacale e alla sinistra politica. E quindi al biasimo per l'«abuso di potere» si aggiunge l'accusa di doppiezza morale, predicare bene e razzolare male... «Veda, qui bisógna intendersi. Fare politica, dedicarsi alla vita pubblica, ha dei costi. Ma la politica deve poter essere fatta sia da chi ha soldi, sia da chi non ne ha». E allora? «Allora chi non ha soldi e vuol far politica, non può patrimonializzare sull'acquisto della casa, perché deve sostenere le spese per l'accesso alla politica e alla vita pubblica: la campagna elettorale, il presenzialismo, la rappresentanza, la pubblicistica. E la casa l'affìtta». Attenzione, però, a non legittimare la soddisfazione politi¬ ca di un interesse privato: se non ho soldi sufficienti per far politica senza rinunciare a comprar casa, col potere che mi deriva dalla politica, mi procuro un affitto «facile». «Ma sa qual è l'alternativa? Una sola, vecchia come il mondo: la politica per censo. Come a Roma antica: chi ha soldi fa politica, chi non ne ha, no». E non le piace? ((Agli antichi romani è piaciuto per secoli... Per quanto mi riguarda, sono piuttosto rassicurato, per esempio, dal fatto di trovare il nome di un leader sindacale nell'elenco degli mquilini facili. Sarei più perplesso se scoprissi che possiede tre case. Non conosco i bilan¬ ci familiari di Cossutta o Garavini, però è chiaro che persone come loro, se hanno 100 lire, le investono nella vita pubblica, più che in quella privata». Insomma, preferisce lo status quo a questa ventata di giustizia immobiliare? «Sto dicendo che non deve affermarsi il luogo comune secondo cui chi non ha soldi non ha diritti civili, in particolare non ha diritto di far politica. Il problema c'è già, non aggraviamolo». C'è già? «Be', per esempio, non so come farà finanziariamente Prodi a reggere una campagna elettorale troppo lunga». E se invece la logica del «censo» dovesse prevalere? «Finiremmo all'assurdo per cui la politica sarà davvero appannaggio esclusivo dei ricchi. Oppure di un'altra categoria: i ladri. Io dico, no grazie». Insomma, cosa le dà fastidio in questa storia? «Una cosa, soprattutto: il qualunquismo degli elenchi». Sergio Luciano A destra, Giuseppe De Rita, segretario Censis e presidente Cnel Da sinistra, Sergio D'Antoni e Armando Cossutta

Luoghi citati: Courmayeur, Italia, Milano, Roma