Il signore degli oracoli

In Inghilterra un romanzo postumo del premio Nobel: dedicato a potere e menzogna In Inghilterra un romanzo postumo del premio Nobel: dedicato a potere e menzogna Il signore degli oracoli Golding l'ultimo viaggio fra i miti greci LLONDRA A Pizia delfica, bocca sanguinante, subisce la prima violenza di Apollo. Le torce Ile viscere, il dio: la scaraventa in ginocchio e le squassa addome e gola con una risata maschile. Anche Dioniso lotta per entrarle in corpo, e la povera sacerdotessa non prorompe, senza poter evitare lo sconfinamento di competenze sacre, nel grido delle Baccanti: Evoé, Bacche, evoé. La posseduta ristabilisce la propria autorità con un comando roco che si infrange come una bomba sulle pareti della grotta: «Una bocca o l'altra!». E' un racconto di prima mano: è lei stessa a rievocare. La bocca, la Pizia; la lingua biforcuta, Apollo. Biforcuta non solo perché la divinità parla per enigmi e sembra quasi che goda ad alimentare gli equivoci dell'interpretazione; ma perché la natura stessa del divino è doppia e sfuggente. E' questo l'ultimo messaggio infilato da William Golding nella bottiglia di un romanzo. The Doublé Tongue (La doppia lingua) è il libro a cui lo scrittore, premio Nobel per la letteratura, stava lavorando quando morì improvvisamente nel 1993. L'editore Faber, dopo un meticoloso confronto dei due manoscritti esistenti, lo pubblica adesso a Lon¬ dra. E' l'autobiografia dell'oracolo di Delfi ai tempi di Cesare. L'autore di II signore delle mosche è entrato nella tunica di Arieka, la protagonista, con enorme finezza. La sua prima persona singolare è sempre convincente, anche se è l'io narrante di una donna. Il libro rientra nel genere consacrato da Cassandra di Christa Wolf, ma è molto più facilmente abbordabile, il ritmo è meno franto, meno metaforico. Il racconto comincia con il primo prodigio che segna la vita di una bambina della Focide. Un pesce gettato vivo nell'olio bollente e ributtato intatto in acqua, e il bambino risanato di una sclùava consolidano la reputazione di Arieka, ma i suoi genitori non sanno che farsene. La loro figlia è brutta e chissà quanto dovranno spendere di dote per trovare un uomo che acconsenta a sposarla. Quando un pretendente si fa avanti, la fanciulla scappa, ma è subito riacciuffata. Finirà per essere rilevata nientemeno che da Ionides, gran sacerdote di Apollo a Delfi, il quale ha saputo delle sue qualità prodigiose e la sottrae alla casa paterna in cui nessuno la ama. E' lui che la porta al Palazzo delle Pizie, con l'intenzione di fare di lei il futuro oracolo. Ci è subito chiaro che sarà un oracolo femminista. Sebbene nessuno avesse chiesto il suo consenso, Arieka trova la libertà. La libertà di istruirsi nella fantastica biblioteca di Apollo, alla quale Euripide e i tragici, Pindaro e i lirici hanno donato i loro originali, e in cui è possibile emozionarsi sui manoscritti autografi di Saffo. La libertà di diventare la donna più libera del mondo: la Pizia, che con i suoi responsi ha il potere di cambiare il corso della storia. E' precisamente questo che interessa a Ionides: per lui l'oracolo è lì per fare politica, per restituire alla Grecia l'indipendenza dal giogo romano. Gran patriota, vero ateniese razionale e loquacissimo, il gran sacerdote è più che laico: il più delle volte si mostra agnostico, talora decisamente ateo. Ad Arieka, chi; diventa subito la sua confidente, descrive la seconda Pizia come «quella grassa sporcaeciona». E la avverte: «Ad Apollo facciamo dire quello che vogliamo». L'apprendista Pizia impara in biblioteca a parlare in esametri per ripristinare l'antico metro del dio e non è per niente sicura di quello che le succederà quando toccherà a lei di entrare nella grotta dove Apollo ispira le sue donne. Questa