Un amico americano alla conquista dell'Etiopia di Indro Montanelli

Un amico americano alla conquista dell'Etiopia Gli italiani usarono i gas? Dagli archivi del Pentagono un arbitro nella disputa fra Montanelli e Del Boca Un amico americano alla conquista dell'Etiopia EULL'USO dei gas durante la guerra d'Etiopia Indro Montanelli e Angelo Del Boca sono giunti, partendo da esperienze diverse, a conclusioni opposte. Montanelli, che partecipò alla campagna, tende a escluderlo; Del Boca, che ha dedicato un'intera generazione allo studio del colonialismo italiano, ne è convinto. Esiste un arbitro, possibilmente straniero, che possa dirimere la loro controversia? Forse sì. E' un tenente colonnello dei marines americani e si chiama Pedro A. Del Valle. Mentre Montanelli, rientrato in Italia, pubblicava a Milano, presso l'editore Panorama, una cronaca letteraria della sua «guerra d'Africa» {XX Battaglione eritreo), Del Valle stampava a Washington per i circuiti confidenziali della marina americana un volume intitolato Diaryand Reports of the U.S. Naval Observer of Italian Operations in East Africa (Diario e rapporti dell'osservatore navale americano sulle operazioni italiane in Africa orientale). Sepolto per quarant'anni negli archivi riservati di Washington il diario di Del Valle è stato «declassificato» alla fine degli Anni Sessanta. Partiamo dall'inizio. Quando si cominciò a parlare di guerra i servizi d'informazione della marina americana drizzarono le orecchie e decisero che quella sarebbe stata una buona occasione per valutare la consistenza, l'organizzazione e la preparazione delle forze annate italiane. Scelsero un ufficiale dei marines, gli dettero una copertura diplomatica e lo spedirono a Roma, presso l'ambasciata degli Stati Uniti, nella speranza che il governo italiano gli avrebbe permesso di seguire, come osservatore, le operazioni militari. Di Pedro A. Del Valle non so nulla. Era italo-americano o aveva, a giudicare dal nome di battesimo, una parte di sangue spagnolo? Tbrnò in Italia durante la seconda guerra mondiale? Dallo stile dei diari emerge un uomo affabile, cordiale, ricco di senso dell'umorismo, ma scrupoloso e meticoloso. Ottenuto il permesso salpò da Napoli sulla Saturnia il 3 novembre 1935 insieme alla Quarta divisione Camicie nere «3 Gennaio» e sbarcò a Massaua cinque giorni dopo. Le operazioni in quel periodo erano comandate dal generale De Bono, quadrumviro della rivoluzione, governatore della Tripolitania, ministro delle Colonie e, nove anni dopo, «traditore» del fascismo al processo di Verona. Del Valle cominciò a guardarsi attorno, prese qualche nota sul traffico portuale, controllò le condizioni sanitarie di Massaua (mediocri), fece un breve viaggio ad Asmara e incontrò due giornalisti americani - Berding dell'Associated Press e Whitaker del New York Herald Tribune - da cui cercò di ottenere qualche informazione. Ma il 14 novembre, improvvisamente, gli notificarono che il suo permesso era scaduto e che sarebbe rientrato a Napoli il giorno dopo. Chiese se aveva commesso qualche errore, ma nessuno potè o volle rispondergli. Arrivato a Roma cercò di capire le ragioni del suo brusco rientro, ma giunse alla conclusione che troppe domande avrebbero insospettito i suoi interlocutori e gli avrebbero definitivamente precluso qualsiasi possibilità di tornare in Africa orientale. Forse la causa dell'incidente fu l'esistenza di due partiti al vertice del regime sulla politica da adottare verso il governo americano, che non aveva sottoscritto le sanzioni, ma suggeriva ai suoi uomini d'affari di astenersi dal vendere materiale strategico ai Paesi in guerra. Quando fu chiaro che i suggerimenti di Washington non bloccavano le forniture di petrolio alla marina, a Roma prevalse il «partito americano» e Del Valle ottenne un secondo permesso. Partì da Napoli il 15 dicembre su una nave che trasportava il duca di Spoleto, qualche giornalista (fra cui Vito Mussolini, figlio di Arnaldo) e 1200 operai «semimilitarizzati». Il 18 l'equipaggio celebrò il «giorno delle sanzioni» (erano passati due mesi dal giorno in cui la Lega aveva «punito» l'Italia) con discorsi e canti patriottici. Il 20 entrarono nel Canale di Suez e scoprirono che sulla strada lungo tutto il canale si erano dati convegno molti italiani d'Egitto per salutare e applaudire. Il giorno dopo, a mensa, qualcuno lanciò la conversazione sulle pallottole dum-dum, di cui facevano uso le truppe abissine. Per rappresaglia, disse