Il faraone dagli occhi di tigre di Alessandro Baricco

Il faraone dagli occhi di tigre Il faraone dagli occhi di tigre Quello sguardo assassino tra finte piramidi UN CAMPIONE NEL LUNA PARK DEL DESERTO Vi LAS VEGAS EGAS, come dicono qui. Uno dei posti più assurdi della Terra. In mezzo al deserto, un lunapark da milioni di dollari. Alberghi che sono casinò che sono teatri che sono ristoranti che sono attrazioni. Se vuoi puoi entrare da una porta e non uscirne più per giorni. Meglio se il cervello lo lasci fuori: tanto là dentro te lo staccano. Vai avanti a batterie, offre la casa. Prodigioso. Giochi, mangi, bevi, ogni tanto dormi, se vuoi ti sposi. Il tutto con l'infrangibile colonna sonora di migliaia di slot machine occupate a irritare il caso. Una musica unica. Come le perle di una collana che non la finiscono più di cadere in un lavandino di marmo. Se riuscite a immaginare. Ci sono metodi anche più semplici per mettere in stand by il cervello, ma io sono venuto a farlo qui perché è qui che «He's back»: lui è tornato. Mike «Iran» Tyson, forse il più violento pugile della storia della boxe. Se ne è stato in galera mille e 95 giorni, e adesso è tornato. Salirà sul ring domani sera, almeno per me: perché per voi c'è salito stamattina presto, scherzi del fuso orario, una di quelle cose che se non ci sei portato non capirai mai: come la storia delle ruote che al cinema girano all'indietro o del dentifricio che esce dal tubetto con le strisce colorate: cose incomprensibili. Comunque. Tornerà sul ring di un albergo che si chiama Mgm: una roba gigantesca, che se decidi di attraversare la hall a metà strada ti devi fermare a mangiare. Tornerà, presumibilmente, per ridisegnare la faccia a tal Peter McNeeley, uno che era nessuno: e adesso è uno che sta per guadagnare centinaia di milioni di lire in qualche minuto. Bianco, viene dal Massachusetts. Su «Sport Illustrated» c'è una sua foto che dice tutto: bermuda di jeans, torso nudo, braccia levate al cielo, sguardo stupefatto: sembra un ex grasso che stava pubblicizzando una dieta quando d'improvviso si è visto puntare addosso una pistola. Di soprannome fa «Hurricane», Uragano. Ma se l'è scelto lui, a tavolino. Che, volendo, è una cosa tristissima. Quanto a Tyson, le sue foto fanno male solo a vederle. Per l'occasione hanno tappezzato Las Vegas. Sfondo nero, taglio di luce perfetto, e lui lì, con la pelle imperlata di goccioline, i muscoli a premere sotto le goccioline, gli occhi da tigre, quelli che piacciono a Velasco. Li ha esibiti, muscoli e occhi, alla cerimonia del peso - una cosa da foro boario, se ci pensi, ma comunque - in tv: McNeeley faceva il gradasso roteando i pugni e urlando quel che gli capitava: lui, Tyson, se ne è salito sulla bilancia con la faccia di pietra, guardando il niente, gli occhi da tigre immobili come se fossero dipinti. Solo disgusto e rabbia, a cercare di tradurre. Ai microfoni non ha detto una parola. Prima che se ne andasse, un giornalista ha osato chiedergli perché adesso parla così poco (prudente eufemismo). Tyson lo ha incenerito, ha fatto alcuni colorati apprezzamenti sulla professione del giornalista e ha concluso: «Tu sei nessuno, e l'unica cosa che ti è successa nella vita è che io, adesso, ti ho parlato». Immagino che avere un ego del genere sia utile volendo diventare, come lui è diventato, il più giovane campione mondiale dei massimi di tutti i tempi. Naturalmente adesso tutti stanno a chiedersi se quell'ego ce l'abbia ancora, veramente, o la prigione lo abbia cambiato. Tutti denunciano la farsa di questo match contro un brocco e si chiedono chi è, veramente, Tyson, oggi. Me lo ccvpnILbA chiedevo anch'io (cosi, tra le altre cose) fino a quando non sono arrivato qui. Perché Las Vegas è un posto dove la parola «veramente» non vuol dire più nulla. Abolita. Inutile. Mi spiego con un esempio: Luxor. Luxor è uno degli albergoni sul boulevard. Una cosa immensa a forma di piramide, tutta di vetro. All'ingresso c'è la Sfinge, i «valet» a cui affidi la macchina sono vestiti da antichi egizi, quando entri scopri che la piramide è vuota e dentro ci sta una specie di tempio alto decine di metri. In un albergo nonnaie ci andresti per dormire. Ma lì è Las Vegas. Entri in albergo e quel che fai è un viaggio in Egitto. Quattro