La ragione può battere la guerra? Ricordiamo una grande guida alpina
La ragione può battere la guerra? Ricordiamo una grande guida alpina LETTERE AL GIORNALE La ragione può battere la guerra? Ricordiamo una grande guida alpina Meno retorica più interventi Passano i mesi, passano gli anni mentre decine di migliaia di persone vengono uccise, deportate e violentate; i mass media dedicano innumerevoli servizi agli orrori della guerra, il Parlamento nazionale, il Consiglio regionale, la giunta provinciale e comunale discutono, sottoscrivono impegni per la pace, le associazioni e i cittadini manifestano e portano aiuti umanitari alle popolazioni colpite ma nulla cambia nella ex Jugoslavia. La stessa Unione Europea non è in grado di intervenire perché così hanno deciso i governi dei Paesi membri. Ciascun Paese non è disposto a cedere parte della propria sovranità militare perché ritiene (a torto) di poter esercitare una propria politica autonoma. Si consideri a riprova di ciò l'atteggiamento di Chirac con la ripresa degli esperimenti nucleari. La realtà dimostra che nel campo della politica estera e della sicurezza non sono possibili iniziative isolate; soluzioni efficaci possono essere prese solo da una istituzione sovrannazionale alla quale vengano attribuiti poteri reali e possa decidere senza il diritto di veto. E pensare che un primo tentativo venne fatto nel lontano 1954 allorquando l'Assemblea nazionale francese rigettò il progetto di trattato C.E.D. (Comunità europea di difesa) partito, tra l'altro, da una iniziativa del primo ministro francese Pleven. E' incredibile come la ragione possa essere messa a tacere per così tanto tempo e così sfacciatamente. Vale la pena di ricordare l'art. 11 della Costituzione: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni intemazionali rivolte a tale scopo». Che aspettano, allora, i nostri deputati al Parlamento italiano ed europeo ad agire nella direzione indicata dalla Costituzione e a presentare progetti concreti invece di mostrare in ogni occasione tanta inconcludente retorica? Nicola Vallinoto, Genova Il grande Emile Rey principe delle montagne Vorrei ricordare, a cent'anni di distanza dalla scomparsa, mia figura della montagna d'altri tempi, Emile Rey, famosa e grande guida alpina valdostana di Courmayeur (Aosta) e del Monte Bianco, detto il «Principe delle guide». Emile Rey nacque nel 1846 a La Saxe, caratteristico e pittoresco villaggio montano situato nel Comune di Courmayeur, sulla strada che porta verso il grandioso massiccio del Monte Bianco. Dotato di un fisico eccezionale e di un'innata abilità alpinistica, nel 1868, a 22 anni, lo troviamo già iscritto nel primo elenco ufficiale delle «guides à pied» della Società delle guide di Courmayeur, gloriosa e prestigiosa istituzione fondata nel 1850. Il nome di Emile Rey è legato alla prima ascensione assoluta dell'Aiguille Noire de Peutérey, 3773 metri, fantastica e originale vetta sita nella catena del Monte Bianco, che egli effettuò il 5 agosto 1877 in compagnia del cliente inglese Lord Wentworth, autorevole ed eminente membro del Parlamento britannico e ottimo alpinista, e della guida alpina valdostana di Valtournenche Jean-Baptiste Bich. Ma la grande guida valdostana Emile Rey si rese protagonista di memorabili scalate anche nel resto delle Alpi, dal suo Monte Bianco all'Oberland Bernese, dove conobbe Christian Klucker, celebre guida alpina svizzera dell'epoca. Considerato da tutti come la più grande guida alpina del XIX secolo, Emile Rey si rese inoltre protagonista di imprese alpinistiche extraeuropee. Fu nelle Ande dell'America del Sud, scalò rilievi montani dell'Africa, dell'Asia e dell'Oceania. Emile Rey morì il 24 agosto 1895 ai piedi del Dente del Gigante, il no- tissimo picco roccioso sui ghiacciai del Monte Bianco, vittima di un incidente in montagna. Il suo purissimo spirito di Principe delle Guide, entrato ormai in una dimensione cosmica e divina, dove le distanze fisiche e gli impacci materiali non contano più, vivrà sempre sui ghiacciai e sulle pareti rocciose e creste nevose degli alti monti che nella sua avventura terrena lo videro come mirabile figura di fiero, orgoglioso, forte, valoroso e onesto