Trapianto attesa per ottomila

Il giovane barese sottoposto a intervento record negli Usa riapre il caso dei connazionali che vanno a farsi curare all'estero Il giovane barese sottoposto a intervento record negli Usa riapre il caso dei connazionali che vanno a farsi curare all'estero Trapianto, attesa per ottomila Ma in Italia è boom di donazioni: più 30 per cento ROMA. Prima si andava in Europa, oggi si attraversa l'Oceano. Oltre ottomila italiani aspettano un trapianto e, ogni anno, sono in 300 a chiedere di emigrare per un cuore, un fegato, un paio di polmoni o di reni «nuovi». In Italia mancano i donatori, si dice. Ma forse le cose stanno per cambiare: nel nostro Paese, nei primi sei mesi del '95, i donatori sono aumentati del 30%, rispetto allo stesso periodo del '94. La definizione che arriva, appunto, d'Oltreoceano, è di quelle che tengono con il fiato sospeso: «La più complessa operazione di trapianto nella storia della medicina: cinque organi sostituiti». Leonardo Cioce, barese di 28 anni, «lottatore nato», come l'ha definito la sorella, è il fiore all'occhiello del Jackson Memorial Hospital di Miami. Anche se, spulciando nell'archivio dati, si scopre che la «prima volta» non spetta a Miami, bensì al Children's Hospital di Pittsburgh (sempre la grande America) dove, il 23 luglio del '93 a un bambino di 9 anni furono trapiantati 5 organi nel corso di un intervento durato 13 ore. Del piccolo Ryan Elledge non si sa più nulla: le cronache di allora riferivano che, dopo l'operazione, le sue condizioni erano «critiche». Non è certo la caccia al primato a rendere importante l'attenzione sui trapianti. E di ben altri "primati" avrebbe bisogno la sanità mondiale con le morti annue per malattie infettive (16 milioni), del sistema circolatorio (10 milioni), per cancro (6 milioni), e per malaria (2 milioni), dati che - secondo l'ultimo rapporto Oms - fanno comprendere quanto poco incida, sullo stato di salute del Pianeta, il problema trapianti. Resta, però, il fatto che un evento come quello di Miami colpisce a fondo l'immaginario collettivo. Del resto la storia che dal Sud Africa di Christian Barnard va ai giorni nostri è costellata di prodigi in sala operatoria, di interventi «impossibili». All'ordine del giorno, ormai, la sostituzione «in contemporanea» di cuore e polmoni. Ma come dimenticare un altro primato (Istituto tumori di Milano) di cui la stampa dovette occuparsi nel '93? Si trattava del «pri¬ mo uomo in Europa» ad aver subito il trapianto di un organo «chimera». Ovvero, un organo che non esiste in natura, un fegato in grado di svolgere anche le funzioni del pancreas. Il portento fu reso possibile dagli scienziati che avevano "creato" per un paziente di 47 anni, una specie di puzzle con cellule di "pezzi" da sostituire. Tra i funambolismi in sala operatoria, ricordiamo quello che fu definito il «trapianto domino» per richiamare alla memoria il gioco con i tasselli del domino. Accadde nel '91, all'ospedale Bambino Gesù, a Roma. Un ragazzo di 13 anni ricevette il cuore di un coetaneo che aveva subito un incidente stradale. Il cuore difettoso era stato poi "riparato" e impiantato in un paziente di 53 anni. Per non parlare di organi doppi '.'riassunti" in uno solo. Avvenne all'ospedale San Martino (Genova, 1993), dove un uomo ricevette i reni di una bimba di 3 anni, saldati insieme con un delicato intervento di microchirurgia. Ma che cosa c'è di tanto portentoso nel pluritrapianto di Miami? «Soprattutto, un in¬ terrogativo - ci risponde il professor Mario Vigano, veterano dei trapianti nostrani -: finora i risultati del trapianto sull'apparato digerente non hanno dato esiti molto positivi. Speriamo non sorgano complicazioni Per il resto, è certamente faticoso e delicato tenere in anestesia un paziente per 36 ore». Un record l'intervento di Miami ce l'ha di sicuro: l'altissimo costo, oltre 800 milioni, la maggior parto dei quali coperti dall'Ussl di Bari. Si poteva fare in Italia? Vigano esita un attimo, poi risponde: «Secondo me, si poteva». I chirurghi hanno promesso a Leonardo Cioce una vita «nonnaie». Il che, nel linguaggio dei trapiantatori, significa rimanere in terapia immunosoppressiva per tutto il resto della vita (onde evitare le temute crisi di rigetto degli organi), con conseguente rischio continuo di infezioni. Una vita, si direbbe oggi, «blindata». Ma, comunque la si pensi, pur sempre una vita. Primo trapianto in Sud Africa i prodigi in sala operatoria si sono moltiplicati

Persone citate: Christian Barnard, Leonardo Cioce, Mario Vigano