dollari e sali su una piroga che risale il Nilo: tutto vero, è proprio acqua quella su cui vai, c'è pure la nebbiolina, i giunchi, tutto. Il viaggio dura sì e no 10 minuti: ma ti bastano per vederti Luxor e Abu Simbel. C'è una guida che ti racconta storia, usi e costumi e tu ti vedi, ricostruite, tutte le rovine che potresti vedere laggiù. F'atte bene, in maniera filologica, non è nemmeno cartone, è pietra vera, e c'è anche il vantaggio che hanno colorato tutto, com'era in origine, coi colori giusti, pare, quelli che vorresti vedere quando sei laggiù, ma che solo puoi immaginare: qui li vedi. Finisce il giro e li avrebbero potuto fermarsi anche loro: ina siamo a Las Vegas E allora li il bello deve ancora ini¬ ziare. Cos'è che in Egitto, in quegli sfinenti giri sotto un sole martello, sogneresti di fare? Svicolare dalla comitiva, entrare in una porta segreta, finire dentro una piramide, scoprire un cunicolo, che so, qualcosa, ed entrare in una storia da Indiana Jones. E' ovvio. Com'è ovvio che qui te lo fanno fare. Altri 11 dollari e ti trovi su una specie di ascensore che cade in verticale per centinaia di metri fino al cuore della piramide. Lì sali su una specie di astronave guidata da un pazzo che si fa a velocità micidiale la piramide, sfidando marchingegni e spiriti vari, inseguendo un obelisco magico, sopravvivendo a esplosioni, avarie, di tutto. Frullato in un'orgia di effetti speciali, a mollo in uno schermo cinematografico tridimensionale, «sensorraund» e che ne so, esci dopo un po' (la cognizione del tempo, quella la perdi subito) con le mani molto sudate e una domanda molto precisa: ma se la simulazione della realtà funziona meglio della realtà, cosa resta del valore di ciò che è autentico? Quanto resisterà ancora l'emozioni: dell'originale, del vero, all'attacco dell'emozione che ti può arrivare da una realtà simulata, virtuale? Guanto manca al giorno in cui smetteremo di andare in Egitto a l'arci due palle così? Se l'era già chiesto, a suo modo, Benjamin, senza bisogno di andare a Las Vegas, ma semplicemente guardando delle fotografie. Se una cosa la puoi stampare in migliaia di copie, esiste ancora un originale?: e l'aura di quell'originale, non è persa per sempre? Lui in America non ci arrivò mai (colpo di pistola, il giorno prima di partire, coi nazisti alle calcagna, troppo alle calcagna per il suo cuore): chissà come gli sarebbe scoppiata tra le mani quella domanda, a vedere cosa ne fanno qui, dell'autenticità. Così sono tornato da Luxor e c'erano quelle perle che continuavano a cadere nel lavandino di marmo, ovunque, e questi vecchietti, ovunque, coi loro bastoni a tre zampe, che si trascinano come morenti ma poi mangiano delle cose da eutanasia, certe facce impressionanti da cancro-ancoratre-mesi-di-vita curve sulla roulette, rapite, vive, vivissime, e nel giro di un chilometro Julio Iglesias, Paul Anka e Barry Wliite, l'orgia dei falsi sentimenti, e al semaforo mi sono girato un attimo e c'era, lì, a 20 metri un vulcano che eruttava (lo fa ogni quarto d'ora, a cura dell'Hotel Mirage, una robotta da miliardi), e quando è scattalo il verde ho capito che non ha nessuna importanza chi è oggi, veramente, Tyson, e se l'incontro è tmecato, e se è tutta una messinscena per fare miliardi con la vita triste di un ragazzo bestiaio: qui, almeno, in questo altrove, non è importante. La sua storia era troppo bella perché qualcuno non la scrivesse. La stanno scrivendo. Con effetti speciali e realtà virtuale. E' tutto vero e tutto falso contemporaneamente. E' leggenda. Come Lancillotto e Ulisse e Robin Hood: frega a qualcuno chi fossero veramente? «He's back»: tanto basta. Domani sera andrò diligentemente al mio posto e vedrò una cosa che non è vera ma sarà veramente lì. Pesa 218 libbre, ha gli occhi da tigre, un collo più largo della mia coscia, e avrà piedi infilati nelle scarpe senza calzini, come sempre. Ci ha messo quattro anni a tornare al suo posto, sul ring. I bookmakers dicono che ci metterà meno di sette minuti a rimanerci sopra, in piedi, da solo. Alessandro Baricco A un giornalista dice: esisti solo perché io ti parlo A un giornalista dice: esisti solo perché io ti parlo

Persone citate: Barry Wliite, Bianco, Hurricane, Julio Iglesias, Paul Anka, Peter Mcneeley, Robin Hood, Velasco