Tyson il mito torna in 89 secondi

Tyson, il mito torna in 89 secondi Las Vegas, due ko-lampo, poi il manager di McNeeley ferma il combattimento e il pubblico urla: «Buffoni, buffoni» Tyson, il mito torna in 89 secondi Ovazione biblica prima della sceneggiata NELL'ARENA DEE RECORD I LAS VEGAS IL ring è azzurro, con il nome dello sponsor stampato in giallo, Birra Corona, quella che si beve limone sparata 16.736 posti a con la fetta di dentro. Intorno, sedere: tutti venduti. Se si aggiungono i milioni di poltrone e sofà casalinghi che da tutto il mondo si succhiano l'evento alla tv fa un numero bestiale. Nemmeno Ali, ai bei tempi, ne metteva in fila tanti. Ci è riuscito Tyson, con la sua boxe primitiva e la sua storia spezzata. Salirà sul ring alle 8,15. Scenderà dall'immane carrozzone di parole che l'ha portato fin qui e in silenzio, finalmente, farà il suo lavoro: spalmare gente sul tappeto: e farcela restare per almeno otto secondi. Intorno al ring, di tutto. E' serata speciale, e la gente si è tirata a lucido. Per le prime quattrocinque file resistono giacca e cravatta e abiti da «prima» alla Fenice. Poi si scatena il putiferio. Tendenze: se sei maschio e nero, completo doppiopetto preferibilmente in tinta delirante (va molto il viola vomito d'ubriaco) e se possibile indossato direttamente sulla pelle. Se sei donna e bianca, vestitino da adolescente fintovirginale, naso e tette rifatti, tacco alto, vocina idiota. Se sei ispanico, quel che c'è c'è. Qua e là sbuca qualche intellettuale, giacca camicia pantaloni vagamente intonati e clamoroso svarione finale: calza bianca in mocassino colorato. Gioielli: a chili. Non l'intellettuale: tutti gli altri. Nel parterre sono censiti vip a decine. Li annuncia lo speaker ed è una specie di sondaggio di gradimento. Madonna: fischi. Sugar Ray Léonard: un'ovazione. Donald Trump: risate. Joe Frazier: un'apoteosi. Francis Ford Coppola: uno che applaude: io. Tyson fa la sua prima apparizione via etere, sui grandi schermi messi ai quattro angoli della sala: zuccottino islamico sulla testa, faccia impenetrabile, entra nello spogliatoio. Sul ring Bruco Seldon, detto Atlantic City Express, sta spaccando zigomi senza tanta raffinatezza a tal Joe Hipp, un indiano con qualche chilo di troppo: e non sono muscoli visto che traballano sopra la cintura. Prima di lui, Miguel Angel Gonzales si è tenuto la corona mondiale dei medi (versione Wbc, inutile spiegare), prendendosele di santa ragione per tutto il tempo ma vincendo ai punti: folla inferocita contro i giudici, al clan dello sconfitto (Lamar Murphy, detto Cochise) saltano i nervi, parte qualche insulto, poi un pugno e via, rissa da saloon, sul ring, saranno in quaranta a darsele di santa ragione: lo speaker, smoking e brillantina, salva il suo figurino da ballerino di tiptap scivolando via come un'anguilla: un numero da Houdini. Alle 8,30 la gente smette improvvisamente di otturarsi con hot-dog, popcom e tacos. E' l'ora di Tyson. Tutti in piedi per l'inno: lo canta un qualche famoso «vocalist» locale, infiorettandolo di melismi jazzistici che complicano un po' la schietta commozione patriottica. Poi tutto si spegne. Buio. Occhio di bue sparato sul centro del ring. Parte una musica a palla. Entra in sala, ballonzolando, un accappatoio verde, e sotto l'accappatoio sfila tra la folla Peter McNeeley, la vittima annunciata. I fari lo inquadrano e lo seguono fin sul ring. La parte se l'è studiata bene: salta come un grillo da 90 chili, sale in piedi sulle corde, sembra l'inizio di un combattimento di wrestling. Smette di fare il gradasso quando la musica cambia e parte un micidiale basso di batteria. Dal buco laggiù spunta Tyson, senza guardarsi intomo, senza fare un gesto di saluto, niente: eppure intorno a 'ui scoppia un'ovazione biblica, difficilmente spiegabile se si tiene conto che da giorni, da anni, i media lo coprono di disprezzo. Qualcosa succede, e tutte quelle parole non valgono più niente: ovazione, e chissenefrega. Tyson scivola tra le corde e fa il primo passo sul ring: chissà quante volte se l'è immaginato, nei tre anni di galera. McNeeley si è girato, sta nel suo angolo, lo sguardo verso il pubblico. Vinnie Vecchione, il suo manager, quello con la coppola sempre in testa ed una pallottola calibro 22 da qualche parte tra le costole, gli massaggia la schiena: ma è soprattutto un modo di impedirgli di girarsi. Meno vede, meglio è. Il trucco gli riesce per un po' di secondi, poi l'arbitro chiama tutti al centro del ring. E' un memento bellissimo della boxe. Perché cosa dice l'arbitro non conta niente, ma intanto i due pugili devono starsene li, uno di fronte all'altro, uno a mezzo metro dall'altro, e non possono fare altro che guardarsi. E' un rito. Questa sera, quei due, lo celebrano alla grande. McNeeley non riesce a stare fermo, saltella spostando il peso da una gamba all'altra, oscillando come un pendolo. Tyson, immobile, gli infila gli occhi nelle pupille e non li molla. 