il duca, occorrerebbe usare i gas. Un ammiraglio intervenne per ricordare che alcuni piloti italiani erano pronti a buttarsi in volo con i loro aerei siluranti per affondare le navi della flotta inglese. Più tardi Del Valle scoprì che i sentimenti antinglesi erano molto diffusi, soprattutto tra i giovaiù ufficiali. Quasi tutti i suoi interlocutori erano convinti che l'Inghilterra fosse perfida, corrotta, decadente e che l'Italia, con un milione di truppe coloniali, l'avrebbe scalzata dai suoi domini dell'Africa orientale. Il secondo viaggio durò sino alla fine di gennaio e il terzo, sul fronte Sud, dal 21 marzo alla fine di maggio. Del Valle strinse buoni rapporti con molti ufficiali e scoprì che la guerra è una sorta di carta moschicida su cui vanno a posarsi giornalisti, avventurieri, affaristi, filantropi, mercanti d'armi, informatori, giovani in cerca di gloria e persone d'ogni rango sociale assetate di distrazioni forti. Conobbe il generale Fuller, veterano della guerra dei Boeri, inviato speciale dei giornali di Lord Rothermere e, forse, agente dei servizi britannici. Conobbe Cari von Wiegand e Lady Hay Drummond che venivano da Addis Abeba e stavano rientrando in Egitto. Conobbe il capitano Campello, intrepido comandante di bande indigene, due volte ferito in battaglia. Conobbe Luigi Barzini e assistè a un suo memorabile litigio con il maggiore Branca del servizio stampa, colpevole di censurare i suoi articoli. Fra i generali e i colonnelli quelli che lo colpirono maggiormente furono Oraziani, Frusci, Pizzorno e Paladino che comandava il genio pontieri e fece uno splendido lavoro gettando ponti sui torrenti del fronte meridionale durante l'ultima fase della guerra. Era con loro durante la battaglia di Birgot ed era nella colonna del generale Navarra a Dagabur quando giunse la notizia che Addis Abeba era caduta, che gli abissini si stavano arrendendo, die il Negus era fuggito a Gibuti. Del Valle, tenente colonnello dei marines, era neutrale, ma la guerra degli italiani gli era piaciuta e in cuor suo, probabilmente, faceva il tifo per loro. Così sono gli uomini in guerra. Se fosse stato dall'altra parte, forse, avrebbe fatto il tifo per gli abissini. li i gas? Nei suoi rapporti sono menzionati scrupolosamente tre volte. Nella relazione scritta dopo il primo viaggio annotò che i marinai del Saturnia avevano le maschere e che della divisione «3 Gennaio» faceva parte personale specializzato in guerra chimica. Ma aggiunse di non avere prove sull'uso dei gas nelle operazioni del fronte eritreo. Nella relazione scritta dopo il secondo viaggio notò l'esistenza d'una stazione eh pronto soccorso per le vittime dei gas sulla penisola Abdel Rader a Massaua e raccolse qualche voce, ma constatò che le maschere non facevano parte della dotazione delle truppe italiane. Nell'ultima relazione, dopo due mesi sul fronte meridionale, riferì quanto gli aveva detto il generale Frusci; che l'iprite era stata usata soltanto come rappresaglia per le atrocità commesse contro un aviatore italiano, Miniai, precipitato con il suo aereo dietro le linee etiopiche. Da questa e altre indicazioni arrivò alla conclusione che i gas erano stati effettivamente usati, ma occasionalmente e non avevano rappresentato nel corso della campagna un fattore decisivo. E citò un generale turco dell'esercito abissino, Wahib Pascià, che ai servizi d'informazione inglesi dopo la line della guerra disse sconsolatamente; abbiamo perduto perché eravamo male organizzati e non avevamo trasporti. Nel libro di Del Valle i gas occupano complessivamente una dozzina di righe. Che cosa farebbe se dovesse arbitrare la disputa fra Montanelli e Del Boca? Probabilmente deciderebbe che il punteggio alla fine della partita è «uno a uno». Come sempre nelle controversie storiche nessuno ha completamente torto, tutti hanno un po' di ragione. Sergio Romano Un colonnello dei marines dal '35 partecipò alle operazioni belliche Ebbe notizia soltanto una volta dell'uso dell'iprite Divenne confidente di ufficiali, avventurieri e giornalisti: e assistette a un memorabile litigio di Luigi Barzini | L'avanzata degli artiglieri italiani durante la conquista dell'Etiopia Il Negus, Hailé Selassié, mentre assiste ad una parata nel '35 per celebrare la fine della stagione delle piogge; a sinistra il generale De Bono Il colonnello dei marines Pedro Del Valle riuscì a seguire le truppe italiane in Africa perché a Roma prevalse il «partito americano"