« La nostra lira malata di politica»

« A tre anni dalla crisi valutaria del '92 tutti i retroscena nel racconto dell'ex premier « La nostra lira, malata di politica» Amato: ecco perché ci esiliarono dallo Sme I L rombo di tuono del fortunale che s'avvicinava, Giuliano Amato sostiene di averlo avvertito chiaro all'antivigilia di ferragosto del 1992, neanche sette settimane dopo il suo insediamento a Palazzo Chigi, tra la macchia mediterranea che circonda la sua villa di Ansedonia. Pochi chilometri più a Sud, nel buen retiro piccolo borghese di Santa Severa, Carlo Azeglio Ciampi, col naso del'^banchiere centrale, aveva annusato la stessa cosa e ne aveva parlato con il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, suo grande estimatore e vicino di villeggiatura. «Non mi davo pace -ricorda Amato -, pensavo tra me e me: "Se la speculazione sulla lira parte, come facciamo a reggerla fino al 20 settembre?". Eravamo in una situazione assolutamente bastarda, stavamo offrendo una pista di slalom speciale agli gnomi di tutto il mondo». Che la lira non potesse più tenere la parità del Sistema monetario europeo, era ormai chiaro, ma occorreva attendere il referendum francese del 20 settembre: se avesse decretato il no a Maastricht, che cosa sarebbe stato dell'Unione europea? «Io -ricostruisce Amato, consultando il suo scarno diario manoscritto m'ero insediato a Palazzo Chigi ai primi di luglio, nel corso di un processo di turbolenza che i mercati valutari avevano annusato. Se il no danese avesse innescato una serie di no a Maastricht, non si sapeva dove saremmo finiti. Il mercato cominciava a sparare e le monete meno forti erano le prime a risentirne: la peseta, la lira e anche la corona svedese. In quel clima, si sussurrava intorno a me che un governo che volesse accogliere con beneficio d'inventario l'eredità del passato, in fondo, come prima cosa, avrebbe potuto; svalutare la lira. Nessuno ci avrebbe trovato niente di male, perché erano cinque anni che l'Italia era in una camicia di forza, che pesava sulla competitività. Il nuovo Parlamento e il nuovo governo potevano sottrarsi a quest'onere che veniva dal passato: erano molti gli economisti a consigliarmi questa linea. Io ero d'accordo, ma valutavo che in un Paese con un forte disavanzo e per un governo che aveva una delega a ridurlo svalutare prima di aver adottato misure severe e strutturali sarebbe stato intepretato dai mercati come un segno di debolezza. Quando decidemmo effettivamente di liberarci della camicia di forza? Ricordo che tornai dal G7 di Monaco e, presente Piero Barucci, ci fu una colazione con Ciampi in Banca d'Italia - era forse il 18 di luglio -, nella quale discutemmo della svalutazione: tutti concordammo che non soltanto la lira, ma tutta l'Europa stava pagando con i tassi d'interesse l'unificazione tedesca. Là a colazione in Banca d'Italia, ci trovammo subito d'accordo: la svalutazione andava concordata con l'Europa e programmata dopo il 20 settembre, dopo il referendum francese. Ciampi fu lucidissimo, non aveva dubbi che il riallineamento poteva innestarsi con la riduzione dei tassi tedeschi ed era invece contrarissimo, come me, a una svalutazione unilaterale». «Con quest'ansia parto per Ansedonia verso la metà d'agosto: la condizione della lira era precaria, non ero tranquillo, non riuscivo neanche a fare i bagni di mare: così un pomeriggio dico a mia moglie: "Stasera, Diana, andiamo a Santa Severa". Carlo e Franca Ciampi hanno vicino a casa un ristorante che cucina dell'ottimo pesce e che glielo recapita: lo mangiamo tra sala da pranzo e terrazza e, mentre Franca e Diana chiacchierano d'altro, Carlo m'illustra una situazione che m'induce, la mattina dopo, a chiamare a Parigi Bérégovoy e ad andare poi a trovarlo da solo. Era l'ultima domenica d'agosto, l'aereo scese a Grosseto alle tre del pomeriggio per prendermi. Pierre era nella residenza estiva, per cui scendemmo