Processione per Mike il macho

8 Casalinghe, studentesse e prostitute rapite dal suo fascino Processione per Mike il macho L'assedio delle donne dopo la sfida LAS VEGAS DAL NOSTRO INVIATO «Congratulations». Ruffiano professionale come tutti i giornalisti, non mi lascio sfuggire l'occasione e allungo la mano, accompagnando il gesto con uno dei miei sorrisi più cordiali e disarmanti. Va' a sapere. Invece Mike Tyson sussurra di ritorno un «thank you» quasi da ragazzina e allunga una mano sottile, dalla presa apprezzabilmente gentile. Mi sento un omone, elevato da quella stretta di mano a membro permanente effettivo del Parnaso circostante. Un Parnaso di donne, un Olimpo di dee di tutti i colori, tutte qui attorno, in rispettosa fila per offrire al Kid (e naturalmente al sottoscritto) sentimenti e promesse, per strappargli im saluto, un occhietto, un cenno in codice; oppure semplicemente stazionanti, a proprio agio in vestiti dalle poche parole, in attesa che succeda qualcosa che probabilmente succederà. Il Kid se la gode composto, rilassato ma attento, diplomaticamente seduto accanto a un'anziana «marna» con un largo cappello di seta bianca a rosa spampanata. Ne approfitto per sibilargli un «about the fight?», che mi dici del combattimento. «Sono contento che stiamo tutti bene», fa lui piano piano. E dopo un attimo aggiunge: «If you know what I mean», se capisci quello che voglio dire. Non so perché, ma mi sembra sia venuto il momento di allontanarmi. Siamo alla festa «Welcome home, Mike», organizzata dalla Mgm alla Rio Grande Cantina, musica, gran buffet, balli e tanta bella gente. Tutta Hollywood è venuta a Las Vegas per «the fight», l'incontro, e quando l'annunciatore della Grand Aiena ha snocciolato dal ring i nomi delle celebrità presenti sembrava di rivedere centinaia di videocassette. Così ci si aspetta una grande notte alla Rio Grande Cantina, dopo quello che non è stato certamente un grande incontro. La gente aveva urlato dalle gradinate «bullshit, bullshit», stronzata, stronzata, per più degli 89 secondi che era durato il match. Ma il colpo d'occhio della Grand Arena, stipata al pieno dei suoi 16.736 posti, era fantastico. Era fantastica la gente, era fantastico il modo in cui era vestita, era incredibile, ancora una volta, l'enorme quantità di donne, almeno un terzo del pubblico, se non di più. Nessuno ha avuto il coraggio di chiedere alle 24 femministe che stazionavano davanti all'ingresso principale dell'Arena agitando cartelli contro lo stupro cosa pensassero di quella processione di loro consessuali tirate a lucido per il grande stupratore, per il fallo più arrogante del pianeta, per il «macho» primordiale. Sarebbe stata una domanda politicamente scorretta, ma era lì, sotto gli occhi di tutti, «if you know what I mean». C'erano donne di tutti i tipi nell'Arena. C'erano numerose rappresentanti della «white trash», la spazzatura bianca, come la chiamano i neri, bionde stoppacciose della provincia dai mestieri irregolari, con i blue-jeans e i capelli tagliati alla giocatore di calcio del Manchester, corti sopra e allungati sul collo. C'erano tante «housewives», madri di famiglia del Mid-West o della Georgia, in compo,"'.e bluse dai colori anonimi, con i mariti o con gruppi di amiche. C'erano pensionate con la borsetta. C'erano plotoni di signore non accompagnate, con il vestito nero molto scollato, tre ore di trucco in faccia, occhiate da «ti mangio qui o ti porto a casa?» e un fisico da «ring-girl», le ragazze con le gambe lunghe e la minigonna di lamé smeraldo che annunciavano i numeri delle riprese, sempre salutate da ovazioni. C'erano sposine e c'erano molte colleghe di Divine Brown, la donna che ha fatto arrestare l'attore Hugh Grant, anche lei sbarcata all'Arena vestita in nero da vera signora. C'erano