ZERI flagelli dltalia di Renato Guttuso

la brutta vita - Mostre, fondazioni, editoria: che cosa detesta il grande storico dell'arte la brutta vita - Mostre, fondazioni, editoria: che cosa detesta il grande storico dell'arte ZERI flagelli dltalia MENTANA (Roma) DAL NOSTRO INVIATO La sinistra italiana, l'editoria di alto lignaggio «precipitata a livelli ignobili», il cinema di Tornatore e di Salvatores, l'università, molta critica d'arte, Arbore che canta le canzoni napoletane invece di inventare programmi come «Quelli della notte», i premi letterari, Mastroianni e Gassman, Susanna Tamaro e Guttuso, il proliferare di mostre e fondazioni, l'elenco non è breve. Cose da buttare, o da guardare almeno con tutto il distacco possibile. Alcune nocive, altre paradossalmente necessarie per la felicità sociale ma così difficili da sopportare, così pesanti, talvolta. Federico Zeri, nella casa di Mentana dove arrivano fiori e auguri per i suo settantaquattresimo compleanno, riesce a essere soavemente enigmatico come le sfingi alate che gli vegliano l'ingresso, fra enormi cam bianchi prostrati dal caldo del Ferragosto. Si va a caccia di fantasmi, per un viaggio fra indignazioni e antipatie, periplo di una stanza che si chiama Italia e che può far arrabbiare. Eppure lui, critico severo e spesso paradossale dei nostri vizi, pigrizie, accidie e follie, sembra diventato all'improvviso accondiscendente: «Per quello che riguarda la cultura, mi sono accorto che ben poco c'è da buttar via». Ma come. Se tra la provocazione e lo sfogo si è persino augurato, qualche volta, un'occupazione straniera e «militare» del nostro Paese. E ha scritto la sua autobiografia in francese prima di farla tradurre in italiano. Possibile che l'elenco delle cose da buttare, quelle che rovinano e deturpano la vita sia così esiguo da poter rientrare nello spazio di un «ben poco»? Ebbene, oggi lo è. Zeri indossa i panni del Grande Tollerante e prosegue, quasi con compunzione: «La società è composta di varie fasce culturali, alte, medie, basse. Quindi ciò che alla fascia alta può sembrare ignobile, e degno di essere buttato nella spazzatura, è utile soprattutto alle fasce media e bassa. Io ho fatto una ricerca, in questo campo, frequentando persone completamente diverse da me per attività, mentalità, educazione e interesse. E mi sono accorto che esiste una struttura culturale perfettamente omogenea e coerente per le diverse fasce culturali che compongono la società. Non si può pretendere che chi legge certe rivistine, ammira certi personaggi televisivi, va a vedere certi film, sia poi entusiasta di Paul Klee o di Rothko». Esiste qualcosa d'ignobile, dunque. 0 magari solo «relativamente» ignobile, continua a suggerire il grande critico. E pensa a «certi quadri kitsch oppure finto-moderni, perché c'è un'arte moderna e un'arte finto-moderna: quella moderna si esprime con un linguaggio originale, nuovo, quella finto-moderna è accademia con qualche innesto di moderno. Finto-moderno per me è Guttuso, vero pittore che a un certo momento ha trovato una formula di accademismo con innesti di moderno. L'equivalente plastico di Guttuso è Emilio Greco. Ora non è possibile che chi stravede per Guttuso possa sinceramente amare Pollock o certi Picasso degli Anni Trenta. Lo stesso accade in letteratura». Professore, quel «ben poco» da gettar via sta cominciando ad allargarsi. «Quando lei pensa all'immenso successo di un libro che io personalmente trovo deprimente, come quello di Susanna Tamaro... La piccola canonichessa...». In che senso? «Ho citato un titolo di Delly. Va' dove ti porta il cuore è un'abile versione in chiave contemporanea di certi romanzetti come quello: se si spreme, il succo è lo stesso. Eppure c'è gente che impazzisce per la Tamaro, ma è gente