«Una vendetta»
«Una vendetta» «Una vendetta» Il difensore: era contro la mafia PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L'ex potente de Calogero Mannino sta lottando su due fronti. Per la vita, minacciato da un angioma in testa e da una massa forse tumorale nelle vie urinarie. Contro la gravissima accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Ha vissuto sei mesi nel carcere doll'Ucciardone, dividendo la cella con altri quattro detenuti; ha trascorso le interminabili e infuocate giornate steso sulla brandina. Ora è a Rebibbia, e dicono non abbia voglia di niente. I periti di parte addirittura temono che progetti il suicidio. E aggiungono che a 50 anni, ne dimostra molti di più, almeno dieci. Un tramonto disperato, come in un gorgo che sombra trascinarlo giù. E' stato due volte ministro dell'Agricoltura (la prima fortemente voluto da Amintore Fanfani) e in vari governi ministro per il Mezzogiorno, i Trasporti, la Marina Mercantile. Prima del «grande salto» nelle alte sfere di Piazza del Gesù e Palazzo Chigi, ha fatto il sottosegretario alle Finanze dopo essere stato per cinque anni, in Regione, influente assessore alle Finanze: da un lato arginava la dilagante presenza degli esattori Salvo, poi accusati di mafia; dall'altro aveva a che fare con i principali armatori italiani, parecchi dei quali puntavano alle iscrizioni nei compartimenti marittimi siciliani quando l'isola era per loro un paradiso fiscale. Due lauree (giurisprudenza e scienze politiche), nato all'Asinara dove il padre, agricoltore, si trasferì nel pieno del sogno mussoliniano dell'Italia imperiale, cresciuto a Sciacca, poi l'elezione, a 25 anni, all'Assemblea regionale, e di lì a poco l'importante assessorato, il trampolino di lancio. Nella Sicilia di Restivo, La Loggia, Alessi e poi di Lima, Gioia, Gullotti, Piersanti Mattarella, lui Mannino preferì attendere il suo turno che venne puntualmente. L'aw. Salvo Riela che lo difende con il prof. De Luca, ha.presentato ai giudici due libretti con i testi del suo intervento e dello sue relazioni in campagne elettorali, congressi di partito e convegni. «Tutto schierato sempre contro la mafia, senza tentennamenti», dice Riela. E nel 1983, al congresso regionale de al Jolly di Agrigento, in cui fu eletto segretario (lo fu per sette anni), la corrente di Vito Ciancimino fu emarginata definitivamente. Gli amici di Mannino ora sottolineano che ne faceva parte anche Gioacchino Pennino, il politico pentito che con le sue accuse ha inguaiato l'ex ministro. «Una vendetta», assicura un fedelissimo di Mannino. Il pentito Rosario Spatola ritrattò le dichiarazioni sulla «mafiosità» di Mannino e l'equipe di Samarcanda (Santoro, Ruotolo e l'allora direttore del Tg3, Sandro Curzi) ne proserò atto in una lettera. E Mannino ritiro la querela che aveva presentato contro i tre giornalisti. Era stato, sì, testimone di nozze noi 1976 per la figlia del segretario dulia de, Sicugliana, andata sposa al figlio di un boss. «Non sapuvo chi fossero i familiari di quel giovane», spiegò Mannino che infine fu creduto; oggi quell'episodio non gli viene contestato. Dopo le prime insinuazioni, la mancata ricandidatura nella de nelle ultime politiche e, intestardito, Mannino allora si presentò per il Senato nel «suo» collegio di Agrigento con un simbolo «fai da te». Fu bocciato. Quindi, il 13 febbraio scorso, l'arrosto. Antonio Ravidà
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