in un aeroporto militare a Versailles. Arrivo in questa bella casa di campagna, dove scricchiolano i pavimenti di legno, e penso che il presidente del Consiglio italiano non ha residenza estiva perché è una creatura precaria e perciò, anche per non sfidare il ridicolo, sta soltanto a casa sua. Ma son convinto che, prima o poi, col presidenzialismo, magari anche a noi una Casa Rosada, che si adatta meglio ai colori latini, non ce la toglie nessuno. In quella bella villa di campagna, Bérégovoy mi accoglie amichevolmente e io gli dico: "Guarda, Pierre, che al 20 settembre non ci arriviamo, lo Sme è pieno di buchi, è tenuto su con gli stecchi". E lui: "Non deve succedere, sennò perdiamo il referendum. Io già vedo più no che sì, figurati se ci fossero delle svalutazioni". Io insistevo con la classica domanda che non si deve fare: "E se non resistiamo?". E lui: "Dobbiamo resistere!". Insomma, disponibilità al nostro riallineamento prima del 20 settembre zero. Per cui, appena la governante finì di servire il tè coi pasticcini e con cioccolatini sensazionali, mi feci riportare in fretta all'aeroporto, anche perché - siamo uomini - in Italia mi attendeva una cena da Ruggero Manciati a Capalbio, nell'antica casa del podestà, una casa vera, con un orto interno e un lungo tavolaccio per le occasioni conviviali. Ruggero, per di più, è un accademico della cucina e fa delle straordinarie triglie alla livornese». «Venerdì 4 la lira sfonda la soglia della parità consentita dallo Sme, 765. La mattina, in pieno Consiglio dei ministri, telefona Ciampi e fa: "Qui le cose vanno male, c'è una grave emorragia di riserve". Un'ora dopo richiama e dice: "Proviamo ad aumentare il tasso di sconto". Il giorno dopo Barucci va a Bath per una riunione dell' Ecofin e la sera mi telefona disgustato: "Guarda, nessuno è pronto a far niente, la riunione è stata un vero disastro"». «Ciampi mi viene a trovare martedì 8 settembre, un giorno che, per la verità, fu più l'8 settembre della Svezia che dell'Italia. Quel giorno, il tasso svedese passò dal 16 al 24 e poi al 75 per cento. Dovevamo fare qualcosa. Stavamo ancora lavorando sulle misure forti, ma enunciammo i criteri della finanziaria, annunciammo le privatizzazioni e poi discutemmo se varare un grosso prestito internazionale, un prestito-Jumfto. Barucci mi sconsigliò. "Giuliano - mi disse - qui ci stiamo reggendo sugli stecchi: e se poi si svaluta?". Così rinunciai al Jumbo, ma feci il disegno di legge sulla stabilità economica, che, peraltro, ebbe un esito disastroso: il mercato non fu impressionato per niente, lo scatenamento era ormai generale». «Venerdì 11 settembre a metà pomeriggio, contemporaneamente, Teo Waigel, ministro tedesco delle Finanze, chiama Barucci, e Schlesinger, presidente della Bundesbank, chiama Ciampi. Molto garbatamente, dicono entrambi che gli interventi a favore della lira sono stati molto intensi e che da lunedì "la Bundesbank dubita di poter servire marchi contro lire". Ci ritrovammo con Barucci e Ciampi nella mia stanza, con l'aria mesta, e d'istinto, all'unisono ci dicemmo che questo violava gli accordi di Nyborg, in Danimarca, che prevedevano, nel caso in cui una valuta dello Sme arrivasse a una minima distanza dal margine e la ragione fosse da ritenere speculativa, il sostegno delle altre banche centrali in modo "illimitato". Nessuno, allora, aveva idea della mole d'investimenti che può scatenare il mercato». «Nel settembre 1992, in realtà, ignoravamo una cosa fondamentale: quando la Germania aveva accettato Nyborg, ciò era avvenuto con una riserva espressa, ma segreta, imposta dalla Bundesbank: interventi illimitati sì, ma se non mettono a repentaglio il marco. Perciò i tedeschi davano corso adesso alla riserva segreta della Bundesbank. Passammo un intero pomeriggio al telefono. Ciampi chiamava Schlesinger e Waigel chiamava noi. Stazionava a Palazzo Chigi in permanenza per tradurre le telefonate. Alla