L'ultimo mistero rosso «Dubcek dovevo morire» di Tito Sansa

8 Riaperto a Bratislava il fascicolo sull'«incidente» che costò la vita all'uomo della Primavera L'ultimo mistero rosso «Dubcek dovevo morire» I COMPLOTTI DI PRAGA BRATISLAVA NOSTRO SERVIZIO Alexander Dubcek, l'ex segretario del partito comunista cecoslovacco, eroe della «Primavera di Praga» nel '68, morto il 7 novembre 1992 in seguito a un misterioso incidente stradale avvenuto due mesi prima, avrebbe forse potuto venire salvato. Lo sostiene uno dei suoi tre figli, Pavol, di professione chirurgo. «Mio padre sarebbe forse ancora in vita - ha detto il dottor Pavol Dubcek alla televisione privata Vtv - se fosse stato trasportato a Bologna, per venire operato alla clinica Rizzoli». A chiedere il trasferimento in Italia erano stati lo stesso Alexander Dubcek e il figlio, in quanto ambedue consideravano l'ospedale Homolka di Praga (quello della «nomcnklatura») non attrezzato per un'operazione alle vertebre della spina dorsale che l'uomo politico slovacco si era fratturato nell'incidente di macchina. Tutto era stato predisposto per il trasferimento del ferito a Bologna, tramite l'interessamento di un amico di vecchia data di Dubcek, l'industriale Vittorio Caffeo di Casalecchio sul Reno. Con un jet-ambulanza pagato dal Caffeo (che non era salito a bordo per lasciare il posto a una lettiga), due medici specialisti - un internista e un chirurgo - erano volati a Praga nei primi giorni di settembre per prelevare il ferito. Ma «qualcuno» (non si sa chi, taluni dicono il primario dell'ospedale Homolka, Vittorio Caffeo pensa sia stato il ministro della Sanità cecoslovacco) si oppose al trasporto a Bologna e anche a quello, considerato come soluzione di ripiego, a Brno o a Bratislava. Pavol Dubcek non lo ha detto apertamente alla televisione privata slovacca, ma ha lasciato trapelare il sospetto che nel rifiuto di curare adeguatamente il padre ci sia stato qualcosa di losco. E chiede da quasi tre anni che sia riaperta l'inchiesta sulla morte del padre, in particolare sugli accadimenti nell'ospedale praghese. La medesima richiesta è stata fatta, su pressione dell'opinione pubblica slovacca (che non crede all'incidente automobilistico) e dei giornali di qui (che scrivono «incidente» tra virgolette). Stranamente, la richiesta di riaprire l'inchiesta, costituendo una apposita commissione parlamentare, è stata appoggiata da lutti i partiti politici slovacchi, che per la prima volta si sono trovati d'accordo. Il 6 settembre dunque, dopo la riapertura del Parlamento di Bratislava, il «caso Dubcek» verrà riesaminato ufficialmente. Molti sono i misteri da chiarire. Anzitutto quello dell'incidente, avvenuto la mattina del 1" settembre 1992, quando Alexander Dubcek a bordo della «Bmw» governativa percorreva ad alta velocità l'autostrada Bratislava-Praga, diretto verso la capitale dell'allora Cecoslovacchia per una riunione del Consiglio nazionale. Dopo tre mesi di siccità, quel 1" settembre fu il primo giorno di pioggia torrenziale e le strade erano scivolose, con l'insidia di «aquaplaning» nelle pozzanghere. Ma l'autista di Dubcek, l'agente Jan Resnik della polizia segreta cecoslovacca Stb (la ex Fbis comunista) correva ad altissima velocità. «A 172 l'ora» ha poi raccontato Dubcek durante la sua degenza. Resnik era noto per le sue folli corse, tanto che l'ex ministro degli Esteri cecoslovacco Rudolph Filkus lo aveva rifiutato perché lo aveva fatto «tremare di paura». Questo Resnik, uomo di fiducia del famigerato capo dei servizi segreti Stb, Cimo, fuggito in Svizzera, dove ha chiesto e ottenuto asilo politico, e dell'attuale capo del controspionaggio Sis, Svechota, era noto per avere seguito un corso di addestramento come «stuntman», imparando a saltare da automobili in corsa. E' perlomeno strano, se non sospetto - dicono a Bratislavache proprio lui, noto per la sua temerarietà e pericolosità, sia stato assegnato a Dubcek, inviso a molti alti papaveri della vecchia dirigenza a Praga e, nella sua Bratislava, ai fautori del separatismo della Slovacchia. E tanto più strano, se non sospetto, appare il fatto che nel¬ l'incidente di macchina l'autista Jan Resnik sia rimasto quasi incolume mentre Dubcek, che sedeva dietro, sia rimasto gravemente ferito. Comunque, che l'incidente sia stato casuale o voluto, per eliminare un uomo politico scomodo a molti, una serie di fatti misteriosi accadde dopo di esso. A dare l'allarme fu un automobilista italiano, che era stato superato dalla Bmw di Dubcek, e che da lontano aveva visto in un turbine d'acqua la macchina uscire di strada, finendo a circa 60 metri in un prato. «Correva come un fulmine» ha detto questo italiano alla polizia, la cecoslovacca, la quale dice di non conoscere le sue generalità. Pertanto questo misterioso italiano non ha potuto testimoniare al processo contro l'autista Jan