Alia la prima messaggera di morte in nome di Allah

Alia, la prima messaggera di morte in nome di Allah Alia, la prima messaggera di morte in nome di Allah LA FINE DI UN TABU' SE fosse vero che l'infame attentato suicida di Gerusalemme è opera anche di una donna-kamikaze di religione islamica, come afferma un presunto volantino di Hamas, saremmo a una svolta. Se la notizia venisse confermata in termini inoppugnabili, potremmo scrivere che l'emancipazione della donna musulmana ricommeia il suo cammino. Certo sarebbe paradossalmente amaro, e vergognoso, che l'emancipazione della donna islamica debba passare attraverso la cruna blasfema del terrorismo suicida. E tuttavia l'attentato di ieri a Gerusalemme (la città santa cara alle tre religioni monoteiste), se la partecipazione della giovine beduina ventenne, Alia Abu Ghalia, ricevesse conferma, ebbene quell'attentato ci avrà detto che in seno a Hamas le note contraddizioni fra possibilisti e oltranzisti si sono composte nella logica della lotta contro Israele, nel segno di una inedita «totalità» (che vede, appunto, il ruolo della donna uscire dalla marginalità, affermarsi in un «mestiere da uomini»; il terrorismo). Il fatto (la donna-kamikaze beduina in azione) è fondamentale: perché rinnoverebbe non soltanto il modo di percepire il diverso (la donna è «diversa» nella società integralista musulmana) ma altresì perché, per la prima volta, darebbe un criterio di «analisi reale» della società islamica. Certo, l'idea secondo cui l'Islam non conosce separazione fra spirituale e temporale viene da qualche tempo a questa parte contestata da illustri studiosi di quella religione-cultura. Sia come sia, l'Islam (insieme con il Cristianesimo e con l'Ebraismo) è debitore di ciò che Marcel Gauchet nel suo affascinante «Il disincanto del mondo Una storia politica della religione» chiama un «debito di senso». E cioè: le azioni dell'individuo, il senso della sua esistenza, il valore della sua morte è deducibile (questo senso) dall'adesione all'Autorità, intesa come «autorevolezza della religione». Hamas che in arabo vuol dire fervore, è una formazione politica rivoluzionaria formatasi e cresciuta nelle università della Palestina occupata. Sono gli attivisti di Hamas che impugnano il Corano per indottrinare studenti e studentesse, stabilendo subito, per altro, una separatezza fra uomini e donne, imponendo il velo alle giovani colleghe poiché il Corano prescrive alla donna «modestia da manifestarsi anche celando le proprie grazie (la bocca, i capelli) per non distrarre l'uomo dalla sua missione». Non è un mistero che la crescita di Hamas sia stata se non incoraggiata senz'altro tollerata, vista con interesse, dalla destra israeliana. Si pensava a una forza religiosa, ancorché nazionalista, da contrapporre al laicismo intransigente dell'Olp e all'impeto degli scugnizzi dell'Intifada. Oggi, per uno dei tanti paradossi della storia, Israele e Olp vedono il comune sforzo di pace insidiato proprio da Hamas. L'attentato di Gerusalemme, dove il giorno 29 e il 30 di agosto, su iniziativa della Comunità di Sant'Egidio, ebrei, islamici e cristiani ragioneranno insieme e insieme pregheranno il Dio unico, ci dice che, almeno in questo momento, in seno a Hamas lian preso il sopravvento gli oltranzisti. Al contrario dei «moderati» che considerano la possibilità di una «tregua» con Israele se il suo esercito uscirà dalla Palestina occupata (e da Gerusalemme), i duri vogliono semplicemente e puramente la distruzione dello Stato ebreo. Credono nella possibilità di una vittoria militare. Sono schiavi dell'utopia, che nell'Islam è sempre negativa poiché gli oltranzisti non vedono la storia come vettore verso il futuro bensì come un paradigma del passato. Ma c'è nel passato islamico una donna non mortificata? Secondo la rilettura del Corano di alcuni studiosi islamici (Ali Shariati per tutti) al principio del secolo, la donna può e deve esercitare un ruolo «attivo» tale da non porla, di fronte all'uo- mo, in condizione di inferiorità. Forse non verrà mai confermata la notizia della donna-kamikaze ma il semplice fatto che se ne parli, che Hamas cerchi (o abbia cercato) di accreditarla altro non può significare se non una «svolta nella totalità» (della lotta contro Israele). Intendiamoci: ci sono dei precedenti, la fosca vicenda mediorientale elenca molti nomi di giovani musulmane suicidatesi in azioni terroristiche: citeremo soltanto Sana Mhaydalcsh, ima sedicenne che prima di saltare in aria gettandosi contro un posto di blocco israeliano, nel Libano Sud, registrò in videocassetta il suo giuramento: «Sono pronta a sacrificare la mia vita purché Israele perisca». Ma gli Hezbollahi che operano nel Libano contro le forze israeliane non hanno mai dato risalto a quella e ad analoghe operazioni suicide al femminile. Ora Hamas proclama a suo modo (un modo sanguinoso) la parità della donna? Ricordiamo che nell'Iran dello Scià, un Paese di anime morte come la Russia di Gogol, le donne hanno costituito l'avanguardia della vittoriosa lotta insurrezionale. Almeno settemila donne iraniane son finite in galera e sotto tortura lottando per la libertà. Sappiamo com'è andata. E ciò nonostante, come spiega bene la sociologa marocchina Hayat Kahack, per la donna musulmana la modernizzazione, a differenza che in Occidente, non implica un approccio femminista. La donna islamica aspira alla «parità nella diversità», non già alla identificazione nel modello maschile. In verità così come non esiste un Cristianesimo o un Ebraismo, non c'è un solo Islam: ne esistono tanti ed il problema è di isolare, specie in Palestina, i gruppi armati che agiscono in y//&&, stato di assoluta dipendenza psicologica dal v" Raiss, dal capo, dal fondamentalismo islamico che ha figura politica ma soprattutto motivazioni religiose, culturali, sociali, assistenziali. E qui ci fermiamo per ricordare che il Corano condanna la violenza cieca e accomuna nella sua pietà ispirata dal profeta la Gente del Libro: per il Dio unico i morti sono tutti eguali, gli innocenti non hanno sesso, come gli angioli. «Poi dopo quell'immenso dolore Dio vi diede un sorso di tranquillità» (Corano: III, 154). Igor Man sti la el he na ar il ele: to (la nesì be lla seseranso ella ennteelidire tica ciuina Haper tesuna nne, col alarsi Ma nonostante la ferocia degli ultra il Corano condanna la violenza cieca Un soldato cerca di calmare un ragazzo poco dopo l'esplosione del bus anaminmodrità RSciàme hanla vAlmsonlottcomme chinmudiffimpLa ritàideschste y//&v"unIII Ma nonostante la ferocia degli ultra il Corano condanna la violenza cieca Un soldato cerca di calmare un ragazzo poco dopo l'esplosione del bus

Persone citate: Gogol, Hayat, Igor Man, Marcel Gauchet