LOY il regista che sfidò la tv

Stroncato da infarto mentre era in vacanza a Fregene: in ottobre avrebbe compiuto 70 anni Stroncato da infarto mentre era in vacanza a Fregene: in ottobre avrebbe compiuto 70 anni il regista che sfidò la tv NELLA bella intervista su (d'Unità» di venerdì scorso, Nanni Loy viene inquadrato dalla giornalista Matilde Passa sulla veranda della sua casetta in affitto di Fregene, affacciata sulla folla della spiaggia libera. Sicché, arrivando improvvisa la notizia della sua scomparsa a due mesi dal fatidico traguardo dei 70 anni (era nato a Cagliari il 23 ottobre 1925), ci riesce difficile pensare che Loy non sia ancora seduto là, davanti alla variopinta umanità dei bagnanti ferragostani, a cogliere al volo stralci di conversazione e scenette gustose. Magari divertendosi a immaginare un intervento di provocatore in incognito, come in «Specchio segreto», la trasmissione televisiva che alla metà degli Anni 60 gli diede tanta popolarità. Ricordare in prima battuta un cineasta per la sua attività sul piccolo schermo può sembrare un paradosso, ma quella di Nanni è una figura di regista paradossale, a partire dal fatto che ha sempre combattuto il divismo d'autore. Per lui i veri creatori del cinema italiano del dopoguerra sono stati gli sceneggiatori, da Cesare Zavattini a Sergio Amidei, cui aggiungeva volentieri Age, Scarpelli e altri. E forse proprio per consonanza con questi grandi osservatori della vita di ogni giorno Loy è stato uno dei pochi intellettuali a non snobbare la televisione, mezzo ideale per consentire la pratica del cinema-verità. Laureato in giurisprudenza, si era iscritto al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e aveva fatto una proficua gavetta come assistente di Augusto Genina, Goffredo Ales sandrini e Luigi Zampa e firma to due co-regie con Gianni Puc cini («Parola di ladro» e «Il ma rito») prima di realizzare la sua opera di debutto, «Audace colpo dei soliti ignoti» (1959). Il successo del seguito del fortunatissimo «I soliti ignoti» di Mario Monicelli gli aveva permesso di girare il progetto che gli stava veramente a cuore, «Un giorno da leoni» (1961): storia di tre giovani amici che con l'8 settembre '43 acquistano una coscienza politica. Su un piano intimista è la stessa parabola che a livello etico è raccontata nel successivo «Le quattro giornate di Napoli» (1962), dove a uscire da un'atavica rassegnazione è l'intera cittadinanza partenopea. Questi due film, che restano fra i suoi migliori anche se a suo tempo la critica gli imputò da una parte un eccesso di ideologismo e dall'altra un debordante sentimentalismo, nascono dal fervore idealistico tipico di un giovane formatosi negli anni della rinascita del Paese. Però non passa molto che Loy si trova a descrivere, in «Il padre di famiglia» (1967), un'amara situazione di riflusso i cui protagonisti, marito e moglie, si scoprono imborghesiti e alle prese con le difficoltà del quotidiano. In questo breve percorso si possono già ravvisare i pregi e i limiti del cinema di Loy, sempre attento alla società, alle sue ingiustizie e alle sue trasformazioni pur concedendosi a più corrivi toni di commedia e inciampando non di rado in occasioni futili. Tra i film memorabili del regista va certo annoverato «Detenuto in attesa di giudizio» (1972), uno dei classici di Alberto Sordi, spesso citato nell'eterno dibattito sul garantismo, che tra l'altro nacque da un'inchiesta tv. Così come «Café Express» in cui Loy, rifacendosi alla propria esperienza di scopritore di piccoli segreti individuali (la trasmissione si chiamava «Viaggio in seconda classe»), ritagliò dalla realtà uno straordinario personaggio per Nino Manfredi, venditore abusivo sui treni del Sud. In mezzo ad altri titoli più trascurabili spicca in seguito «Mi manda .Picone» (1984) con il meschino Giancarlo Giannini costretto ad addentrarsi nei labirinti della camorra. Tuttavia l'impegno di regista, reso sempre più precario dalle traversie che incontrano nel cinema italiano i progetti ambiziosi, non esaurisce l'attività di Loy, che tra video e pellicola si allarga e prosegue in maniera intensa e multiforme. Includendo prestazioni come intrattenitore garbato e caustico, oltre a partecipazioni come attore in film altrui. E a questo proposito si ricorda soprattutto il suo importante contributo al polemico «Lettera aperta a un giornale della sera», dove Nanni in sintonia con il regista Francesco Maselli istruisce un autoironico processo alla sinistra. Non a caso il nostro si è trovato sempre in prima linea nelle assemblee e nei confronti, fuori e dentro le associazioni professionali, riguardanti la situazione e l'avvenire del cinema nostrano. Manifestando nel tempo, al pari di tanti altri, una crescente sfiducia nelle opzioni miglioriste, ma senza mai rassegnarsi al peggio. Alessandra Levantesi TUTTI I SUOI FILM 1957 II ladro 1958 II marito 1959 Audace colpo dei soliti Ignoti 1961 Un giorno da leoni 1962 Le quattro giornate di Napoli 1966 Made in Italy 1967 II padre di famiglia 1970 Rosolino Paterno, soldato 1971 Detenuto in attesa di giudizio 1973 Sistemo l'America e torno 1976 Signore e signori buonanotte (episodio Basta che non si sappia in giro) 1980 Caf è express 1983 Testa o croce 1984 Mi manda Picone 1985 Amici miei atto terzo 1988 Scugnizzi 1992 Pacco, doppio pacco e contropaccotto «Detenuto in attesa di giudizio» fu un suo lavoro memorabile. «Mi manda Picone» diventò addirittura un modo di dire «Specchio segreto» lo rese popolarissimo nella Rai del 1965 Era di sinistra e sempre autoironico ROMA. Nanni Loy, che avrebbe compiuto 70 anni il 25 ottobre, è morto d'infarto all'alba di ieri, a Fregene, nella villa (di proprietà di Gillo Pontecorvo) in cui trascorreva le vacanze. I funerali si svolgeranno domani alle 17 in Campidoglio, poi la salma sarà cremata. Giannini e Lina Sastri Sopra: Loy in una mitica scena di «Specchio segreto»

Luoghi citati: America, Cagliari, Napoli, Roma