Resnik, condannato a un anno di carcere per «guida imprudente». «Lo sto cercando da quasi tre anni - mi ha detto Vittorio Caffeo, l'industriale bolognese amico di Dubcek ma non riesco a trovarlo. Se si facesse vito, potrebbe contribuire a fare chiarezza sull'incidente». Sul posto arrivano altre macchine, le autoambulanze, la polizia. Si affaccendano tutti intorno all'auto sconquassata e all'autista, nessuno si cura di Dubcek. «Ho dovuto aspettare per quasi un'ora perché mi soccorressero - ha raccontato il fe- rito a Vittorio Caffeo che era andato a visitarlo all'ospedale -. Li vedevo, loro no. Ho dovuto gridare perché venissero in mio aiuto». Vittorio Caffeo, proprietario della «Procara», una piccola industria di innesto di capelli a Trencin, la città di Dubcek (e anche dell'attuale primo ministro, l'ex pugile Vladimir Meciar) non avanza sospetti. Ma li propongono i giornali di Bratislava, uno dei quali, lo «Slovak Spectator» in lingua inglese, mettendo in evidenza il latto che per un'ora nessuno si ò curato del ferito grave, nel suo ultimo numero intitola in prima pagina «Was Dubcek murdered?» (Dubcek è stato assassinato?). Tradotto in altri termini «visto che non era ancora morto, si è forse provato a lasciarlo morire dissanguato?». Alexander Dubcek aveva con sé una borsa di documenti. Di che cosa si trattasse non lo sa nessuno, neppure il suo segretario personale Jan Sekaj, incaricato delle relazioni internazionali del partito socialdemocratico. Orbene, questa borsa fu presa in consegna dalla polizie e restituita solo dopo molto tempo alla famiglia. Era vuota, dei documenti nessuna traccia. Jan Sekaj sa però che Alexander Dubcek era stato chiamato a Mosca per deporre di lì a qualche settimana dinanzi a una corte su misfatti commessi durante il '68 di Praga da dirigenti dell'apparato comunista e da agenti dei servizi segreti cecoslovacco e sovietico, Fbis e Kgb. Insieme con Dubcek - e questa è un'altra «stranezza» - era stato convocato a Mosca l'ex primo ministro polacco Piotr Jaroszewicz, ultraottantenne, per denunciare crimini commessi sotto il regime. Orbene, proprio quel mattino del 1° settembre 1992, mentre Dubcek correva in auto verso Praga pieno di dubbi e sospetti (aveva detto al suo autista: «Non bere nulla che ti venga offerto»), l'anziano ex primo ministro polacco fu trovato cadavere insieme con la moglie nella sua villa di Anin, alla periferia di Varsavia, lui impiccato, lei freddata con una fucilata. Erano stati ambedue torturati dai loro assassini ai quali avevano aperto la porta (non vi erano segni di effrazione), la cassaforte era stata aperta, tutti i documenti segreti che Jaroszewicz avrebbe dovuto portare a Mosca contemporaneamente a Dubcek erano spariti. A Bratislava sono in molti a pensare che tra ^incidente» autostradale in Moravia e l'assassinio di Varsavia esista una coincidenza perlomeno sospetta. Vi è da dire che Alexander Dubcek, durante la sua degenza nell'ospedale di Praga non fu mai interrogato né dalla polizia né dalla magistratura. E che durante il processo all'autista Jan Resnik (che ora gestisce un «buffet» a Bratislava, ma si rende irreperibile) non furono ascoltati come testimoni coloro che raccolsero le confidenze del ferito. Tito Sansa Il figlio: qualcuno impedì che fosse trasportato in Italia L'autista era un uomo dei servizi segreti che aveva seguito un corso da stuntman, lui si salvò La borsa dove teneva prove sui colpevoli della repressione non è mai stata ritrovata In alto da sin. L'auto di Dubcek dopo l'incidente lo slovacco Meciar e una immagine dell'uomo della primavera di Praga MI—TT" ' 0170 CAPITOLI PER UN GIALLO ICome il corpo del ferito finì 15-20 metri «davanti» all'automobile, quando non ci fu nessun urto contro un ostacolo, il parabrezza era intatto e solo i finestrini di destra e quello posteriore erano infranti? 2Perché non è mai stato rintracciato l'unico testimone oculare dell'incidente - un italiano - che diede l'allarme? 3Perché Dubcek ferito fu soccorso soltanto dopo un'ora e dovette gridare per richiamare l'attenzione dei soccorritori che si prodigavano intorno al suo autista, rimasto quasi illeso? 4Perché a Dubcek era stato assegnato un autista appartenente alla polizia segreta che aveva seguito un corso di addestramento come «stuntman», per saltare dalle vetture in corsa? 5Dove sono finiti i documenti della borsa che portava con sé? Cosa contenevano? 6Perché il ferito fu portato all'ospedale di Praga e non in quello di Brno, più attrezzato? 7Perché fu impedito [e chi lo impedì] che Dubcek venisse trasportato a Bologna, per venire operato nella clinica Rizzoli, come lui stesso e il figlio Pavol, di professione chirurgo, avevano chiesto? 8 Perché durante il processo all'autista di Dubcek non furono sentiti coloro che raccolsero le confidenze del fratello durante la sua degenza all'ospedale, prima della morte?