ROMANZI BUONISTI di Marco Vallora

ROMANZI BUONISTI ROMANZI BUONISTI Perché in libreria trionfa la voglia di sentimenti mentre la cronaca racconta guerre, violenze, stupri 0cvs 1 massa che legge romanzi che giocano tutte le loro carte sui sentimenti più semplici, più attraenti. E poi c'è un lettore raffinato, che si dedica alle opere di Robert Walser si fa la richiesta di chi legge. Ma questo atteggiamento non riguarda l'intera massa dei lettori? «Non proprio tutti. Esiste nel pubblico una spaccatura verticale - osserva Maria Corti -. C'è il pubblico di Nessun recondito desiderio di buoni sentimenti. Al contrario. Cuore non fa affatto rima con amore e anzi, quanto più lo scenario sociale e culturale si imbarbarisce, tanto piii stucchevole e dolciastra 0 di Thomas Bernhard, di Tahucchi, di Manganelli, di Morselli, dei ibii Adelphi o dei saggi di alto livello. La differenza rispetto al passato però è molto radicale e non dilende dai lettori. Sono i giornali I che indirizzano verso esigenze sbagliate. In altre epoche quotidiani e | settimanali si occupavano solo della letteratura e della saggistica "alta", e tralasciavano tutto il resto, Adèsso avviene il contrariò e si scrive soprattutto di libri che raggiungono le alte tirature». Il clima delle vacanze sollecita tanti istinti. Anche i più diversi e perversi per cui, forse, un frettoloso acquirente all'edicola di una stazione ferroviaria, prima di partire, può comprare L'aite di amare pensando di aver trovato un moderno kamasutra o quanto meno un manuale per scoprire i piaceri del sesso. E c'è anche quello che scambia i romanzi della Di Lascia o della Ta maro con romantiche storie «in ombra», sotto le stelle. Ma per quelli che non sbagliano c'è un gran desiderio di ricerca nel profondo, di indagine e scavo nei legami e nei rapporti: come mai tutto questo desiderio di introspezioni!? «Se la povera Liala rivivesse avrebbe molto più successo di quanto non ne ha avuto in passato. Si cerca un antidoto alle prime pagine dei giornali - commenta Luciano De Crescenzo -. Per questo siamo tornati in un'epoca in cui i sentimenti tirano, vanno per la maggiore. Le donne costituiscono la maggioranza dei lettori. E proprio le donne sono innamorate dell'amore. Ma se prendi un giornale ti rendi conto che le prime dodici pagine sono dedicate alla politica. E le donne, salvo la Pivetti o la Maiolo, di tutta questa politica se ne fregano. E poi, forse, è vero che si leggono questi libri perché non c'è nient'altro in circolazione, perché manca, ad esempio, un Nome delia rosa». Mirella Serri co. Per questo ammette di amare l'arte popolare, di preferire le pipette di terracotta a una scultura di Wildt. «Fin da ragazzo ho voluto gran bene ai lunari, al libro dei sogni, alle carte da gioco, alle etichette delle bottiglie, ai ricami ottocenteschi della nonna». Così è giusto esporre in mostra anche l'incredibile coperta che si è fatta ricamare dalla moglie (figlia di Spadini) con inserite tutte le litografie da scatola di fiammiferi. Oppure quei brevi apologhi-monogrammi che sancirono la sua elegante visione di genio dell'editoria. «Preferisco due parole a 100, purché in quelle due sian racchiuse le altre cento». Essenzialità un po' rude e battute fulminee: «L'arte è un incidente da cui non si esce mai illesi». «Fra il vero e l'arte c'è di mezzo la tela». In fondo, anche nei primi schizzi, quando fa il cubo-futurista alla Annenkov, è rimasto ancora il vitellone romagnolo che sogna una farmacia, per potersi rimirare quelle «lettere di smalto bianco appiccicate con lo stucco alle vetrine della bottega»: il suo immaginario è incisivo e primordiale, in caratteri a cassetta. E i caratteri tipografici se li vede animarsi contro, come viventi: «Gli elzeviri non li posso sopportare, con quell'aria da infelici, miseri». Cosi si fa bodoniano. Raimondi se lo ricorda, questo Radiguet autarchico, questo nano di Strapaese, con i knikerbocker da ragazzino, la cravatta alla lavallière, tutto bardato Old England nonostante il suo «fascismo sentimentale», felice di assomigliare a Buster Keaton, mentre pontifica con il mozzicone in mano. Parlava con la matita. Sempre pronto, con gli amici, a progettare riviste, a clùedere loro delle piccole cose, «poesiole», «sfottetti», «ricettine» , coll'understatement sano della cuoca che si schennisce dai complimenti, che piovono sui suoi manicaretti. Lui che ha precocemente importato nei suoi fogli Grosz, Kokoschka, Ensor, Kubm, Schiele, è disposto soltanto a preferire quella pittura genuina, un po' «impolverata», del suo Morandi. «Io sono soprattutto dalla parte di Sant'Antonio, anche se leggo Voltaire». Marco Vallora