«lo miliardaria ho scoperto grazie all'Aids cos'è l'amore»

«lo, miliardaria, ho scoperto grazie all'Aids cos'è l'amore» Aileen, nipote di Paul Getty: «Sopravvivo per i miei figli, ogni giorno in più è una vittoria» «lo, miliardaria, ho scoperto grazie all'Aids cos'è l'amore» IN LOTTA CONTRO IL VIRUS LOS ANGELES I notte non riesco più a dormire. Ogni quarto d'ora l'Aids mi sveglia. Mi chiamo Aileen Getty, faccio parte di una delle famiglie più ricche d'America e sono l'ex nuora di Elizabeth Taylor. Dovrei avere tutto. E invece a 36 anni sto combattendo per rendere un po' più sopportabile ogni giorno della mai vita, prima che il virus mi uccida. E la parte peggiore è sapere che sono la sola responsabile della mia malattia: l'ho contratta durante un breve «affaire» di sesso non protetto. E' strano, ma a volte mi chiedo se inconsciamente non abbia desiderato tutto questo. Sembrerà ridicolo, ma quando ero bambina cercavo cosi ossessivamente affetto che mi chiedevo se i miei genitori mi avrebbero finalmente amata se avessero scoperto che stavo morendo. A casa nostra il denaro era usato come un mezzo di potere e i sentimenti restavano sempre inespressi. Mio nonno era John Paul Getty, il petroliere multimiliardario fondatore del celebre Getty Museum di Malibu, California. Mio fratello J. Paul III fu sequestrato in Italia nel '73 e i rapitori gli tagliarono un orecchio. Mio padre è J. Paul Jr.: abbandonò mia madre Gail nel '64, quando avevo solo cinque anni. Volevo molto bene a mio padre, ma lui aveva il suo demone contro cui combattere: la dipendenza dall'eroina. Crebbi insicura e cominciai a sniffare cocaina. Poi, nel '78, incontrai Christopher Wilding e suo fratello Michael Jr., i due figli avuti da Elizabeth Taylor dal secondo marito Michael. Dopo un po' mi innamorai di Chris. Lui mi presentò a Liz e diventammo molto amiche, tanto che ancora adesso la chiamo «mamma». Fu grazie a lei che mi impegnai contro l'Aids. Per quasi un anno, prima del contagio, la aiutai nel suo lavoro con le organizzazioni anti-Aids di tutto il mondo. Nell'81, a 22 anni, sposai Chris e dopo sette dolorosissimi aborti adottammo Caleb e finalmente, nell'84, restai incinta e nacque il nostro secondo figlio, Andrew. La mia vita sembrava perfetta finché feci un errore mortale. Avvenne nell'agosto dell'85, quando ebbi una breve «storia». Fu attraverso un'amica che incontrai l'uomo che mi attrasse immediatamente e irresistibilmente. Gli feci la domanda-chiave, ma lui mi menti: disse che era sanissimo. Perché non insistetti che si mettesse il preservativo? Probabilmente perché temevo che mi avrebbe rifiutata se glielo avessi chiesto. Rimpiangerò quella decisione fino all'ultimo dei miei giorni. Due settimane dopo la fine del nostro flirt, una notte mi svegliai di soprassalto. Ero in un bagno di sudore. Me lo sono beccato, pensai subito. Ho l'Aids. Raccontai tutto a Chris e lui ne fu sconvolto. Eppure non sembrò subito capire che ero condannata. Qualche giorno dopo dissi la verità a «mamma» e fu molto comprensiva e dolce. Ci mandò tutti da uno specialista, che testò me, Chris e i bambini. Ero oppressa dalla vergogna e dai sensi di colpa, ma qualcosa dentro di me mi diceva che loro erano sani. Anche i miei test risultarono negativi, poi, tre mesi dopo, a dicembre, ricevetti la telefonata del dottoro. «Chris e i ragazzi sono negativi, ma il tuo ultimo test è risultato positivo. Aileen, mi spiaco davvero». La prima cosa che feci fu di andare da «mamma» e scoppiammo insieme a piangere. Lei organizzò un meeting familiare in cui un paio di dottori spiegarono le mie condizioni. La reazione fu gelida. Ma ciò che più mi fece male è che Chris, il mio meraviglioso e dolcissimo marito, cominciò ad avere paura di me. Si scanso quando provai ad abbracciarlo e non riuscimmo neanche più a parlare. Mi sentii malata, spaventata e furiosa. Tanto che all'inizio dell'36 scappai a New York con i miei figli. Trovai un uomo e ricaddi nella coca. Due anni dopo Chris vinse la causa e mi tolse la custodia di Caleb e Andrew: perdere i miei due figli fu l'esperienza più spaventosa che avessi mai provato fino