Gli italiani E' già polemica con Pontecorvo di Simonetta Robiony

Gli italiani Gli italiani E'già polemica con Pontecorvo ROMA. Sono tre i film italiani in concorso a Venezia: «Romanzo di un giovane povero» di Ettore Scola, sulla condizione giovanile con Alberto Sordi e il giovane e sconosciuto Rolando Ravello; «L'uomo delle stelle» di Peppuccio Tornatore con Sergio Castellitto, il racconto di una Sicilia Anni 50 visto con gli occhi di un imbroglioncello che gira le campagne promettendo soldi e successo a Cinecittà; «Pasolini: un delitto italiano» di Marco Tullio Giordana, la ricostruzione a vent'anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini dell'omicidio commesso dal ragazzo di vita Pino Pelosi. Gli altri, i moltissimi altri film italiani presenti alla Mostra, sono sparsi nelle sezioni collaterali da «Panorama» alle «Notti veneziane», da «Finestra sulle immagini» a «Corsia di sorpasso». Ed è proprio la scelta fatta da Gillo Pontecorvo di restringere a soli tre titoli la rosa dei candidati al Leone d'oro, che ha suscitato il disappunto di Daniele Cipri e Franco Maresco, famosa coppia di Cinico tv, invitati a Venezia con il loro film «Lo zio di Brooklyn», ma solo nella sezione «Finestra sulle immagini». Da qui la decisione dei due autori di non mandare per qualunque ragione questa loro opera prima al festival, decisione contrastata dal produttore Aurelio De Laurentiis cui la pubblicità derivata dall'esser comunque al Lido sarebbe andata bene, ma compresa da Gillo Pontecorvo che ha sempre difeso i diritti degli autori. Una polemica, questa, che s'è trascinata per l'intero mese di agosto, fuori e dentro il giro dei cinematografari, di quelli che fanno tv. di quelli che si occupano di cose culturali e affini. Tant'è che, per risolvere il caso, Pontecorvo aveva anche pensato di invitare «Lo zio di Brooklyn» fuori da ogni sezione per trasformarlo in un film-dibattito. «Ho proposto di presentarlo al pubblico domenica 3 settembre per riaffermare la funzione di grande laboratorio che ha la Mostra». Ma Cipri e Maresco non ci stanno. «Noi abbiamo fatto un film fuori da ogni schema come facciamo la tv. C'è una Palermo apocalittica, un mondo di uomini degradati, un dialetto strettissimo e mcomprensibile: la sola scena d'amore è lo stupro di un'asina. Andare in concorso con questa cosa tanto anomala ci divertiva. Andarci comunque non ci interessa». Per orgoglio? «Ma no. E' che le scelte dei film in concorso sono troppo canoniche, tradizionali. Noi le contestiamo. E non cambiamo idea». Neanche davanti alla cortesia di Gillo Pontecorvo? «Niente di personale. Pontecorvo è persona molto gentile. Anche se poteva evitare di insinuare che noi questa polemica la facciamo per pubblicità. Comunque ci siamo parlati e chiariti. Ma le posizioni restano inconciliabili. Noi pensiamo che chi dirige il Festival di Venezia deve avere più coraggio. Il nostro è un film nuovo, di sperimentazione: perché non ha fatto un gesto ardito e l'ha messo in concorso?». Un'esperienza da non ripetere questa del cinema, quindi? «No. Il nostro sarà il primo e l'ultimo film. Altri non ce ne faranno fare più. E ci sta perfino bene. Mica è il medico che ci ha detto di far film. Ma si tratta di coerenza. In un Paese di parolai se uno dice una cosa, deve pure portarla fino in fondo. E' una scelta politica». Con chi siete più arrabbiati? «Intanto con Aurelio De Laurentiis che ha fatto vedere a quelli di Venezia "Lo zio di Brooklyn" senza informarci. Poi con tutti i sedicenti giovani autori che pur di far cinema si lasciano comandare dai produttori e strisciano per andare nel salotto di Costanzo. Infine con questo prodotto medio che imperversa nelle sale, un cinema fatto solo per piacere al pubblico becero dei berlusconiani». Simonetta Robiony

Luoghi citati: Cinecittà, Pontecorvo, Roma, Sicilia, Venezia