Il latino non è morto, declina anche il fast_food di Giorgio Calcagno

Il latino non è morto, declina anche il fast_food Dal computer allo slalom: un manuale di conversazione moderno per la lingua di Cicerone Il latino non è morto, declina anche il fast_food Il ketchup diventa «liquamen aurimalaceum»; l'aragosta, «locusta marina» L OQUERISNE latine?». Se uno risponde no è già bravo. La maggior parte, oggi, non capisce neppure la domanda, compresi molti che, un giorno sempre più lontano, hanno studiato il rosa-rosae sulla grammatica della prima media. L'ultima grande occasione per parlare latino, nel mondo, fu il Concilio Vaticano II, aperto nella lingua di santa madre Chiesa con l'illusione che i vescovi di tutti i Paesi si capissero fra loro. Dopo le prime riunioni arrivò a Papa Giovanni una supplica perché ognuno potesse parlare nella propria lingua, e qualcuno traducesse per gli altri. Anche nel cuore della cattolicità il latino si va rarefacendo. Nei seminari non si usa più per l'insegnamento della teologia dalla fine dalla guerra. Gli sono rimasti abbarbicati, ultime isole, i canonisti e soprattutto i giudici della Sacra Rota, che pubblicano nella lingua di San Gerolamo le loro «decisiones». Forse anche perché sarebbe imbarazzante, per quegli uomini così timorati, tradurre in italiano espressioni come impotentia coeundi o ejaculatio ante portas. I comuni preti, quando si trovano con un confratello straniero, parlano inglese; con poche, memorabili eccezioni, all'Est. Monsignor Franco Peradotto ricorda l'incontro con un vecchio prelato di Byalistok, all'inizio degli Anni 80. «Estne verum quod italici prò comunismo votant?», chiese il polacco. «Ja», rispose l'italiano, che lì per lì aveva dimenticato l'«ita». «Horror!» esclamò grave l'altro. E monsignor Peradotto non sa ancora oggi se quell'horror fosse per il voto comunista in Italia o per la sua risposta in tedesco. Al di fuori della Chiesa sopravvivono, e anzi sono in crescita, ri¬ stretti circoli di appassionati, fra gli hobbisti e i nostalgici della cultura classica, che tentano, in disperata rivalità con gli esperantisti, di usare il latino come lingua di comunicazione internazionale. A Helsinki la radio trasmette ogni sabato sera i suoi «Nuntii latini», perché quelle notizie possano essere capite in tutta l'Europa non finnofona. A Recanati escono in latino due riviste a fumetti, indirizzate ai ragazzi: «Adolescens» e «Juvenis». Con qualche sforzo una società intemazionale di docenti universitari promuove ogni anno viaggi in pullman per l'Europa, dove tutti devono usare rigorosamente la lingua di Cicerone. Ci fu qualche imbarazzo, un giorno in cui il pullman si bloccò in Germania, quando uno dei professori cercò di spiegare agli altri il guasto che si era prodotto al motore. E adesso, per aiutare anche quelli del rosa-rosae a parlare latino, esce in Italia un manuale di conversazione. Lo pubblica Vallardi, nella stessa serie dove sono già usciti volumetti analoghi per il tedesco, l'inglese, lo spagnolo, il russo. Con qualche problema in più, intuibile fin dalle prime frasi suggerite all'aspirante conversatore: «Latine in schola didiceram, sed magnani parieni dedidici» (avevo imparato il latino a scuola, ma l'ho in gran parte disimparato). Non c'è solo la mancanza di esercizio. Ci sono tutti i termini moderni, che bisogna reinventare nella lingua antica. L'autore del manuale, Davide Astori, è ottimista: «Nihil latine dici non potest» (non c'è nulla che in latino non si possa dire). Anche perché molti termini moderni vengono di lì, possono compiere utilmente il viaggio di ritomo. Dal fotografo, per esempio, si può chiedere una «pellicula» sicuri di essere capiti. Il «computatrum» rimanda direttamente al computer. E se in aereo qualcuno, dopo essersi slacciato la «cinctura securitatis», chiederà alla «ministra» (la hostess) dove sono i «loca secreta», avrà buone probabilità di arrivare alla toilette. Ma, al ristorante, provate a chiedere il «liquamen aurimalaceum» se volete il ketchup; o la «locusta marina» se avete deciso di concedervi l'aragosta: sarete fortunati se il «famulus» (cameriere) non vi porterà una cavalletta trovata fra gli scogli. E nel «deversorium» (albergo) quale «portarius» (portiere) anche di alta scuola capirà che l'«anabatarum» è l'ascensore? In ogni caso, se si è in coppia, è meglio non usare il latino per chiedere un «conclave» (camera da letto). Si rischia di essere scambiati per praticanti dell'amore di gruppo. Meglio lo sport, dove i termini sono meno equivoci. Anche il meno alfabetizzato fra i tifosi capisce subito che il «pedilusor» è il calciatore, la «decursio flexuosa» lo slalom e il «teniludiunw il tennis. Se si è al mare bisogna solo fare attenzione all'«aestus» (marea) per non correre il pericolo di finire sotto; ed essere poi tirati su dall'«urinator». Non è quello che tutti avete pensato, ma, più utilmente, il sommozzatore. «Ferias felices!» (et gaudia maxima). Giorgio Calcagno

Persone citate: Cicerone, Davide Astori, Franco Peradotto, Papa Giovanni, Peradotto, Vallardi

Luoghi citati: Europa, Germania, Helsinki, Italia, Recanati