Genova trincea di paura

Molotov sugli zingari e minacce al sindaco: «Nel nostro parco pubblico non li vogliamo» Molotov sugli zingari e minacce al sindaco: «Nel nostro parco pubblico non li vogliamo» Genova, trincea di paura Quartiere contro il campo-nomadi I FUOCHI DI UNA CITTA' GENOVA DAL NOSTRO INVIATO Questi sarebbero i rivoltosi. Un signore con la barba grigia e pochi capelli in testa, un altro che avrà 50 anni e una pancia che piega la cintura, una signora dai fianchi larghi e il tailleur rosa un po' stazzonato. La strada sale e il mare lo si può immaginare, oltre quei palazzi, dai balconi fioriti degli ultimi piani. Genova per noi. Per loro, «non c'è più religione». La signora in rosa si strapperebbe i capelli: «Li vogliono mettere lì, gli zingari, capisce? In quel bosco, dove noi chiediamo un parco pubblico. Al posto del verde, ladri straccioni e sporcizia». Questi sono i rivoltosi. Questi e un'ombra che sfugge nella notte, quando Gianni Prola, quel signore dalla barba grigia, s'addormenta con l'incubo dei nomadi sotto casa. «Era un ragazzo», dice l'agente della Digos che ha visto l'ombra. Dietro il cespuglio, ha lasciato una molotov, l'ultima della serie, dopo quelle tirate nel campo, e dopo quelle minacciate al prete e al sindaco. Genova ogni tanto si ribella, e ci sarà ben un motivo. Questa città in crisi scoppia di emarginati. Spariscono gli operai, arrivano i senzalavoro e i senzaniente, come in un ritratto da paleocapitalismo. Due estati fa, gli scontri con gli extracomunitari, pietrate e assalti all'arma bianca fra piazza Caricamento e piazza Cavour. Tre anni fa, alle circoscrizioni di Molassana e Struppa, blocchi, urla e minacce, perché non volevano gli zingari. Come oggi, a Quarto Alto, una battaglia che dura dal 16 agosto, ore 6 e trenta di mattino, tirava un po' di brezza e i tir venivano su per la strada che non vede il mare, con la scorta della polizia e le impalcature per il campo nomadi. Da allora, sassi, bombe, minacce e 13 denunciati. Per ora. «Ci denunciamo tutti», giurano i rivoltosi. E raccolgono firme, tutti, compresi quelli del pds e nonostante gli strali del partito. La battaglia dura, e il sindaco Adriano Sansa se la vede con il prefetto. Antonio Di Giovine. Comunicato: «Tranquilli. Sistemeremo tutto, ma dopo il 7 settembre». Appunto. Slitta l'insediamento. Messaggi di pace: «Ci staranno solo sei mesi, non un giorno di più. E ora rallentiamo i tempi di insediamento». E messaggi di guerra: «Si va avanti, anche se più piano. Prenderemo tutte le precauzioni, aumenteremo la vigilanza». LA STORIA. Da dove cominciare? Dal 14 agosto, dice Gianni Prola, 47 anni, imprenditore, uno dei leader della protesta. Perché alla vigilia di Ferragosto, il vicesindaco Anna Cassol se ne esce con una promessa: «Non faremo niente. Gli zingari non li mettiamo a Quarto Alto». Non passano nemmeno due giorni e al mattino del 16 i camion se ne vanno su per insediare il campo. Così, comincia la rivolta. Lancio di pietre e folla che avvampa. Quarto Alto sta sulla collina, con le case squadrate e i terrazzi di cemento che sognano il mare, le strade che soffocano di macchine e soltanto un boschetto oltre questi palazzi, proprio dove vogliono sbattere gli zingari: sei famiglio Rom, 36 persone in lutto. «E' un posto bellissimo, una terrazza fiorita sul mare», dice Prola. Eh, Genova per noi. Sulla terrazza fiorita, è dura la rivolta. Tre molotov contro i prefabbricati adibiti a servizi igienici. Bum! Un po' di fumo e un po' di nero, la mattina del 16 agosto. Sono le 7,30, i camion sono arrivati da un'ora appena. Blocchi stradali, e riunioni. «Tutto il quartiere ha partecipato alle manifestazioni», dice