studentesse di «college» bianche e ragazze nere di tutte le taglie e le fogge, alcune arricciolate, altre allisciate, alcune platinate, alcune con i capelli blu, tutte elegantissimamente non vestite. Traforazioni, trasparenze, addirittura una rete rossa con maglie da tonno. C'erano aspiranti attrici, aspiranti mogli, aspiranti fidanzate, aspiranti amanti, aspiranti a qualcosa di più semplice, aspiranti a qualche innocente brivido o a qualche «wet dream», qualche fantasia notturna. C'era l'altra metà della «metà del cielo», quella che si proclama poco ma sa di avere tradizioni antiche. Ma che accidenti di rapporto c'è tra le donne e la boxe? Il Kid si è presentato alla Cantina molto presto, ovviamente fresco come una rosa. Gli si era notato uno sguardo di incredulità quando l'arbitro Lane aveva sospeso l'incontro anche se lui non gli aveva «ancora fatto male» a McNeilly, l'Uragano sgonfio; lo stesso sguardo che aveva avuto quando era suonato il gong, come se per un attimo la realtà lo distraesse da qualcos'altro. Poi gli occhi gli si erano richiusi in quelle minacciose fessure. Ma adesso gli occhi del Kid sorridono miti, sotto le sopracciglia, soprattutto quella destra, lavorate dai pugni; e sopra il sorriso timido della bocca, resa però sinistra dall'incisivo di metallo. Checché ne dicano, il Kid non è più alto di im metro e 78, ma fa indubbiamente impressione, sarà per il mito, sarà per quegli occhi, sarà per i muscoli che stanno ben riparati sotto una giacchetta di cotone a quadretti bianchi e neri, di cui lui ha abbottonato tutti e tre i bottoni, come un manichino poco elegante. Sotto ha una maglietta nera senza collo e porta calzoni neri come le scarpe. Gli piace il nero e, infatti, si era presentato sul ring con i calzoncini neri e le scarpe nere portate come al solito senza calzerotti. Nero come l'incoscienza che danno i suoi pugni, nero come il suo enigma di energumeno timido e di bruto in un certo senso geniale per la concentrazione di cui è capace. Attorno al Kid c'è il solito circo di guardioni, il solito Don King e i due manager che questi gli ha messo addosso come «baby sitter», John Home e Rory Halloway, fieri delle loro giacche bianche con alamari alla generale Sherman. Il Kid non balla e adesso anche tutti gli altri hanno smesso di ballare. E' come si aspettasse qualcosa. Ma i divi di Hollywood non vengono, non è venuto neppure Denzel Washington, l'avvocato nero di «Philadelphia». Non è venuto Spike Lee e neppure Whitney Houston, tutti vecchi amici del Kid. A un tavolo d'angolo c'è Francis Ford Coppola in bretelle blu, seduto con Nicholas Cage in coppoletta e Lawrence Fishburne in camicia bianca. Coppola è concentratissimo su un piattone di fritti misti, Cage come tutti i divi di Hollywood sta sempre al telefonino. Nessuno di loro va a omaggiare il Kid. Solo Donald Trump gli si avvicina in modo molto plateale con la moglie Maria. Il Kid si prende tutte le coccole. Chiedo a Coppola cosa pensi del match. Lui schiva la domanda e mi fa di rimbalzo: «Lo sai che quella parla benissimo italiano?». E mi presenta una giovane nera con un vestito aperto per il lungo su entrambi i fianchi, in modo sia chiaro a tutti che non ha niente sotto. Sta con un'altra, ancora più maestosa, che ha qualcosina sotto, ma in compenso non ha praticamente niente sopra. Effettivamente, chissà perché, parlano italiano, ma hanno altro per la testa. Il Kid fa loro un cenno che viene immediatamente raccolto. Non è stata una gran serata, ma almeno si è capito come finirà. «If you know what I mean». Paolo Passarmi Alla festa per la vittoria il campione non balla e le star di Hollywood dimenticano di omaggiarlo Tyson in borghese e sul ring Nelle foto piccole Coppola e Trump

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