«Quella ferocia cesi normale»

«Quella ferocia cesi normale» «Quella ferocia cesi normale» Guiso: i banditi di strada sono allenati a uccidere L'ESPERTO DI CRIMINALITÀ' SARDA FEROCI sì, ma quando si va in giro con il Kalashnikov non è un fatto eccezionale usarlo». Neppure un pizzico di stupore nella voce dell'avvocato Giannino Guiso, sardo, penalista che della sua isola conosce ogni piega, ogni cono d'ombra. E' stato il difensore di Graziano Mesina, il «re del Supramonte», di altri cento banditi o disperati finiti nella rete del codice penale. E poi di Renato Curcio, ideologo delle Brigate rosse, di Raffaele Cutolo, camorrista doc, ora di Bettino Craxi, il transfuga di Hammamet. Perché non è un fatto di ferocia straordinaria, avvocato? «Perché in un reato di rapina a mano armata la prevedibilità di violenza è scontata: a volte può essere evitata, a volte no». Ma questi si sono accaniti anche contro i propri compagni. Che significa? «Non è che sparano, così, sui compagni. Il fatto è che anche da quella parte non c'è più la capacità di contenere la situazione». Come sarebbe «anche»? «Sarebbe che, secondo me, nell'Arma è mancata la professionalità, come è mancata nei banditi». In che senso? «Naturalmente non parlo del valore e del coraggio dei due militari caduti. Ma da quello che ho letto, pare che un elicottero abbia avvistato due auto rubate e una betoniera sospetta: anche facendo i conti più semplici c'è da aspettarsi che siano almeno tre gli uomini da affrontare. E la pattuglia dei carabinieri è formata da due, la partenza è già strategicamente perdente. Le altre "Gazzelle" arrivano sul posto tardi, quando i banditi sono già lontani». E allora? «Allora, la ferocia è conseguenza di questa mancata professionalità. In altre parole: i banditi hanno visto la possibilità di scappare e hanno aperto il fuoco». Ma hanno sparato a uno di loro... «Nel conflitto non si sta a vedere in che direzione si spara. Se si fa fuoco sui carabinieri e i carabinieri rispondono, si spara nella direzione da cui provengono i colpi. Se poi in quella direzione c'è uno dei tuoi, beh!, questo non vuol dire, perché la situazione non è più razionale. E così è diventata una situazione perdente per entrambi». In conclusione? «Lo ripeto: inutile parlare di cru- deità. Quando ci sono le rapine stradali, il rischio è quello della sparatoria, dei morti. Nel reato stesso è implicita la possibilità di una esecuzione feroce». Che tipo di banditi sono questi? «Mah!, non va dimenticato che le rapine stradali, soprattutto nel Nuorese, nel periodo del dopoguerra, erano una pratica quasi quotidiana. Non c'è niente di nuovo. Quelli assaltavano i furgoni che trasportavano le paghe degli operai dell'Erta, l'ente impegnato a combattere la malaria. Poi ancora assalti negli Anni Sessanta. Una volta bloccarono tutte insieme 200 macchine». Ma non uccidevano... «Non è che non ammazzavano: semplicemente quella volta non intervennero i carabinieri e non fu necessario. Ma a Monte Maore e a Sa Ferula morirono tre carabinieri. No, non accetto la semplificazione al fatto singolo. Ci sarebbe stata ferocia anche in altri casi, se si fossero verificate le stesse condizioni. La delinquenza non fa dei distinguo». Ma questa è già malavita organizzata o siamo ancora ai predoni? «E' malavita che, anche se non è organizzata, ha già un sottobosco che gli consente di mettere a frutto il profitto». In che modo? «Beh!, quello che vediamo spun¬ tare d'un colpo, ma non solo in Sardegna, sono gli arricchimenti improvvisi, che nessuno controlla. E questi arricchimenti avvengono perché il denaro che vi è portato via attraverso la violenza, poi trova delle strade che tendono a legalizzarlo». Come? ((Attraverso gli investimenti finanziari, attraverso gli immobili. Insomma, avviene ciò che succede nelle altre parti d'Italia. E questa gente ha contatti con i canali di trasformazione del denaro». Con la malavita dal colletto bianco? «Ma che colletto bianco! E' malavita anche quella, che opera con un certo