fine ci dissero che loro si sarebbero riuniti alle 21 a Francoforte, presso la Bundesbank, per adottare una posizione e che il giorno dopo avrebbero mandato loro emissari, a Parigi e a Roma. "Si riuniscono a Francoforte!" dicevamo stupiti con Ciampi e Barucci, "ma allora chi detta legge non è il governo, è la Bundesbank". Sbagliavamo. In realtà, Kohl voleva starsene a casa sua, a pochi minuti di macchina da Francoforte». «Sabato 12, alla Fiera del Levante, in uno stato d'animo che si può immaginare, feci un discorso a braccio senza mai nominare la svalutazione. Poi me ne andai ad Ansedonia. Verso le quattro di pomeriggio arrivarono a Roma il sottosegretario alle Finanze Kohler e il vicegovernatore Tietmayer. Dall'altra parte: Barucci, Draghi, Ciampi e Dini. I tedeschi riferirono del loro colloquio a Parigi, dove il ministro delle Finanze e il direttore del Tesoro avevano detto: "No, grazie, noi non riallineiamo, perché, sapete, c'è il referendum tra pochi giorni". Però davano l'ok all'Italia. Chiesero che svalutassimo del 10 per cento. Fu Ciampi a dire: "Il presidente ha firmato un accordo sul costo del lavoro e il 10 per cento lo può mettere a repentaglio". La conclusione fu: meno 3,5 noi e più 3,5 loro. Nell'accordo c'era la clausola che loro avrebbero fatto una riduzione anche maggiore, se altri si fossero associati al riallineamento. Così Barucci cercò Lainont, il suo collega inglese, che era a teatro. Fu richiamato a tarda notte e Lamont gli disse: "Guarda che non ci pensiamo neanche, stiamo bene così". La mattina dopo Major mi dice che la cosa non gli interessa proprio e io avrei voluto rispondergli: "John, guarda che poi ti tiri addosso un accidente". Ma mi trattengo, cerco di dirglielo con un po' più di garbo: "Guarda che dopo la svalutazione della lira rischiamo nuove occasioni d'instabilità. Pensaci bene". E lui: "No, Giuliano, per noi non è un problema'. A quel punto pensai: "Io stasera svaluto la lira: bisogna che avverta il capo dell'opposizione". Paolo Leon era tra quelli che sosteneva¬ no che la lira era in mia camicia di forza, allora pensai che fosse il miglior ambasciatore presso Cicchetto. Gli telefonai e gli dissi che nel giro di due o tre ore sarebbe stata annunciata questa cosa, avendo ottenuto la riduzione dei tassi tedeschi. Una liberazione per la lira. Passammo due ore con Barucci e Reviglio, quel 14 settembre, a discutere il modo di presentare la cosa agli italiani. Consultai Scalfaro, che mi disse: "l.erca di far essere presente all'annuncio anche Ciampi". Ma sapevo che Carlo mi avrebbe detto di no, perché lui viveva come una sconfitta questa svalutazione unilaterale. Mi presentai cosi da solo in televisione, alle otto, e non negai che era una sconfitta, ma annunciai che l'avremmo accompagnata con misure severe. Il giorno dopo capii quant'è elevato il cmismo della politica: tutti coloro che avevano sostenuto la svalutazione come una liberazione, puntarono il dito. Venni accusato di aver presentato una sconfitta come una vittoria, tanto che ammisi di aver forse ecceduto, ma vista oggi, penso di aver detto la semplice verità». «Il lunedì passò calmo, il nuovo tetto era 821 e ci stemmo tranquillamente dentro. Ma il martedì va sotto attacco la sterlina e nel giro di poche ore viene speso tre volte quello che era stato speso per la lira, forse 20 miliardi di dollari. Lamont chiama Barucci e gli dice: "Noi portiamo il tasso d'interesse al 15 per cento. Voi che fate?". Risposta di Barucci: "Nulla". La sera a New York la sterlina ha un crollo, i computer scattano prima dell'intervento delle banche europee. Nella notte tra il 16 e il 17 si riunisce il Comitato monetario e la sterlina decide di uscire dallo Sme. Non dimentichiamo che non avevamo più riserve e non potevamo far altro che uscire anche noi. La quo¬ tazione della lira viene sospesa per tre giorni, la peseta svaluta del 5 per cento. Quello stesso giorno facemmo