GREGORETTI di Ugo Gregoretti

GREGORETTI il matrimonio. Da Napoli a Palermo: si aprirono le stanze della nobiltà siciliana e le porte del cinema GREGORETTI A nozze col Gattopardo FREGENE DAL NOSTRO INVIATO Ugo Gregoretti pensò di sposare Fausta quando lei aveva sedici anni ed era sottile come un giunco biondo. Lui era un ragazzone di ventiquattr'anni. La vide alle nozze di Francesco, fratello di lei e suo grande amico fin da quando frequentavano la scuola dei Gesuiti a Napoli. Quella ragazza fu un'epifania, un'apparizione inattesa e irresistibile: niente che vedere con la bimbetta di otto anni che s'intrufolava nella stanza in cui Francesco e Ugo facevano discorsi un po' carbonari e veniva cacciata immediatamente a calci. «Se mai mi sposerò, lo farò con lei» decise Ugo, che da qualche anno s'era trasferito a Roma, assunto come giornalista Rai, libero e disordinato come pochissimi sanno essere. Ridacchia Gregoretti. La signora Fausta lo guarda in silenzio, ma gli occhi scintillano. Siamo arrivati insieme nel prefabbricato abusivo che i Gregoretti possiedono da anni a Fregene, sul litorale romano, e da anni pagano condoni fiscali. «Anche Ettore Scola occupa una casa abusiva come la nostra. Anche la Wertmùller. E Pontecorvo, ma da quando dirige la Mostra di Venezia non lo vediamo più. Sono case che appartenevano ai pescatori». Dal minuscolo giardino con palma nana e amaca, oltre il cancelletto spalancato, si stende il profondo arenile bianco. Tirati a secco si vedono due gozzi bianchi decorati da una striscia verde smeraldo. «I pescatori esistono ancora, nonostante lo sviluppo selvaggio», spiega Gregoretti. Questa è l'unica località d'Italia in cui si sente parlar veneto fuori del Veneto: all'epoca della bonifica pontina, il fascismo fece arrivare una comunità dalla provincia di Padova o da quella di Verona. Gli immigrati misero radici saldissime, acquisirono un nuovo orgoglio civile, ma non rinunciarono al cantabile della loro lingua. Ugo e Fausta si sposarono il 28 aprile del '60 nella cappella privata della famiglia di lei, i Capece-Minutolo, collocata nel cuore della Cattedrale di Napoli e di questa molto più antica. E' una cappella gotica, affrescata con ricchezza, munita di cripta e di tombe a vista. I Capece-Minutolo la fecero costruire in età medievale. Qui Boccaccio ambientò la novella di Andreuccio da Perugia, il vanitoso mercante di cavalli che, gabbato e depredato da una prostituta, si unisce a una compagnia di ladri e, profanata la tomba di un arcivescovo (nella famosa cripta), ruba il prezioso anello del prelato. «Da quando è morto papà, le chiavi sono passate a Francesco», dice Fausta. Le nozze furono officiate dal cardinal Castaldo, amico di famiglia, che alla vigilia del matrimonio ricevette i fidanzati e tenne a Fausta questo sermone: «Se il marito la vuole cotta, gliela devi dare cotta; se la vuole cruda, gliela devi dare cruda». Il giorno dopo, al mattino, si celebrò il matrimonio. «Da parte di Fausta c'era tutta la noblesse; da parte di mio padre il notabilato borghese-politico di Napoli». Testimonio dello sposo era il meridionalista Francesco Compagna. Per la sposa c'era lo zio, il principe Caravita di Sirignano, «uno dei viveurs più gloriosi dello smart set internazionale, il gran seduttore che, anni do- po, avrebbe scritto le Memorie di un uomo inutile. E' il fratello della mamma di Fausta. Il papà era il Duca del Sasso. In araldica si dice "il colonnello della famiglia"». Gregoretti spiega con competenza, persino con elaborata passione. Quel giorno è ancora vivido nella sua memoria. Ricorda: «Secondo l'uso, io avrei dovuto aspettare la sposa all'altare. Invece ero sceso nella cripta con gli amici del telegiornale. Ero orgoglioso di mostrargli le glorie della famiglia. Quando risalii ero tutto coperto di ragnatele. Dovettero darmi una bella ripulita». E ricorda ancora che il compare d'anello, ossia il «super testimone cumulativo», era Leone Piccioni, allora direttore del Tg. Fu un matrimonio da gran casato, con molti regali. Uno di questi avrebbe cambiato la vita del giovane redattore Ugo Gregoretti. Alle nozze fu invitato anche Antonio Piccone Stella, uno dei massimi dirigenti Rai dell'epoca. Come regalo, concesse