Prola. Violenza? Ma no: «Può darsi che nei primi momenti di stupore e rabbia qualcuno abbia trasceso. Ma sono stati piccoli episodi». E allora, botte agli zingari e soldi per la Bosnia, «per i profughi veri», come li chiama Prola: «Noi non vogliamo passare per quelli che respingono i bambini feriti in arrivo dalla Bosnia. Anzi, proprio ieri abbiamo iniziato una raccolta di fondi per loro». E poi, ecco pronta un'altra raccolta di firme, questa volta contro il sindaco che fa orecchie da mercante e dice: «Ne riparleremo il 7 settembre, in Consiglio Comunale». Un avvertimento o un rinvio? LE MINACCE. Adriano Sansa, forse, paga le sue origini. E' un ex pretore, un grand'onesto un po' in difficoltà quando si deve mediare, un cattolico devoto che prima di tutto crede nella parola del Vangelo. Ma in questa città martoriata dalla crisi non tutti oggi riescono a distinguere così facilmente i sepolcri imbiancati dalle meretrici e dai pubblicani. Così, a guardarsi bene intorno, con il sindaco ci dev'essere la giunta e basta. Dall'altra parte, nella mischia, ci sono pure i folli. Un telefonista, alle 15,20 di domenica: «Abbiamo 13 chili di tritolo per il sindaco. Faremo saltare in aria la sua casa di Sant'Ilario». Altro telefonista, lunedì mattina: «Dite ai 5 vigili urbani che scortano Sansa di stare molto attenti, con il dito pronto sul grilletto». Il sindaco non è tipo da spaventarsi. I suoi alleati, forse sì. Sui muri le prime scritte: «Sansa ti cacceremo via». IL PARROCO. Dal pulpito, alla Messa grande delle dieci, domenica mattina, don Luciano Divona tuona contro «chi ha una fede così piccola e così tiepida da non accogliere sei famiglie di nomadi. I veri pericoli vengono da quelli che stanotte urlavano come bestie e stanno nell'egoismo di ciascuno di noi». Don Luciano tuona, e i fol- li si ridestano. Altro telefonista, lunedì, alle 14,30: «C'è una bomba nella Chiesa di San Giovanni Battista. Scoppierà nel pomeriggio». Accorrono gli agenti della Digos e gli artificieri. Per fortuna, nessuna bomba. Don Luciano va in pellegrinaggio dai leader dei rivoltosi, il signore con la pancia, l'altro con l'erre moscia, quello con la barba e la signora col tailleur, nello stato maggiore di via dei Ciclamini. Dietro ai serbatoi d'acqua, nel futuro campo dei nomadi, vengono lanciate altre molotov e vengono ritrovati tre razzi da barca. Genova per noi, potrà sembrare un po' impazzita. Don Luciano fa una piccola retromarcia: «Ma quale anatema! Quale scomunica! Non li ho mai chiamati vigliacchi o belve, non li ho mai sbattuti fuori dalla Chiesa. Ripeto solo che il cristiano deve condannare l'egoismo, non deve escludere l'altro per perseguire il proprio interesse». Povero don Luciano, in mezzo ai sordi. GLI ZINGARI. Aspettano. Con un po' di paura: «Se andassimo adesso verremmo protetti. Ma dopo, quando nessuno ne par¬ lerà più?». Eppure, a Molassana, dove la gente scese in piazza due anni fa perché non li voleva, hanno finito con l'accettarli. Furti pochi, piccola roba. «Credo che oggi nessuno scenderebbe più in piazza come allora», dice Giustino Giannone, del Sampdoria Club. Perché? «Perché non ce li hanno messi vicini, sotto al naso», come risponde Benedetto Collana, uno di quelli che s'è calmato. Tutto qui. Fa un po' effetto, ma è così. E' Genova che scoppia. Pierangelo Sapegno «Abbiamo paura, andiamo a dormire come se fossimo in guerra» Il parroco: egoismo da condannare Telefonate anonime in Comune «Abbiamo 13 chili di tritolo Faremo saltare in aria la casa di Sansa» M ìùlj Il sindaco di Genova Adriano Sansa e un momento della protesta contro i nomadi I poliziotti scortano i camion con le attrezzature per il campo nomadi