la manovra da 90 mila miliardi». «Il 20 settembre ci fu il referendum francese, la cui attesa tanti guai aveva provocato, e, nonostante la vittoria del sì, il giorno dopo partì l'attacco al franco». «Tra il 21 e fine mese venne un periodo, se possibile, ancora peggiore: la lira non si stabilizzava, Trentin cominciava a prendere bulloni in piazza, il sindacato era in difficolta, ma ebbe l'intelligen za di regionalizzare la protesta contro le mie misure: per questo, merita la medaglia d'oro. I partiti mi guardavano come uno che se rotola sono affari suoi. Sentivo una grande solitudine. Si attendevano le ulteriori misure della finanziaria e si temeva che avrei dato un'altra spolverata ai conti bancari. Ma i senatori della Repubblica si misero in fila davanti allo sportello dell'agenzia del Banco di Napoli di Palazzo Madama per ritirare i loro risparmi. I Bot arrivarono l'ultima settimana di settembre al 18,50% e i titoli di Stato a 86: gli italiani avevano perso il 14% dui loro risparmio». «Finalmente, approvata la finanziaria, la lira si stabilizzò sulle 840, i titoli recuperarono e gli interessi cominciarono a scendere. Per questo Ciampi ed io, che vivemmo quel periodo come due fratelli che cercano di salvare la zattera, siamo diventati così amici. Io gli passai il testimone con gli interessi dei Bot al 12-13, lui li portò da presidente del Consiglio all'8. Poi, purtroppo, col governo successivo la tendenza s'invertì». «Al terzo giorno di sospensione della quotazione, dovemmo prendere atto che la lira si negoziava, ma fuori dello Sme, dove saremmo rientrati al più presto. A Birmingham, in un vertice europeo straordinario, capii che Major non aveva alcuna intenzione di rientrare». «A quel punto decisi di sondare ipartner sul rientro della lira: era verso fine ottobre, partimmo per la Francia con Barucci e Ciampi. Stessa casa a Versailles, stessi cioccolatini. Cominciammo a capire che aria tirava quando De Larosiere disse: "Il 7 per cento di svalutazione che avevate concordato coi tedeschi mi sembra gin sto". Figurarsi, noi puntavamo a una via intermedia tra il 10 e il 20. E Bérégovoy aggiunse: "Ma Giuliano, aspettiamo l'assestamento tra dollaro e marco". Fu a quel punto che io scattai e gli feci: "Pierre, si saranno assestati quando al governo saranno i nostri figli. Comunque, se preferisci una lira corsara intorno allo Sme, sappi che non solo gli olandesi, ma anche gli italiani hanno le loro tradizioni corsare". Capii chi; era preoccupato per il franco, per salvare la cui permanenza nello Sme, mesi dopo, si sarebbe fatta, con la banda al 15 per cento, una cosa che se fosse stata fatta nel settembre '92 avrebbe mantenuto lira e sterlina nel sistema: la verità è che paghiamo il prezzo di un'Europa figlia dell'asse francotedesco, di cui pure l'Europa ha bisogno». «La nostra vera carta per il rientro nello Sme era, a quel punto, la Germania. Il giorno dopo Versailles partimmo per Francoforte: la macchina personale di Kohl veniva a prenderci per portarci a casa del cancelliere, mentre Ciampi andava a casa Schlesinger. Il governatore ci raccomandò: "Non fate tardi". Poi scoprii che temeva i dolci della signora Schlesinger. Un classico piccolo villaggio tedesco, Kohl ci accoglie davanti al cancelletto, uguale a tutti gli altri. A me, piccolo, raffigurato nelle vignette come Topolino, piace quest'onione grande e grosso che mi diceva sempre: "Dai retta a me: è chiaro che i tuoi nemici peggiori sono i socialisti, tu sei un pericolo per loro, non per i democristiani". Chiacchierammo nel salotto, perché Kohl aveva detto: "A cena si sta in pace, risolviamo prima li; questioni" Quando dalla discussione tra Barucci e Kohler vede che la questione del livello della parità è rognosa, tuona: "Se Giuliano vuole riportare la lira nello Sme, noi dobbiamo fare il possibile, la parità giusta la troverete". E infine, guardandomi con commiserazione, perché avevo