Avventuriero nemico delle regole

Avventuriero Ritratto di un romanziere Avventuriero nemico delle regole e e , E i e i CORTO Maliose, il personaggio più inventalo e vivo e genialmente bugiardo di Hugo Pratt, secondo un vecchio disegno dell'autore, che poi segui la regola di chi inventa personaggi di grosso calibro immortalandoli dalle sue iniziali avventure marinare, più o meno negli Anni Dieci, sarebbe dovuto morire nella Guerra di Spagna, come un eroe di Robert Capa. Non se ne fece niente, ma nel frattempo è morto il padre di questo pezzo da novanta del romanzo d'avventura, che oggi, grazie a sofisticazioni critiche, occupa un posto nella fantasia dei lettori anche adulti, che sta tra gli eroi di Stevenson e quelli di Conrad Anche Pratt, che, inutile dirlo, s'era ammainato di una sua scherzosa immortalità, era della schiatta di Corto Maltese. Freneticamente bugiardo e schiettamente genuino nel raccontare, affabulare, far l'amore, mangiare, bere, come in un romanzo d'avventura Romanzo d'avventura, certo, se accettiamo, come credo clic ogni signoro ben nato ammetta al giorno d'oggi, in questa accezione anche il fumetto. Pratt, da ragazzo, «era» Corto Maltese, magro e dal profilo asciutto, con una ricerca dell'insolito che percorreva il mondo, finendo, lui, ragazzo, nelle isole del Pacifico e sul Rio delle Amazzoni, ancora con tante lande inesplorate, pieno di una stramaledetta voglia di vivere l'ultima avventura, come un eroe di Pierre Benoit, milite della Legione. Così, sul tamburo, i ricurdi volano. Un incontro con questo inventore di situazioni anche quotidiane, qui a Venezia, in campo San Bartolomeo. Mi chiese se pranzavo con lui. Era mezzogiorno: finimmo ore dopo, gonfi di pesce e di vino. Era un vantoso intemperante, finché la salute, che gli aveva dato un fisico leonino, lo sorresse. Le sue invenzioni da cabarettista senza scrittura erano strepitose: imitava, dopo averli sentiti parlare per dieci secondi, greci ciprioti e zulù, con orecchie portentose che poi riecheggiava nei fumetti, dove gli indigeni dell'isola più lontana, alla rovescia, parlavano il dialetto veneziano, senza nemmeno ritocchi, come fosse stato il loro idioma Hugo era un gigantesco personaggio egocentrico che viveva come Corto Maltese, senza regole e orari. Quando, prima di trasferirsi a Losanna, stava a Venezia, era capace eh suonare il campanello agli amici in ore antelucane per farsi fare un buon caffè. Non vorrei parlare del fumettista che affascinò e continuerà a sedurre altre generazioni, un Salgari a quadretti con più finezza e cultura e sofisticazione, a cominciare dalle vicende per travasarsi poi in disegni che, partiti dall'americano Milton Canili', divennero lentamente sue specifiche, inalienabili e inconfondibili creature. Di lui si parlala a lungo, ma l'uomo, nonostante il gusto per un certo tipo di pubblicizzazione del prodotto, aveva qualità incredibili: cantava e suonava la chitarra, scivolando dal merengue al tango argentino (a Buenos Aires, come ogni decente biografia riferirà, era stato arruolato da un editore ebreo profugo dall'Italia fascista), inventando personaggi persino quando cantava con una voce che poteva avvicinarsi a quella del mitico Carlos Gardel. Sanguigno, estroso, impunito, inventivo, una specie di perenne bengala, che nel rosso degli scoppi lasciava distillare, ma detergendola con pudore, da «macho» senza alterigia, anche qualche goccia ematica, si ostentava e nascondeva. Veneziano vero, anche se nato per caso, di passaggio, a Rimini, aveva almeno due facce. Una da «spietato», da eroe del West, da Burt Lancaster, e una da casalingo che ogni tanto si cuoceva eccellenti pastasciutte, invitando gli amici. Era un selvaggio borioso ma rispettoso. A una festa per un libro di Diego Valeri, un quarto di secolo fa, dimise la sua uniforme sgangherata (blue jeans e maglione sfilacciato), per indossare un abito blu quasi inappuntabile, con un'atroce cravatta argentata. Il massimo d'omaggio che un poeta avventuroso come lui poteva rendere a un poeta chic e sedentario come Diego. Carlo della Corte

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