a quel momento. Per rivederli ogni tanto decisi di tornare a L. A. Era l'89. Divorziai da Chris, chiusi con la droga e ricostruii la mia vita da zero. Ma l'Aids mi devastava. Soffrivo di una sindrome molto simile alla sclerosi multipla. Ero entrata allo stadio conclamato, eppure in un certo senso mi sentivo sollevata. Per quattro anni ero rimasta come sospesa, in attesa del peggio. Imparai rapidamente a conoscere le umiliazioni e l'isolamento che devono soffrire i malati. Una volta un medico si rifiutò di visitarmi, un'altra volta un'infermiera si infilò i guanti solo per portarmi il vassoio del pranzo. Quando fui dimessa dopo il mio primo ricovero, vidi tre infermieri in tuta sterile decontaminare la mia stanza. Mi sentii sporca, brutta, odiata, inumana. Speravo di tenere segreta la mia battaglia, ma nel '91 mi chiamarono da una rivista, dicondomi che stavano preparando un pezzo su di me. Non potendo fermarli, acconsentii a farmi intervistare. Fino a quel momento non avevo detto nulla a Caleb e Andrew della mia malattia, ma a quel punto dovevo raccontare loro la verità, prima che lo sapessero dalla tv. «Guarirai? chiosi; Caleb, «No», gli risposi. «E' incurabile. La mamma morirà». Ci abbracciammo e piangemmo. Adesso Caleb e Andrew hanno 12 e 10 anni. 1 miei genitori hanno accettato la mia malattia solo nel '92, quando arrivai a un passo dalla morte per un'improvvisa ' infezione poi- * | L,y, monare. Mio ' \ padre mi affittò una casa e pago tutte le mie parcelle perché ero ormai quasi al verde. Ci parlammo a lungo al telefono o quella è stata la prima volta che l'ho sentito singhiozzare. Ormai mi considero una sopravvissuta dell'Aids. L'aspettativa media di vita dopo che si diventa conclamati è di appena 18 mesi. Io vado avanti da sei anni, e sono stata contagiata da 10. Sono convinta che la mia sopravvivenza da record è il prodotto della mia determinazione. Lo scorso aprile ho aperto a Lawndalo, California, la «Dallas House», un piccolo ospizio di cinque letti dove le malate terminali di Aids possono trascorrere i loro ultimi giorni. Adesso sto progettando un secondo ospizio, la «Aileen Getty House». Finché potrò, andrò avanti a raccogliere! fondi e ad aiutare le donne che vengono da me. Io spero che questi due ospizi possano essere d'aiuto per tanti; disperate. Quanto ai miei ultimi giorni non permetterò a me slessa di diventare un vegetale, che non aspetta altro che di andarsene. Non ho paura di morire. Quando non sarò più in grado di faro nulla per i miei figli, voglio essere libera di poterla faro finita. Mi auguro che in quei momenti li! persone più caro ohe mi restano mi restino vicino e che «mamma» Liz sia una di loro. Finora lei o sempre stala un sostegno. Parliamo spesso e lei si informa di tutto, delle mi condizioni fisiche o psicologiche. Spesso lo nostri! telefonate fini scotio in lacrimo. Ultimamente mi sono resa conto che non mi rosta molto. Il mio più grande doloro e dover lascian! Caleb o Andrew, anche se so che a prendersi cura di loro ci saia loro padre, oltre ai nonni e a «mamma». Da due anni sto preparando degli appunti por loro, per quando non ci sarò più. Un pensiero dice: «Por favore, non pensate che vi abbia abbandonati. Saro per sempre una parte di voi. Vi amero per sempre, sarò per sempre con voi. Vostra madre». In fondo, sono grata per ciò che l'Aids mi ha portato. Perderò può anche voler dire guadagnare e l'Aids mi ha regalato pazienza, amore, gioia, tristezza, amicizia e un senso d'orgoglio. Dopo tutto, ogni giorno in pili e una vittoria. Aileen Getty Copyright «Los Angeles Times Syndicate" e per l'Italia "La Stampa- «La mia ex suocera Elizabeth Taylor è la persona che più mi sta vicino Spesso piangiamo al telefono» «Non ho paura di morire Voglio aiutare le donne allo stadio terminale come me» jjfc 1 Hi \MIRK ini MU'IION M>R v'ro's ut fii vR( H \ Aileon Getty nella sua villa di Los Angeles A destra, il fratello Paul Getty III jjfc Sotto Elizabeth Taylor durante un meeting anti-Aids Il Paul Getty Museum di Malibu A sinistra, Aileen, Liz e Burton MIMI "^^Ck^WÈKMÈ

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