Dove va il jazz? A spasso senza meta

F I DÉSCHI Dove va il jazz? A spasso senza meta LIBERO. E' la risposta alla domanda «dove va il jazz». Alcuni lo collocano nell'«oceano pop», area generica ma che indica anche una situazione: se la musica d'intrattenimento ha mediamente alzato il livello qualitativo e utilizza stilemi jazz, quest'ultimo ne ha acquisito - o recuperato - la capacità di dialogo non solo con il pubblico di patiti. Ecco allora due antologie riepilogative per chi ha curiosità e non schemi prefissati. La prima è «Cool breeze» (Grp, 1 Cd) in cui vengono allineati i nuovi suoni dell'etichetta, legati dal filo conduttore del contemporary jazz (fusioni ma con contaminazioni sonore di soul, latinoamerica, dance, hip-hop, acid jazz. Quindici proposte vicine al gusto giovanile. Splendido inizio con gli Incognito che s'incontrano con Carleen Anderson e Ramsey Lewis («Trouble don't last always»), poi le chitarre degli Acoustic Alchemy tra new age e gitani, la magica fusion degli Urban Knights, i duetti di chitarra tra Lee Ritenour e Larry Carlton, i maestri dell'acid i Brecker Brothers. Quindi Spyro Gyra, Arturo Sandoval, John Patitucci, il soul di Tom Scott e quello più classico di Phil Perry. Antologia di scuderia, ma di grande respiro e spessore (rap a parte). Ottimo livello di registrazione. Altra scuderia, la Verve, e altra rassegna, questa volta monotematica sull'onda dell'acid jazz: «Talkin' Verve» (Verve, 1 Cd). Gilles Peterson ha curato con sensibilità questa antologia che fa sfilare decenni di musica. La bellezza del disco è che allinea gli artisti che si possono considerare i progenitori di questo stile oggi di moda. Nessuno di loro ha mai pensato di fare acid jazz. Lo hanno avuto in gestazione, poi Peterson lo ha ribattezzato. Ecco allora sfilare Donald Byrd, Wes Montgomery, Jimmy Smith, Dizzy Gillespie, gli Illinois Jacquet, Cai Tjader, Sonny Stitt, Roland Kirk, Tony Scott. In tutti c'è un pezzetto, un'idea di acid. Buona caccia. Altra strada originale, ben bilanciata tra tradizione e futuro, è quella del jazz italiano, che è sempre tra i più vispi, ottiene consensi e va per il mondo. Un ottimo disco è quello di Aldo Romano, «Prosodia)) (Verve, 1 Cd). Come gli altri, anche questo album è composito. Ci sono poemi del padre del batterista, arie d'armonica e canti fischiati, schegge di memoria, tuffi onirici. Si ascolta «Prosodia» come si legge un'antologia di poemi. «Folk off» propone uno dei più bei brani recenti del jazz-jazz di marca italiana (ottimo Stefano Di Battista, fra i più sorprendenti nuovi saxofonisti); «On John's guitar» uno dei dialoghi meglio concepiti tra basso e il trombettista Paolo Fresu. E poi «Silenzio», dall'equilibrio splendido. Alessandro Rosa >sa^J