I Bugatti saga fuoriserie di Sergio Trombetta

Non solo auto, ma sculture di animali e mobili moreschi in mostra a Vence Non solo auto, ma sculture di animali e mobili moreschi in mostra a Vence I Bugatti, saga fuoriserie Una dinastia tra genio e sventura i la NIZZA RA probabilmente una Bugatti l'automobile con cui Chéri, l'eroe di Colette, negli Anni 10 scorrazzava Normandia insieme con per Lea, la sua affascinante e matura amante. Era invece certamente una Bugatti Tipo 35 la vettura a bordo della quale trovò la morte a Nizza nel '27 Isadora Duncan strangolata dalla sua lunga e svolazzante sciarpa che si era impigliata nei raggi di una ruota. Macchine belle e di razza, «i miei purosangue» le chiamava Ettore Bugatti, che le disegnava e le realizzava nella sua officina di Molsheim in Alsazia. Li accanto aveva fatto costruire l'Hostellerìe du Pur Sang per ospitare principi e milionari che venivano di persona a ritirare le vetture. Loro le preferivano blu, d'un bel blu morbido e squillante: «blu Bugatti». Simbolo di eleganza e velocità, di un modo aggressivo e insolente di intendere la vita, quel¬ lo di cui strillavano allora i futuristi nei loro manifesti. Le auto di Ettore, ma anche i mobili moreschi del pachi' Carlo, gli animali scolpiti del fratello Rembrandt, tornano a farsi ammirare nella mostra che la Galerie Beaubourg, nel castello di Notre Dame des Fleurs a Vence, dedica ai Bugatti, aperta sino a tutto settembre. Oltre cento pezzi, appartenenti ai collezionisti Marianne e Pierre Nahon, che rinnovano i l'asti dell'esposizione di Ferrara e Torino del 19HH e ripropongono la saga di una famiglia abitata dal genio, baciata dalla gloria, percossa dalla tragedia. Tutti artisti precoci. Ila appena trent'anni Carlo quando i suoi mobili di ispirazione orientali!, incrostati di osso, rame, cuoio, rivestiti di pergamena vincono premi, riscuotono successi. «Stile Moresco» commenta la regina Elena alla Esposizione di Torino del 1902 dove Carlo fa furore con la sua «Camera a chiocciola»; «Vostra maestà si sbaglia - risponde l'artista -, questo stile è mio». Nella sua abitazioni! milanese [lassano i grandi dell'epoca, I*uccini, lllica, Segantini, con il quale si imparenta, lo scultore Trubetzkoy che riconosce il talento del quattordicenne Rembrandt II giovane entra cosi all'accademia di Brera, mentre il fratello Ettore va come apprendista da Stucchi & Prinetti, ditta di costruzioni meccaniche. Ma la gloria internazionale per tutti e tre e oltreconfine, in Francia. Nel 1902 Ettore, ancora minorenne, e già attivo presso il costruttore alsaziano, il barone De Dietrich. Tre anni dopo, Carlo si stabilisce a Parigi. Qui, accanto ai mobili, incomincia a lavorare l'argento: «Piccoli animali, i fiori più semplici, di cui spesso ci sfugge la bellezza armoniosa, divennero i modelli del meraviglioso arrisa. La più modesta farfalla gli prestò la simmetria delle sue ali gracili, la libellula gli forni il corsaletto cangiante, la rana la struttura nervosamente decorativa» scrive la nipote L'Ebe Bugatti. Premi, riconoscimenti, successo. Gli animali di bronzo e argento di Rembrandt richiamano l'attenzione della Società Reale di zoologia di Anversa, dove è invitato a lavorare. Per la sua figura allampanata, l'eleganza, lo stile grandioso, viene soprannominato «l'americano». Conosce Modigliani, Apollinaire, Derain. Ospitale scialacquatore, sempre in bolletta, malato di tisi, lo trovano suicida col gas nel suo studio parigino. E' il 1916, la guerra infuria e lui con gli ultimi soldi è andato dal barbiere e ha comprato un mazzo di violette che depone sul comodino prima di aprire il gas e stendersi sul letto con il suo abito più bello. Nel dopoguerra Carlo «disegna» la sua prima radio. La Grande Crisi rallenta le vendite delle auto di Ettore, ma nel '29 a Londra nasce il primo «Bugatti's Owners Club» e intanto all'inizio degli Anni 30 accanto alle auto di lusso compaiono le imbarcazioni e le littorine. Nella grande fabbrica di Molsheim nel '36 fanno la loro comparsa le agitazioni politiche, le rivendicazioni sindacali. Gli stabilimenti sono occupati, gli operai scendono in sciopero. Incapace di comprendere i tempi nuovi, Ettore passa la mano al figlio Jean. Il giovane si mette alla testa di una fabbrica che conta milleduecento addetti, lancia una strategia commerciale e disegna nuovi modelli di successo. Ma sarà proprio una delle sue bellissime vetture che ne causerà la morte, nel '39: lanciato a forte velocità, per evitare un ciclista che gli attraversa la strada, si schianta contro un platano. E' il declino della dinastia. Tre anni dopo muore a 84 anni il patriarca Carlo. Ettore vivrà sino al 1947. In tempo per vedersi confiscare i beni dallo Stato francese che lo accusa di collaborazionismo. Tutto infine gli verrà reso: due mesi prima della morte, all'ospedale americano di Neuilly. Sergio Trombetta La gloria in Francia per Carlo ed Ettore