rifiutato il vino offerto come aperitivo, proclama: "Adesso a cena!". C'era il figlio che portava in tavola questi piatti con animali già di per sé grassi, ripieni di cose ancora più grasse. Cose saporitissime, che a me piacciono, ma che mi saziavano soltanto a guardarle. E lui: "Mangia Giuliano, che devi ingrassare". All'aeroporto trovammo Ciampi che ci aspettava e convenimmo che con i tedeschi si poteva discutere». «Approvata la finanziaria, nella vita del mio governo diventò improvvisamente prioritaria la vicenda Tangentopoli, portandolo pian piano verso l'estinzione. Ma resto convinto che non si può fare della parità valutaria una ragione di orgoglio nazionale, che se quell'estate del 1992 non fosse prevalso l'orgoglio un riallineamento generale avrebbe salvato lo Sme. In assenza di questa cornice, la lira fuori dallo Sme è più esposta di altre monete per una ragione originaria, il disavanzo, e perché ai tradizionali fondamentali dell'economia si sono aggiunti i fondamentali della politica. E noi oggi difettiamo nei fondamentali della politica come e più che in quelli dell'economia». Alberto Staterà «Kohl mi disse Giuliano, ti aiuterò a riportarla dentro il sistema. Poi, fu Tangentopoli» «Io e Ciampi vivemmo quei giorni come due fratelli Per questo oggi siamo così amici» A tre anni dalla crisi valutaria del '92 tutti i retroscena nel racconto dell'ex premier 1274 « La nostra lira, malata di politica» Amato: ecco perché ci esiliarono dallo Sme '^Sgl m e o l i n . o n l e e l e o o; i , , l : n a r i MARZO '93 1 VOCI DI AVVISO I AD AMATO | TRE ANNI MONTAGNE RUSSE [TASSO DI CAMBIO LIRA-MARCO DAL SETTEMBRE '92] 4 Dati indicativi 17 MARZO '95 VENERD1' NERO. LA MANOVRA BIS E' IN FORSE DINI TREMA 1150 LUGLIO '95 9 PASSANO LE PENSIONI SCENDE L'INFLAZIONE 1097,16 16 AGOSTO GENNAIO '95 IL POLO NON APPOGGIA IL GOVERNO DINI A sinistra Giuliano Amato in un momento della conferenza. stampa del 17 settembre 1992 sull'uscita della lira dallo Sme Accanto, l'allora ministro del Tesoro Piero Barucci con l'ex governatore della Banca d'Italia Ciampi Sopra, il cancelliere tedesco Helmut Kohl svalutazione che avevate concordato coi tedeschi mi sembra gin sto". Figurarsi, noi puntavamo a una via intermedia tra il 10 e il 20. E Bérégovoy aggiunse: "Ma Giuliano, aspettiamo l'assestamento tra dollaro e marco". Fu a quel punto che io scattai e gli feci: "Pierre, si saranno assestati quando al governo saranno i nostri figli. Comunque, se preferisci una lira corsara intorno allo Sme, sappi che non solo gli olandesi, ma anche gli italiani hanno le loro tradizioni corsare". Capii chi; era preoccupato per il franco, per salvare la cui permanenza nello Sme, mesi dopo, si sarebbe fatta, con la banda al 15 per cento, una cosa che se fosse stata fatta nel settembre '92 avrebbe mantenuto lira e sterlina nel sistema: la verità è che paghiamo il prezzo di un'Europa figlia dell'asse francotedesco, di cui pure l'Europa ha bisogno». «La nostra vera carta per il rientro nello Sme era, a quel punto, la Germania. Il giorno dopo Versailles partimmo per Francoforte: la macchina personale di Kohl veniva a prenderci per portarci a casa del cancelliere, mentre Ciampi andava a casa Schlesinger. Il governatore ci raccomandò: "Non fate tardi". Poi scoprii che temeva i dolci della signora Schlesinger. Un classico piccolo villaggio tedesco, Kohl ci accoglie davanti al cancelletto, uguale a tutti gli altri. A me, piccolo, raffigurato nelle vignette come Topolino, piace quest'onione grande e grosso che mi diceva sempre: "Dai retta a me: è chiaro che i tuoi nemici peggiori sono i socialisti, tu sei un pericolo per loro non per i democristiani" A sinistra Giuliano Amato in un momento della conferenza. stampa del 17 settembre 1992 sull'uscita della lira dallo Sme Accanto, l'allora ministro del Tesoro Piero Barucci con l'ex governatore della Banca d'Italia Ciampi Sopra, il cancelliere tedesco Helmut Kohl