LONGANESI FRIGGE VELENI NELL'OLIO

LONGANESI FRIGGE VELENI NELL'OLIO LONGANESI FRIGGE VELENI NELL'OLIO vecchiotta, di vestigie dell'Ottocento: centrini della prima comunione e forfora da cassetto. Nel profondo il «conservatorismo fascista» di Longanesi è stato anche questo, la goccia di rosolio del rimpianto camuffata dagli stivaloni del regime, da un virilismo di parata fragile e un poco imbarazzato. Lo ammette lui stesso: «Nella vecchia casa dei nonni in Romagna si conservano ancora sotto campane di vetro i pettirossi e i martin pescatori imbalsamati: là io sono cresciuto, là ho letto la vita dei grandi briganti, là ho imparato i proverbi, fra un odore di salvia e di prezzemolo ho imparato ad essere italiano». Tutto chiuso lì dentro, esplosiva miscela. Un Gozzano incattivito che spara veleni e aforismi, invece di versi, di crepuscolare catarro. Ma la radice della nostalgia rimane, sia pure mascherata da acuminati proiettili strapaesani e unghiate gradasse: tutto finisce in un sapore di zafferano. Quello stesso che scopre nella pittura di Goya. Così le sue figurine si ammosciano nell'olio (nella frittura casalinga della pittura ad olio), si piegano e svirgolano nella pasta generosa e barocca della sua tavolozza dai colori marciti, proprio come dei calzerotti che hanno ceduto l'impettita parata della giarrettiera ed ora mostrano la loro sorpresa svenevolezza. Buoni borghesi inflacciditi, presidi carducciani dall'alito mefitico, donnine pronte a impegnare la propria onorabilità: perfido ritratto d'un'asfittica Italietta che si vorrebbe littoria, schizzata (di bile), non senza una sfumatura complice di ecumenica pietas. E poi quest'idea oggi ancora tristemente a la page (davvero, non si cambia mai!) che contro quei cannibali dei comunisti a salvarci non rimangano che le Vecchie zie. Leo Longanesi e il libro d'arte, s'intitola e a ragione questa bella mostra (che nel catalogo riserva la sorpresa d'un patrimonio davvero impressionante di documentazione da parte di Giuseppe Appella): perché l'occhio di Longanesi, anche quando dipmge, è «tipografico», impagina, scorcia, tratta le figure come dei capilettera miniati contemporanei. La sua scrittura è una vignetta. Come la sua fantasia, icastica, ritagliata: un cliché xilografi- CHE rivoluzionario genio tipografico fosse Longanesi ce l'ha raccontato su queste pagine Oreste del Buono. E il pittore? Ce lo svela una bella mostra a Maratea con un libro - catalogo delle Edizioni della Cometa (Longanesi e il libro d'arte, pp. 200, L. 40.000). Di autoritratti di Longanesi se ne trovano pochi, in pittura. Forse perché preferiva «scriversi», disseminarsi nelle sue lettere. «Gentilissimo Signor Soffici, io sono quello piccolo, di Bologna, seduto alla sua destra, quello che parlava sempre. Lei mi invitò a mandarle qualche disegno: ebbene, io abuso delle frasi che si dicono così, per cortesia». Nemmeno «io ero» quello di Bologna: ma «io sono». Perché Longanesi l'Incontenibile è convinto d'essere ancora presente, a grufolare nella memoria di Soffici: è ancora lì che parla, che parla. Ammette d'esser transitato «per tanti ismt». Ma adesso cerca se stesso: «Da quel giorno fino ad oggi sono passato attraverso ogni specie di tendenza per cercarmi. Non mi sono ancora completamente trovato, ma sto guarendo dagli arseni cerebrali, dalle curve + rette, dai coni + quadrati e vo arrotolando il mio segno con disinvoltura». Soffici - salamandra che è passato anche: lui indenne per il fuoco delle avanguardie - potrebbe essere il terapeuta giusto, «perché lei faccia conoscenza come celebre medico del mio disperato passato». Lui stesso indica una curiosa genealogia, che tocca «Masaccio, Fattori, Goya, un filone che mi par buono». Strana mistura davvero. Ma Longanesi dipinge come pensa, come respira, come parla, irrefrenabile, pronto a colpire. Come quando, precocemente vecchio, legge Cechov, si commuove e subito reagisce: «Cechov ci suona l'arpa dei rimpianti, ma all'indomani si esce decisi a sputare sul primo cuore infermo che si trova». Per debolezza, per accettata vigliaccheria. I rimpianti. In fondo, se si guarda nell'insieme l'affettuosa retrospettiva, la prima cosa che viene all'olfatto è proprio questo cercato odore stantio cii miseria e di nobili <•// luignonte» di Leu Li influirsi in musini a Minutili

Luoghi citati: Bologna, Maratea, Romagna