1 quattro schermi giganti rimandano il primo piano di una faccia di pietra in cui solo gli occhi si muovono, destra sinistra destra sinistra, iniettando paura. Quindici secondi di grande televisione. Via gli sgabelli, via i secondi: a bagno in un urlo collettivo inizia l'incontro. McNeeley sa che Tyson non è un tipo da preamboli e perso per perso si butta. Attacca, disordinatamente, ma attacca. Tyson cerca di mettere ordine, manda qualche sassata a vuoto, si avvicina a un angolo. Sono passati 24 secondi quando McNeeley fa partire un gancio destro che gira largo come una tangenziale. Tyson ha tutto il tempo: capisce, si abbassa, lo fa passare, si rialza, trova a 30 centimetri il bersaglio scoperto e in precario equilibrio. Mazzata di destro, un lampo. McNeeley scivola giù di lato, tocca terra e si rialza, con una certa scioltezza, come se fosse un sorprendente incidente di percorso. Tutti in piedi. L'arbitro conta. McNeeley ha la faccia di uno che può continuare. Si continua. Potrebbe gustarselo più lentamente, il suo ritorno sul ring, Tyson. Ma la fretta è la stessa di un tempo. Ogni pugno come se fosse a 10 secondi dalla fine. McNeeley cerca la stretta, si pianta bene a gambe larghe e cerca di avvinghiare quella macchina da pugni. Tyson lo lascia avvicinare, fa un mezzo passo indietro, stacca due ganci sinistri uno dopo l'altro, attira da quella parte gli occhi, la paura e i guantoni del nemico. Per un istante la faccia di McNeeley rimane allo scoperto. In quell'istante Tyson s'infila, con un montante perfino scolastico nella sua ovvietà. Giù di nuovo, McNeeley. Anche questa volta si rialza subito, ma qualcosa sbanda nella sua testa, e un'esitazione da ubriaco lo appoggia alle corde. Tutti vedono, e tutti hanno l'impressione che ce la farà. Tutti meno uno. Vinny Vecchione. Luì, la sua coppola e la sua pallottola: salgono tutti insieme sul ring. Si gira a guardarlo, il suo pupillo, ed è impossibile capire so negli occhi ha scritto sorpresa o gratitudine. Tecnicamente tutto quello significa squalifica. L'arbitro incrocia le braccia. E' finita. Sono passati, dall'inizio, 89 secondi. Ne passano pochi altri e McNeeley è già nel suo angolo ad abbracciare la moglie e ad alzare le braccia al cielo, raggiante. Se arrivasse un marziano, adesso, crederebbe che ha vinto lui. Anche perché Tyson è come sparito, forse gli è sfuggito un sorriso, forse ha abbracciato qualcuno, ma non era già più lì. Il pubblico protesta, impreca, rumoreggia. Mille voci si mettono a scandire «bullshit, bullshit», che è come urlare «buffoni, buffoni» ma un po' pili pesante. C'è un altro incontro, a seguire, ma chi lo vuole vedere più? Alla conferenza stampa, subito dopo, gli occhiali scuri dietro a cui i pugili nascondono gli occhi gonfi di pugni McNeeley non li porta sul naso, ma elegantemente infilati nel colletto aperto. Dice che ha fatto il suo dovere. Tyson parla piano, risposte telegrafiche, voce incolore. Dice che per lui è okay così. Qualcuno avrà sicuramente già diviso i 40 miliardi che ha guadagnato per gli 89 secondi in cui ha combattuto. Da oggi c'è un numero assurdo in più nella leggenda di Las Vegas. Alessandro Baricco L'arbitro decreta la fine e lo sconfìtto abbraccia la moglie raggiante, come se avesse vinto IL FILM DELLA SFIDA Peter McNeeley attacca subito Mike Tyson, ma deve subire la reazione rabbiosa del campione Dopo 10 secondi un gancio manda al tappeto McNeeley che si rialza, saltellando sul ring 3E' il secondo ko, interviene il manager Vinnie Vecchione, decretando così la fine dell'incontro Tyson resta solo sul ring, acclamato dal suo manager Don King e dalla folla osannante ^ il MATCH Durata: 89" trafori: 16.736 (di cui 1.600 giornalisti da tuffo il mondo) Paesi - collegati Via satellite: 90 Compenso di Tyson: 25 milioni di dollari (circa 40 miliardi pari a 450 milioni al secondo) SurriCulùm di Tyson: 42 vittorie ì cui 36 per ko) e una sconfitta Compenso di McNeeley: »'.'. - - 540 mila dollari L Due momenti del combattimento che si è svolto davanti a una platea di oltre 16 mila spettatori I

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