UNA SICILIA A TUTTA BIRRA di Giovanni Tesio

UNA SICILIA A TUTTA BIRRA UNA SICILIA A TUTTA BIRRA Camilleri, divertimenti in giallo Camilleri sostiene di essere debitore per più che uno spunto dell'Inchiesta sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia (18751876), pubblicata da Cappelli alla fine degli Anni Sessanta. BUONO tutto, persino gli zampini». In Emilia lo si dice del maiale e qualcuno a scopo di elogio è riuscito a dirlo anche di un classico come il Manzoni. L'espressione può tornare ora per un libro molto divertente che potrebbe perdersi (e sarebbe un vero peccato) tra le tante e disparate letture estive che la stagione viene consigliando. Cercando subito subito II birraio di Preston di Andrea Camilleri, edito da Sellerio nella collana «La memoria», per la modica cifra di 15 mila lire ci si ritroverà tra le mani un romanzo di 239 pagine tutte quante godibili, indice compreso. Camilleri è un regista di teatro, di cui i risvolti di copertina non ci dicono l'età (ma dalla dedica si scopre che è nonno di tre nipotini), insegna o ha insegnato regia all'Accademia d'Arte Drammatica, scrive saggi teatrali, ha fatto e fa radiotivù, sceneggiature e spettacoli. Il corso delle cose è il romanzo con cui ha esordito nel '78, poi trasmesso in tv con il titolo La mano sugli occhi. Il romanzo successivo è stato pubblicato da Garzanti e gli ultimi da Sellerio. Tutti o quasi tutti legati ad un impianto giallo e a uno spunto storico-cronachistico, ad una Sicilia postunitaria o primonovecento, che però non esclude la contemporaneità più bruciante. Forse non esistono ancora gli estremi di un caso letterario, ma certo bastano queste poche note a costituire altrettanti indizi di uno scrittore non casuale. Ma anche senza questa preziosa ammissione, la volontà di disegnare con mezzi diversi da altri scrittori, del resto debitamente citati (ad esempio Pirandello o Sciascia), una Sicilia come metafora, si mostra tra le righe molto più di quanto non accada di cogliere lì per lì nello scoppiettio delle trovate verbali e nell'umorismo spesso virato in comicità (volutamente) da operetta o da avanspettacolo. Basterebbe pensare sul serio alle prime battute di questo Birraio, degne di entrare fra gli incipit raccolti due anni fa, per gioco e per dottrina, da Frutterò e Lucentini: «Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa. Il non ancora decino Gerd Hoffer, ad una truniata più scatasciante delle altre che fece trimoliare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto, accorgendosi, nello stesso momento, che irresistibilmente gli scappava». Niente paura. Davanti a parole che potrebbero evocare frettolose affinità con qualche nipotino di Gadda, basta resistere appena un poco per capire che nel romanzo in questione il linguaggio non è se non una pellicola giocosa. Invece di mimare il caos del mondo richiama il divertimento infantile degli sberleffi. Un parlare enclitico a base di «dicìticci» e di «irisìnni» che sembrano scioglilingua. Camilleri impasta e inventa le parole, tutte contestualmente e senza sforzo comprensibili, con il gusto di un giocoliere che si diverte pazzamente a lanciare i suoi attrezzi. Non si tratta del resto - e sarebbe già molto - di un divertimento tutto verbale. Non basta qualche trovata alla Nino Frassica («pinnotizzata» per ipnotizzata, oppure «all'urbi e all'orbo» per urbi et orbi), e nemmeno bastano le sorprese di qualche altro innesto regionalnazional-dialettale entro il corpo vivo della miscela siculitaliana che fa da pedale continuo. I pupi sicilian I pupi siciliani Andrea Camilleri Il birraio di Preston Se//er/o pp. 239. L. 15.000 Giustificazioni non ne mancherebbero perché la storia è ambientata negli Anni Settanta del secolo scorso, in una Sicilia fittamente abitata da probi e a volte anche un po' carogneschi funzionari calati dal Nord in terra di infedeli. Tanto che capita di sentire un prefetto toscano parlare con la sua bell'acca aspirata, un questore milanese che pare uscito da un «saggio lirico» del Tessa, un mazziniano romanesco che parla burinando, un generale piemontese, che sa mandare in quel posto con perfetto stile gianduja o ancora un fidato portaordini che sa lanciare con vigore l'ineffabile «Giuda fauss!», quasi quanto l'ingegnere tedesco Fridolin Hoffer, inventore di una macchina per spegnere gli incendi, sa manovrare teutonizzando l'immancabile «Mein Gott!». E dunque non solo linguaggio da commedia all'italiana ma una storia tenuta saldamente e vivacemente insieme da un buon plot giocato a ricalco di un fatto debitamente rifatto entro una toponomastica d'invenzione. Cosicché la cittadina di Vigata e il capoluogo di Montelusa, qui come già nei due romanzi precedenti [La stagione della caccia e La forma dell'acqua), finiscono per appartenere ai distretti del fantastico, pur restando intinti nei colori di un vero rigorosamente non verista. Si racconta di un prefetto che s'intestardisce a voler inaugurare il locale teatro con un'opera non gradita alla popolazione. Ne viene fuori tutto un mondo di delitti che sembrano incidenti e di incidenti che sembrano delitti. Funzionari piovuti dall'altro mondo come dei marziani, notabili troppo stabilmente radicati in questo. Mafiosi, ascari, cornuti, mestatori. Ambiguità ed equivoci. Coincidenze e destino dentro un pugno di parole e di gag ben disposte. La storia procede con buon ritmo ed imbarca via via primi piani e profili di personaggi nobili e meno. Figure e figurine farsesche che risultano funzionali al movimento. Scene scenette e scenate d'insieme che potrebbero uscire da una qualche strip di Jacovitti, finezze narratologiche che potrebbero esser nate sul verso di una monografia di Genette o di un trattatello di Eco. Ma è proprio qui, in questa terza zona che va letta sotto il divertimento della costruzione e del linguaggio, la lezione forse più ambiziosa del romanzo di Camilleri. Quella che scaturisce dalla rappresentazione stessa del Birraio sul turbatissimo proscenio del teatro di Vigata. Non a caso il titolo dell'opera rappresentata è lo stesso del romanzo. Storia plautina di un doppio che si presta allo «scangio», ossia allo scambio di persona, e che può essere tradotta nella domanda esemplare: «Qual era, in Sicilia, la proporzione delle cose che succedevano per scangio rispetto a quelle che invece accadevano senza scambio di persone o cose?». E' un dubbio metodico che attraversa tutti i romanzi di Camilleri, ma che nel Birraio di Preston si fa più corale e comunicante, coinvolgendo palcoscenico e platea. Umorista del vero, il nostro scrittore si serve del giallo per moltiplicare uno strategico gioco di specchi. Nascondere la faccia della morale sotto la maschera di questo gioco diventa il suo gioco. E se, così facendo, come umorista si diverte, come romanziere non manca di farci divertire. Giovanni Tesio

Luoghi citati: Emilia, Sicilia