a Ugo di realizzare un suo sogno professionale: girare un lungo documentario sui luoghi del Gattopardo, il romanzo di Tornasi di Lampedusa che l'anno prima aveva messo a rumore la repubblica delle lettere. In giugno partirono alla volta di Palermo. Ricorda Gregoretti: «Fu interessante conoscere dal di dentro quel che restava della nobiltà siciliana, tutta imparentata con Fausta. La principessa di Lampedusa mi chiamava caro cugino. Grazie a Fausta riuscii a filmare il convento di clausura e soprattutto la sala da ballo di Palazzo Gangi, dove non era mai stata accettata macchina da presa. Feci il mio bravo documentario, che vinse il Premio Italia. Luchino Visconti venne a vederlo in Rai e disse che avrebbe fatto carte false per girare lì il suo Gattopardo. Mi davo le arie. Che Visconti venisse a vedere il mio lavoro mi riempiva d'orgoglio. Volle vederlo anche Franco Rosi. Aveva in mente il film sul bandito Giuliano e voleva capire qual era il contesto. Sono convinto che quel filmato sia stato la cosa migliore della mia carriera». Il merito di quel successo andò in parte a Fausta. «Fausta aveva un ruolo chiave. Io ero il consorte, lei era Donna Fausta, alla quale venivano aperte le porte delle dimore più inaccessibili. Lei era la testa d'ariete dietro cui venivamo io e la troupe». Il successo pennise a Gregoretti di realizzare Controfagotto. Il successo di Controfagotto gli aprì le porte del cinema. Girò il primo film, / nuovi angeli, che andò a vedere anche Visconti. Insomma la carriera di Gregoretti nacque da quel regalo di nozze concesso per puro piacere, come un giocattolo a un bambino. Ma come arrivarono al matrimonio Ugo e Fausta? «Dopo un anno di fidanzamento ufficiale dice lui -. Che dovesse fare un fidanzato ufficiale, non lo sapevo. Me lo disse Fausta: portare un mazzo di rose in numero dispari. Andai dal fioraio. Quante rose si mandano? Dipende: tredici e diciassette non portano bene, diciannove è cafone, meglio quindici. Un altro punto delicato era costituito dalle bomboniere, una zuccheriera d'argento. Sopra dovevamo incidere le nostre iniziali. Era meglio scrivere UF o FU? Aggirammo l'ostacolo comprando delle saliere. coi nostri nomi scritti sul cucchiaino». Passato l'anno, ci fu il benedetto matrimonio con l'immancabile viaggio di nozze a Parigi. Interviene Fausta. «Io ero stanchissima, non volevo partire». E Ugo: «Figuriamoci se volevo partire io, non ero mai stato cosi coccolato come quel giorno, così servito». Aggiunge: «Nell'area socio-culturale alla quale appartenevamo usava che una parte del corredo doveva portarla lo sposo. Mio padre mi diede mezzo milione per quello scopo, ma io lo spesi per comprare un mobile, che abbiamo tuttora. Non badai al corredo, e infatti per alcuni anni siamo vissuti nella scarsità di biancheria. Non mi comprai neanche un pigiama. Al momento di partire per Parigi, mio padre scoprì che avevo dei pigiametti frusti. Inorridì. Aveva appena fatto una crociera a Gibilterra, dove aveva comprato uno sfolgorante pigiama di seta rossa. Me lo regalò e io mi proposi a Fausta nel talamo nuziale con quella mise. Sembravo Dracula». E Fausta: «Io avevo i brividi. Mi dava soggezione il pigiama di mio suocero». Ridacchia Ugo: «Era drammatico per una ragazza. Allora mica esistevano le esperienze prematrimoniali». Ma il viaggio di nozze fu magnifico, romantico, indimenticabile, vero? «Beh, insomma - risponde Fausta -. Ugo aveva dilapidato tutto nell'acquisto di quel mobile. Mi chiese se per caso avessi qttalcosa da parte. Per fortuna mio padre, al momento di partire, mi aveva fatto scivolare di nascosto nella borsetta un po' di soldi». Una volta avviata la vita coniugale, qual è stato il primo inciampo? Con irriducibile dolcezza Fausta rivela: «Cercavo di riordinare la vita di Ugo. Era spendaccione, faceva debiti. Dovevo risanare le sue finanze». Si giustifica lui: «Mi avevano insegnato che il vero signore doveva fare debiti. Io ne facevo tanti e poi mi dispiaceva pagarli». «Ho impiegato anni a saldare le rate del sarto, del calzolaio...». «Il venditore di libri a rate Einaudi si vanta con Fausta di avermi conosciuto molto prima di lei». E le preoccupazioni? I dispiaceri? «Eh! - sospira lei - dopo quattro mesi