montanaro italiano dalla parlata franco-provenzale e francofona, come famosa e grande guida alpina valdostana e come impareggiabile e insuperabile salitore. Alessandro Mesère, Aosta Il mestiere di Negroponte Leggo, seppure con ritardo, su La Stampa del primo e due luglio la polemica che si è accesa fra un gruppo d'intellettuali italiani a proposito di una premiazione che non è piaciuta a tutti. Luciano Gallino ha raccontato dell'accoglienza che ha avuto il professor Negroponte, studioso amatissimo dagli appassionati d'informatica. Il Telecom Italia che ha tenuto un summit nella città di Napoli ha ritenuto di far conoscere, premiandolo, il cofondatore e direttore di uno dei più importanti laboratori di ricerca multimediale del mondo. Professore in comunicazione tecnologica a Boston, il prof. Negroponte è stato trattato con ironia da Furio Colombo, Claudio Magris e Beniamino Placido. Come un «imbonitore del vecchio West». Magris e Placido hanno ritenuto di doversi in qualche modo scusare, e lo hanno fatto su La Stampa. Furio Colombo ha puntualizzato che è stato premiato un tecnico, non un uomo di cultura. Ma è solo un tecnico uno studioso che si occupa di come dovranno essere le nuove biblioteche, posto che quelle esistenti impongono oneri insostenibili e determinano desiderio di sintesi e necessità di «sistemi che permettono di memorizzare migliaia di libri in pochi centimetri cubi e di potere estrarre da essi in pochi minuti il libro che interessa?». Quindi un cambiamento radicale. Gallino ci ha spiegato, tra le tante altre cose, che il mondo culturale prossimo venturo non vuole affatto prepararci a diventare computervideodipendenti, ma semplicemente capaci di accostarci a tutti i mezzi d'informazione che stimolano i nostri interessi culturali. Sarebbe interessante sapere che cosa pensano i nostri intellettuali della Bibliothèque Nationale de France, un colosso per dimensioni e sontuosità, che l'ex presidente Mitterrand ha voluto realizzare a Parigi per assecondare la grandeur di cui sono fieri i francesi. Maria Pia Palmieri Ripoli Celico (Cs) La tragedia dell'alcolismo In risposta alla lettera firmata «Un padre con due figli alcolisti», pubblicata in questa rubrica do¬ menica 6 agosto, desideriamo anzitutto esprimere tutta la nostra comprensione e solidarietà all'autore della lettera, per il dramma che sta vivendo. Siamo membri dell'Associazione Alcolisti Anonimi, molto vicini ed in piena collaborazione con l'Associazione Al Anon (parenti e amici di alcolisti). Il dramma che trapela dalle righe della lettera in oggetto l'abbiamo vissuto tutti noi con le nostre famiglie. Non c'inoltriamo nelle considerazioni relative alla prevenzione ed alle carenze degli enti preposti allo scopo. Siamo associazioni di auto-aiuto, quindi non professionali. Noi ci limitiamo a testimoniare che attraverso un certo metodo siamo riusciti ad uscire dal tunnel dell'alcolismo. E' un metodo tutto improntato allo spirito di amicizia, solidarietà, calore umano. Chi sta scrivendo queste righe, è vissuto per alcuni decenni nella ossessione alcolica, con le conseguenze a livello famigliare che Lei sta vivendo. Attraverso l'esperienza in A.A. (noi alcolisti) ed in Al Anon (i nostri congiunti) abbiamo ritrovata la consapevolezza dei valori della vita per i quali essa vale la pena di essere vissuta. Il suggerimento che ci permettiamo di rivolgerle, è di uscire dal buio della solitudine, dall'isolamento e di unirsi a noi per uscire dai tormenti della piaga sociale qual è l'alcolismo. Provi a contattarci. Sugli elenchi telefonici troverà il nostro recapito alla voce: Alcolisti Anonimi. Siamo anonimi, quindi la discrezione è assicurata nei confronti di tutti i partecipanti; nessuna formalità per entrare a far parte di questa cerchia di amici, né tasse o quote da pagare. Siamo disponibili a trasmettere il bene che abbiamo ricevuto a chi ancora soffre a causa dell'alcolismo, così facendo rafforziamo la nostra sobrietà. Una affermazione di francescana memoria ci informa: «... è dando che si riceve». Un sincero augurio di sollecita rinascita e, speriamo, di conoscerci presto. Gino Marchisio per Alcolisti Anonimi
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