stile. Il pastore fa la rapina, poi consegna i soldi a un ragioniere in apparenza impeccabile, che trasforma il denaro. Il punto è che manca un controllo sociale, manca la conoscenza di queste nuove forme di malavita: che poi non è che siano nuove, semplicemente sono più aggiornate, adeguate alle situazioni contingenti e più moderne. Ed ecco i Kalashnikov. Stanno cambiando i tempi: per esempio, oggi la donna sarda non indossa più gli abiti scuri, ma quelli che loro chiamano "civili", "del continente". Però, la cattiveria, l'aggressività degli uomini è uguale, solo che si esercita in tempi moderni e con mezzi più moderni». E per frenarla? «Già, parlano di far terra bruciata intorno a una banda. Ma siccome le bande sono tante, non risolvono proprio niente. Cioè, potrebbero risolvere questo caso giudiziario, c'è da augurarselo, e certamente lo risolveranno. Ma non è questo il punto». E qual è? «Quello che manca, secondo me, è la prevenzione. Cioè, né i carabinieri, né la polizia sono organizzati come in altri tempi, con la profonda conoscenza dell'ambiente che gli consentiva di prevenire e non di reprimere. La repressione è una cosa che avviene a reato consumato. Ormai la struttura dei carabinieri è tale... Insomma, hanno abbandonato anche le indagini». Come sarebbe a dire? «Sarebbe a dire che i pubblici ministeri, in tutti i reati, tendono ormai a fare i poliziotti e non consentono più che i poliziotti facciano il loro mestiere. Sono loro che dirigono le indagini, loro che li sostituiscono». In che modo? «Sono sempre tesi alla ricorca del pentito, non hanno mai un quadro preventivo che è tipico della polizia che consenta di conoscere i soggetti turbolenti nelle singole località, nei singoli paesi che sono quelli che soprattutto tendono a essere malavita organizzata. Così, non conoscendo questi soggetti, ogni qualvolta esplode qualche cosa, devono fare una ricerca sul fatto specifico, ma difficilmente riescono a far luce, a meno che non si abbia un pentito». E questo che significa? «Che il numero dei reati impuniti che ci sono in Sardegna è spaventoso. Ma non solo in Sardegna: in tutt'Italia. Il tasso d'impunità nel nostro Paese è incredibile». Perché? «Perché manca quella struttura classica che distingueva la polizia giudiziaria dall'autorità giudiziaria. Lo ripeto: ora il pubblico ministero è polizia, non si fanno più indagini, molte volte nei processi mancano testimoni, indagini, rapporti. Semplicemente c'è un pentito o un chiamante in correità che risolve il caso. I pubblici ministeri non fanno che portare avanti il discorso dei pentiti, mentre dovrebbero far sviluppare quello delle indagini giudiziarie della polizia giudiziaria che ha tanti ruoli. E così vengono sempre colti di sorpresa. Perché la polizia giudiziaria per funzionare deve stabilire dei contatti diretti con l'ambiente che le consenta, attraverso la conoscenza diretta, le confidenze, la fiducia che ripone il cittadino nel sùigolo carabiniere, di raccogliere quelle notizie che servono a prevenire». Vincenzo Tessandorì «Nel Nuorese queste rapine sono una tradizione cominciata nel dopoguerra» «Per salvarsi non esitano a sparare anche ai compagni» LA RABBIA NEL SUO VOLTO Oggi mi rimane il magnifico ricordo di mio marito. E l'espressione che ho visto nel suo volto nella camera ardente: tutti mi dicevano che stava sorridendo, ma non era vero. Aveva un'espressione di rabbia, di non essere riuscito a fare ciò che doveva. Si è visto incastrato nell'agguato senza poter fare più niente. So che in quel momento ha pensato a noi, a me e ai nostri figli, Pietro e Irene Jip Rosanna Carru vedova dell'appuntato Ciriaco Carru Bill ÈSÈt Sopra, una scena del conflitto a fuoco vicino a Ozieri. Nella foto grande il cartello di Orgosolo, capitale del banditismo sardo

Persone citate: Bettino Craxi, Ciriaco Carru Bill Èsèt, Giannino Guiso, Graziano Mesina, Guiso, Irene Jip Rosanna Carru, Raffaele Cutolo, Renato Curcio, Vincenzo Tessandorì

Luoghi citati: Italia, Orgosolo, Ozieri, Sardegna