attesa è l'acme del libro: la tensione tra Arieka, che crede negli dei ma si sgomenta al pensiero di non riuscire a dar voce al divino, e Ionides, che non si preoccupa di credere e le prepara il copione del debutto, è magnifica. Questa volta Golding ha lasciato da parte i temi della barbarie e della Bestia (che da II signore delle mosche in poi informò Buio visibile, Riti di passaggio, Uomini nudi, Caduta libera e 71 Dio scorpione, tutti pubblicati in Italia da Longanesi, eccetto il primo, di Mondadori) in favore dell'inafferrabilità del divino e dell'ambiguità dell'umano. L'Eliade, che aveva scoperto da autodidatta quando imparò da solo il greco antico, è la terra dove ha deciso di tornare per morire. Lo scrittore rileggeva l'Iliade almeno due volte l'anno e si vede: le sue descrizioni sono spesso puntigliosamente evocative. Le prime due Pizie del romanzo muoiono e Arieka si ritrova sola a due settimane dai Giochi, in una Delfi che è ormai soltanto un'impresa commerciale costruita intorno all'oracolo. Con suo infinito terrore, confida a Ionides che «gli dei non sono mai stati così lontani». Lui la scandalizza fornendole in anticipo le domande. E la rassicura con malinconico cinismo: «Non ti sto dicendo che l'oracolo è strumentalizzato. lo parlo con la lingua degli uomini, tu dovresti parlare con quella dei Sacri Messaggeri. Ma se non riusciamo ad avere l'una, almeno avremo l'altra». Il patto è questo: Ionides ripeterà le risposte concordate alla folla. Ma il dio sorprende entrambi. Violenta Arieka con la sua presenza e la piazza con forza sul sacro tripode. E tuttavia Ionides non si cura delle profezìe: ai romani e agli ateniesi fornisce le biande risposte come da copione, mentre la Pizia tuona spettrale: «Bugie». L'ironia e che, nel contempo, la fede della Pizia vacilla sotto la trivialità crescente delle domande che vengono poste al dio: la gente vuole sapere dove trovare una spilla smarrita, o come fare fortuna. E allora lei comincia a inventare le risposte. Pur Arieka sopravvive un solo mistero, nascosto dietro due tende nella grotta dei responsi, dove Apollo aveva ucciso il serpente: ma la Pizia non osa scostarle. Il gran sacerdote e l'oracolo ùivecchiano ùisieme; lui sempre preoccupato da cose secolari, come i soldi per il santuario e la sedizione. Ionides organizzerà una rivolta, finendo agli arresti. Quando ritorna, è orinai uno spettro: Roma lo ha privato della sua dignità. Ad Arieka lascia soltanto una strana chiave biforcuta, una specie di doppia labrys cretese. La Pizia si fa coraggio e va a scostare le tende misteriose nella grotta. Trova uno sportello a due ante. Lo apre con la chiave dell'amico, ma dietro c'è solo la roccia della montagna. Quando l'arconte di Atene le proporrà di erigere una statua con la sua effigie, lei suggerirà di erigere invece un semplice altare con un'iscrizione: «Al dio ignoto». Ignoto come quella roccia impenetrabile, così diversa dalle divmità olimpiche. Doppio come quella chiave. Anche questo monologo finale di Golding è duplice. La Pizia, si è chiesto qualche lettore troppo scettico, ha davvero conosciuto il divino? Certamente sì, ma le volgarità della vita hanno finito per farle perdere gli dei. La sorte di Arieka è simile a quella di uno scrittore, che non sa mai se i propri oracoli sono rivelazioni o soltanto abili finzioni. Maria Chiara Bonazzi E la Pizia, profetessa di Apollo, racconta la sua sconfitta L William Golding, Nobel nel 72, scomparso due anni fa. Sopra il titolo, una scena da «Il signore delle mosche», tratto dal suo più celebre romanzo, e a fianco, l'oracolo di Apollo a Delfi

Persone citate: Christa Wolf, Eliade, Golding, Longanesi, Maria Chiara Bonazzi, Pizia, William Golding

Luoghi citati: Atene, Delfi, Grecia, Inghilterra, Italia, Mondadori, Roma