Per Mauri una «Tempesta» di applausi di Masolino D'amico

Per Mauri una «Tempesta» di applausi Successo dell'attore, anche regista della commedia di Shakespeare in scena a Verona * Per Mauri una «Tempesta» di applausi Sei «vocalist» suggeriscono atmosfere soprannaturali VERONA. «La tempesta» narra come si sa di un duca di Milano spodestato ed esiliato (forse non ingiustificatamente, che trascurava i compiti pubblici per i prediletti studi di negromanzia), il quale dall'isola deserta dov'è approdato suscita un magico fortunale grazie al quale fa naufragare i suoi nemici, li spaventa e li soggioga, ma alla fine li perdona, avendo combinato le nozze fra la propria figlia e il figlio di un re. Molti considerano questo dramma come il capolavoro estremo di uno Shakespeare ormai in procinto di ritirarsi a vita privata, e approdato, sia pure dopo travagli dolorosissimi, a una visione di conciliazione e di premesse per un futuro migliore; altri, come Gabriele Baldini, lo considerano invece un lavoro fondamentalmente mancato, un tentativo di recuperare forze ormai esaurite, che approda talvolta alla poesia ma manca di coesione e soprattutto di tensione teatrale. Questo può sembrare blasfemo, ma in effetti dopo l'emozionante scena iniziale con la nave che si spacca e cola a picco - lasciamo perdere il problema di come realizzarla in teatro - non c'è suspense nella «Tempesta», che Prospero compare a raccontare tranquillamente i suoi progetti, e da allora in avanti, perle due ore successive, tutti gli altri personaggi diventano semplici burattini manovrati da lui. Così in molti allestimenti rispettosi, la storia della «Tempesta» è quasi la consumazione di un rituale scontato, coerentemente forse col fatto che il testo nella veste in cui lo abbiamo fu rappresentato a Corte in occasione delle nozze della figlia di Giacomo I con l'Elettore Palatino, unione su cui l'Europa protestante investiva grandi speranze. Ci sono tuttavia registi che cercano di ravvivare il lavoro puntando sui suoi spunti esotici e avventurosi: Strehler col suo galeone che sembrava uscire dal palcoscenico, Peter Brook col suo sciamano negro che si divertiva a spese di una comitiva di turisti nella giungla. Nella meditata e suggestiva regia visibile al Teatro Romano fino al 2 settembre Glauco Mauri sceglie senza esitazioni l'aspetto statico, facendo immaginare a Uberto Bertacca una specie di mare cobalto e luccicante che divora le prime file di poltrone, con in mezzo una piattaforma circolare nera, un po' pista da ballo di night, e un fondale anch'esso circolare e nero, disponibile a diventare parzialmente trasparente. Grazie alle luci di Peppe Izzo, l'azzurro del «mare» cambia colore, e questo spazio diventa sabbia o comunque zona praticabile; e sei vocaliste (il gruppo Vocinblue) imbacuccate in color lavagna suscitano atmosfere soprannaturali gorgheggiando temi di Arturo Annechino. Le vittime di Prospero, che indossa un saio e, sopra, una veste magica celeste, sono realisticamente in costume elisabettiano-spagnolesco, con prevalenza di rossi. L'unico momento in cui l'apparato non funziona è l'inizio, che il cilindro nero risulta poco credibile co- me tolda di nave, e il gagliardo filinone che dovrebbe suggerire la procella, insieme a grida e barcollamenti dell'equipaggio, fa poco per migliorare le cose. Ma tutto il resto dell'allestimento fila e convince. Un punto di forza è la limpida traduzione (in prosa: presto dovremo deciderci a tentare di tradurre Shakespeare in veri versi) di Dario Del Corno, che supera elegantemente la prova di sentirsi affiancare, nei pezzi comici di Stefano e Trinculo, brani di quella sublime in napoletano, di Eduardo; Mauri in particolare la declama con sorridente e ac- cattivante malinconia, solo vorremmo che non avesse ceduto alla terribile tentazione, quando contempla i ragazzi che ha messo insieme e che si sono puntualmente innamorati, di sussurrare a felice commento di demiurgo la scena del balcone di «Romeo e Giulietta». Il momento kitsch peraltro passa, e si ammirano le ottime prestazioni oltre che dei due partenopei Vincenzo Salemme e Nando Paone, i quali giocano in casa ma lo fanno con bella misura, di Vincenzo Bocciarelli, un Ariel agile e preoccupato, di Maximilian Nisi e di Pia Lanciotti, una trepidante coppia di colombe, di Andrea Tidona che è l'onesto consigliere Gonzalo; e di Roberto Sturno, un Calibano coccodrillesco, in parte coperto di squame verdi, ripugnante e contemporaneamente tenero. Eccessiva la lunghezza (180' con intervallo); ma pubblico catturato dalla serena eloquenza di Mauri, sommerso di applausi. Masolino d'Amico Eccessiva lunghezza ma il pubblico è ugualmente catturato Glauco Mauri con Roberto Sturno, che è un Calibano coccodnllesco, in parte coperto di squame verdi, ripugnante ma anche tètiero, in un momento della «Tempesta» di Shakespeare, al Teatro Romano di Verona

Luoghi citati: Europa, Milano, Verona