eravamo molto preoccupati perché non ero ancora incinta. Era un dramma». Gregoretti le ruba la parola e aggiunge: «Il segnale dell'avvenuto concepimento arrivò in agosto. Ero per lavoro alla Mostra di Venezia. Mi ricordo la fatidica Galli-Mainini, l'analisi che si faceva con le ranocchie. Ti ricordi, Fausta? Te la portai con una matassa di lana». «E con i ferri». «Già. Dovevi metterti subito al lavoro. Ma essendo il sesso incognito, facevi cose gialline, verdoline... Mica come oggi, che si sa tutto prima». Ricorda con fierezza Gregoretti: «Fausta si travestì subito da gestante, lei che non aveva ancora un filo di pancia. Nel maggio '61 nacque il primo figlio, Lucio. Gli demmo il nome di mio padre». Nel 62 nacque Gianlorenzo, detto Bacchi perché bacchi fu l'unico, misterioso suono che riuscì ad articolare fino all'età di due anni. Nel '64 arrivò Orsetta, ora sposata con un giornalista del Tg3. Nel '65 nacque Valentina, che sopravvisse sei anni. Nel '71 arrivò Filippo, detto Pippo, «un argine alla disperazione per quella nostra bambina morta». Quanto hanno contato i figli nella vostra vita? «Moltissimo - risponde Gregoretti -. Per me hanno avuto un gran valore pedagogico, mi hanno reso più tollerante nei confronti dell'umanità». Interviene la signora Fausta: ((Anche adesso ci sbaciucchiamo, con i figli». E le crisi? Se ci sono state, che valore hanno avuto? «I momenti difficili li abbiamo passati anche noi - dice Ugo -. Una volta si chiamavano incompatibilità di carattere. Li farei coincidere col periodo in cui stavo molto fuori casa, negli Anni Settanta, a Torino, lavoravo in tv. Ma non ho mai creduto che potessimo arrivare alla separazione, anche perché c'erano in ballo quattro figli. L'ultima cosa che avremmo fatto era mandarli allo sbaraglio. Certo per Fausta era dura: badare da sola alla casa, ai figli, ai loro amici. Ora viviamo un periodo idilliaco, anche se ogni tanto litighiamo. Filippo dice che sembriamo Stanlio e Ohio». Che cosa vi rimproverate? «Mi viene in mente un personaggio dei Falsari di Gide, un signore tranquillo costretto a subire la moglie. E dice a un amico: io ammiro mia moglie per la quantità di rimproveri che sa muovermi. Fausta ha questo atteggiamento». Dice lei: «Si, è vero. Ma si tratta di piccole cose, i mozziconi lasciati dappertutto, le lenzuola bruciacchiate...». «Sì, figurati. Se mi compro una giacca da Cenci devo nascondere il pacco sul pianerottolo, sennò lei dice che sperpero». «Ma dai. Mica ti rimprovero tanto!». «Ammappelo! Chiedi un po' ai nostri figli». Signora Fausta, qual è il grande difetto di Ugo? La signora Fausta ci pensa un attimo e dice: «Lo vorrei più dinamico. Io, se sento un rumore, salto su e domando cos'è successo. Lui invece non si scompone mai». E per lei, Gregoretti? «Vorrei che Fausta mi chiamasse di meno. Il suo richiamo ha sempre un vago sentore di minaccia. Grida: Ugooo! Questo nome è una lama, un kriss malese che m'insegue per conficcarsi nella nuca. Non esiste il minimo rispetto per il mio isolamento creativo». E di voi, che cosa vi piace? «Mi sta bene tutto di Ugo. Forse perché siamo cresciuti insieme». «In Fausta, tranne quando s'incazza, m'intenerisce tutto. La mia figlia prediletta è lei». «Sai, Ugo: mi sembra che la nostra vita sia passata in un lampo». «Ma dai». «Non mi ricordo niente di quel che ero prima». «Ma se avevi un sacco di corteggiatori». Senti, Ugo... Dimmi, Fausta... Il tuo primo film... Avevi il pancione. . E stetti in piedi... C'era Visconti... Ti risposerei... Anch'io, se non strilli... Ugo... Fausta... Osvaldo Guerrieri Lei: «Ho impiegato molti anni a saldare le sue rate del sarto e del calzolaio» Lui: «Facevo debiti Mi avevano insegnato che è cosa da veri signori» «Grazie ai parenti di Fausta riuscii a ' 'violare ' ' Palazzo Cangi: Visconti vide il documentario e volle girare lì Usuo film» Sopra, le nozze: da sinistra Giuseppe Capece Minutolo, padre della sposa Fausta, e poi il cardinal Castaldo, Ugo e Lucio Gregoretti Primo piano degli sposi. Il matrimonio fu celebrato nell'aprile del '60, nella cappella privata della famiglia di lei La celebre scena del ballo a Palazzo Gangi nel «Gattopardo» di Luchino Visconti Sotto, Ugo Gregoretti con la moglie Fausta