L'UOMO CHE IGNORAVA LA CASSA di Gabriele Romagnoli
Per il sostituto procuratore non si torna indietro: «Cessato il flusso del denaro pubblico» L'UOMO CHE IGNORAVA LA CASSA 1983, furto di tre casse di banane Chiquita all'Ortomercato; Natale '83, fuochi d'artificio: furti in serie al Super di Rozzano, da Croft, alla Standa e all'Euromereato di Paderno. L'elenco continua senza altre soste che non siano dovute a un breve soggiorno in carcere. Appena esce, Amendola va a fare la spesa. Ma la sua, assicura, è una storia da riscrivere. «Sono nato da famiglia contadina. Andavo a scuola e lavoravo. Poi ho smesso di studiare e lavorato e basta. Fino a che mi hanno mandato in guerra. Cinque anni d'inferno per questa Italia, avvocato. E in cambio? Una croce di guerra e tanti saluti. Quando sono tornato i miei genitori erano morti, i miei fratelli e le mie sorelle sposati e lontani, quella ragazza di Bari, lasciamo perdere che meglio. Ho deciso di andare al Nord e sono partito. A Milano ho trovato lavoro con un ortolano. Vendevo frutta e verdura in un banchetto da ambulante. Guadagnavo poco, ma mi andava bene. Mai versato contributi, però, mai chiesta la pensione. Non ci ho mai pensato, troppi pensieri avevo, in questa testa. Mi hanno fregato i pensieri, professore, e il cuoricino, e le donne. Ho rubato anche per loro. Ho cominciato per me, per mangiare, ma quando rubavo champagne lo facevo per loro. Rivendevo le bottiglie ai night e ci compravo un regalino per loro: per una che poi mi ha rubato anche dei soldi, rubato i soldi a me; oppure per mia moglie, che era barese, pensi che sbaglio dottore, dopo quell'altra fregatura. Ho divorziato appena hanno messo la legge. Ma io, per me, rubavo solo cose da mangiare. Una volta qui e una volta là, per non farmi conoscere, ma poi debbono essersi passata parola, quelli dei supermercati, perché mi prendevano sempre. Saranno state anche le telecamere. Io ce lo dico, ai giudici, che non sono furti, ma tentati furti, perché non ci riuscivo mica a portare la roba fuori, quasi mai. E allora, dico io, che danno facevo? Quelli si riprendevano la roba, se la rivendevano e ci guadagnavano. E a me mi mettevano in carcere, ma sono cose che si fanno? Lo so che si paga anche uno stecchino, ma io non ho portato mai via il pane di bocca a nessuno. Prendevo una pagnotta e ne lasciavo cento. E rubavo solo per mangiare, a parte la prima volta, che fu per farmi bello. I carabinieri me lo dicevano sempre: lascia perdere, ma non vedi che figure fai per quattro formaggini? Io gli davo ragione, perché ce l'avevano, poi ci ricascavo, magari per organizzare una ccnetta. Vede, professore, che fregatura avere un cuoricino buono?». Ha promesso di cambiare vita a decine di carabinieri, giudici e assistenti sociali. Lo fa una volta di più. «Ma adesso sono troppo vecchio per mentire e questa ultima condanna è stata troppo dura e io non voglio morire in carcere. Se mi rimettono fuori, uso i soldi che ho guadagnato lavorando in prigione, affitto un abbaino, aspetto la pensione che ho richiesto e giuro che non rubo più. Ormai mi è passata anche la fame, mi basta mangiare una volta ogni due giorni, come facevo nei Balcani». Aspetta l'udienza del 10 settembre, in cui potrebbe ottenere la liberazione anticipata o, almeno, la semilibertà. Percorre il corridoio che porta alle celle camminando al fianco di Pietro Maso, il ragazzo che uccise i genitori in provincia di Verona, reduce dal colloquio con un sacerdote. Quando è nella sua cella singola Vincenzo Amendola si fa compagnia con i suoi tanti pensieri e con la visione dei telegiornali. Dice che quando vede parlare da casa propria certi personaggi che hanno intascato miliardi si arrabbia e spegne, perché lui li guarda da lì, dal supercarcere di Opera, dove è finito per un furto da 170 mila lire commesso per fame. Gabriele Romagnoli
Persone citate: Amendola, Croft, Pietro Maso, Vincenzo Amendola
Luoghi citati: Bari, Italia, Milano, Paderno, Rozzano, Verona
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