QUELLA SERA IN CUI FUGGI' VON GUNTEN

QUELLA SERA IN CUI FUGGI' VON GUNTEN QUELLA SERA IN CUI FUGGI' VON GUNTEN IDEOLOGIE concorrenti e nuovi imperialismi, smiili agli iceberg che si distaccano dalla banchisa polare, andavano alla deriva per gli oceani della storia del XX secolo, viaggiando su rotte di collisione, travolgendo tutto quello che appariva ragionevole. Anche nelle vie adiacenti all'Istituto Benjamenta, una spugna di folla intrisa di ex individui, ingolfava le strade e infrangeva rabbiosamente le vetrine dei negozi che la riflettevano. Anche l'allievo Jakob von Gunten si chiese se non fosse il caso di scendere in strada per integrarsi; quale numero disciplinato, in quella cifra nuova, ma questo avrebbe significato rientrare in un collegio più grande. Con alcuni giorni di preavviso il Direttore aveva incaricato l'allievo von Gunten di fare una serie di preparativi, in vista d'una prossima partenza; senza svelare la data, tacendo sulla destinazione. Jakob aveva eseguito gli ordini, anche se già in passato si erano ripetuti inutili preparativi in vista di viaggi imminenti; partenze simulate fino alla portineria, a cui seguivano contrordini che annullavano il viaggio. Le destinazioni parevano scelte a caso sul mappamondo, visto come la roulette; erano prive di qualsiasi progetto commerciale o ideale che fosse. Le mete andavano dall'isola della Georgia, a Sud-Ovest delle Falkland, alla Nuova Caledonia, all'isola di Diego Garcia, nell'Oceano Indiano. Ma dopo una serie di forzati rinvìi, si era stabilito che sarebbero partiti l'indomani, per andare nel deserto. Ma quale deserto? Quello della Dancalia, del Sinkiang, del Nevada? Il Direttore gli sarebbe parso più credibile se gli avesse detto: si va all'inferno. A caccia di avventure. Jakob aveva sentito parlare di agenzie di viaggio che gestivano queste destinazioni stravaganti. Erano le pompe funebri e le chiese riunite. Lui ne ignorava l'autonomia spedizioniera, le modalità del trasporto, e il costo del biglietto andata e ritomo, ma si diceva che fosse accessibile a tutte le borse. Pur essendo un allievo modello, rispettoso e zelante in servizio, quella limpida e cieca fede nel po- IIpersonaggio di ifalser in cerca di identità: una passeggiata oltre il muro dell'obbedienza tere direttivo si era andata offuscando. La sua macchùia mentale si sottraeva nascondendosi ai comandi del Direttore o rispondeva in modo difettoso. Tutti gli ex allievi, tranne lui, avevano trovato sistemazione come servitori presso famiglie rispettabili di molte città dell'Impero. Jakob era l'ultimo rimasto e perciò si credeva un inetto, lasciato al peggior offerente. Il Direttore era convinto che in vista della partenza non c'era più nessun rischio a estrarre dalla cassaforte il documento d'identità cartacea, e restituirlo all'allievo von Gunten. Essendo stato sottoposto allo speciale trattamento di cancellazioni; dell'Io, durato molti anni, la cui collaudata efficacia escludeva ogni rinascita di identità. Jakob ne era sempre stato consapevole; senza quella carta, rimaneva l'allievo «nessuno». Ma avendola tra le mani, di colpo era ridiventato se stesso, poteva esportarsi fuori, oltre le mura dell'Istituto. Rispecchiando per gioco lui e la fotografia del documento nello scrostato specchio della camerata, vide che tra le due immagini non c'erano rilevanti differenze di fisionomia. Si era deciso a fuggire dall'Istituto, e tale fuga era possibile solo perché aveva già elaborato il sentimento del distacco dal Direttore e dall'Istituto, che non vedeva decaduto per lesioni murarie, ma per la line della sua funzione pedagogica. Quella sera, Jakob rimase sveglio; non cercò di immaginare la stazione da cui partiva ogni notte, per le città più lontane. Non sali a caso, come faceva di solito, su un vagone letto, per prendere sonno, indifferente alla destinazione del treno. La portineria era incustodita, ma come er? prevedibile non uscì dal portone principale, chiuso da un semplice catenaccio e cosi aggiunse ulteriore segretezza alla sua insospettabile via di fuga. Evitò di andare in palestra a prendere la fune che gli occorreva per calarsi dal muro di cinta, alto una quindicina di metri, temendo che quel prelievo potesse allarmare il sospettoso Direttore. In vista della prossima fuga aveva provato e riprovato a fare diversi nodi, per scegliere infine il cosiddetto nodo a «bocca di lupo». Aveva girato l'occhiello d'una doppia cordicella intomo a una matita, facendovi scorrere attraverso i due capi dello spago, avendo in teoria, non una, ma due funi per la fuga. Da abile ginnasta si arrampicò quasi in cima al tiglio, che era non troppo distante ma neanche lontano dal muro di cinta, e quando si trovo in alto, barcollò. Si sentì venire meno por l'effetto intenso del profumo dei fiori, e per avere addosso l'aggravio del lungo tubo, simile a una grossa matassa di gomma. Lo stesso nodo fatto intomo alla matita, lo fece intomo a un robusto ramo, usando il tubo di gomma che serviva a innaffiare l'orto dell'Istituto. Come il novizio funambulo che si trova in bilico sulla corda, lui lo era su im ramo. Aggrappato al doppio tubo, volò oltre il muro, lasciandosi calare e camminando a ritroso sulla parete come un alpinista, fino al marciapiede. Poi arrotolò quei metri di tubo rimasti, lanciandoli oltre il muro, per cancellare ogni traccia esterna di fuga. Si ricordò di un allievo, un «rinnegato», perché fuggito dall'Istituto senza aspettare la destinazione che gli avrebbe assegnato il Direttore. A lui, Jakob aveva insegnato i primi rudimenti della lingua inglese per maggiordomi. Alcune voci lo davano per disperso, altre che lavorava al consolato degli Stati Uniti, in Luzerstrasse, a Ginevra. Jakob si assicuro di avere il suo documento di identità, esso gli consentiva di rimpatriare, e anche di chiedere un impiego di portiere al consolato americano di Ginevra. La conoscenza della lmgua inglese gli avrebbe garantito una definitiva neutralità nella neutralità. Valentino Zeichen

Persone citate: Diego Garcia, Valentino Zeichen

Luoghi citati: Dancalia, Falkland, Georgia, Ginevra, Nevada, Nuova Caledonia, Stati Uniti