che ha certi comportamenti tipici, subisce senza reagire imposizioni autoritarie in campo religioso, ha le case arredate con mobili di serie spacciati per mobili d'avanguardia». Delly, ovvero romanzi rosa di grande successo scritti da una coppia di francesi, i De la Rosier, all'inizio del secolo: un paragone non troppo lusinghiero. Sta dicendo che Va' dove ti porta il cuore è un romanzo per piccola borghesia arricchita? «Ma nemmeno arricchita... Lei non può pretendere che vadano a riesumare Virginia Woolf o riscoprano il primo Gide, o leggano i diari di Stephen Spender. Proprio non si può». Ma lei tutto questo, che trova ignobile, deprimente, non lo butterebbe. Teniamo, dice. In nome di che cosa? «Non lo butterei perché serve. Una società è una convivenza di classi e di livelli culturali. Ma pensi dove vanno in villeggiatura... Pensi a certe collezioni... Pensi alla cultura popolare che sta scomparendo, invece, di fronte all'omogeneizzazione. Ai cibi nei supermercati». Malo mori quam maionesem industrialem edere... latineggia sarcastico. E tuttavia «chi legge Aristotele non può pretendere di abolire tutto ciò che non è al livello di Aristotele. Buttare via sarebbe mutilare la società, renderla infelice». La scelta allora è di tenere tutto, stoicamente; di sopportare? Non esageriamo. Dall'arte alla poli¬ tica, quel «ben poco» continua a dilagare. «Non sono un grande ammiratore della sinistra italiana: la trovo fasulla». Perché? «Perché in molta parte è stata legata al comunismo russo, imperialista e totalitario; e perché esprime velleitarismo da piccola borghesia». Lei si sente uomo di destra? «Nemmeno la destra mi convince molto. Non amo quella nostalgica, e ritengo che la vera destra non debba essere di affaristi. Ha dietro un pensiero, forse l'unico che l'ha capito è Fisichella». Dunque, sinistra da buttare? «Non saprei. Certo, quella di Bertinotti non mi piace: non è che io pretenda che i comunisti vadano vestiti di stracci, però mi dà fastidio quella sua cura estrema del particolare, che invece ammiro molto nell'avvocato Agnelli; è una cura che rientra perfettamente in quella definizione che di lui ha dato Roberto D'Agostino: caviale del tramonto. A me piacerebbe una sinistra alla Robespierre, o almeno una vera sinistra. Invece c'è il sinistrismo, sempre in agguato, tipo manifesto». Non le va? «Assolutamente da buttare». Eppure gran parte della cultura italiana ha respirato questo clima. E lei non fa mistero di ammirare Moretti, se vogliamo parlare di registi, che della nostra sinistra è l'alfiere. «Moretti è geniale. Ma salvare Salvatores? Così engagé, tanto engagé? 0 Tornatore che rimastica De Amicis? Lasciamo perdere il nostro cinema. Ha impiegato un sacco di tempo per capire la grandezza di Totò o Sordi, e considera geni attori mediocri come Mastroianni o Gass¬ man. Forse sono solo male sfruttati, chissà. Soprattutto Gassman, che viene sempre portato in scena in modo reboante e magniloquente. Anche un cane ben diretto può diventare invece un grande attore. Guardi, quel che vale per il cinema vale per gli scrittori, la regola è sempre la stessa: si considera grande solo chi ha il pennino d'oro». Lei ha «condannato», pur con la condizionale, la Tamaro. Quali altri vorrebbe cancellare? «Faccio prima a dire quelli che mi piacciono: Lalla Romano, Malerba, Pontiggia, Arbasino, Consolo, La Capria, Frutterò e Lucentini e pochi ancora. Ma sa che cosa vorrei davvero buttare, senza nessuna pietà? I premi letterari. Si dividono in tre categorie: promozione turistica, premi di clan critico, manovrati dagli editori. Tutti via, fermo biologico per almeno cinque anni. I vincitori degli ultimi tempi lasciano spesso stupefatti». Lei ne ha appena vinto uno, il Comisso di Treviso. «Sì. Per caso. Ma non conosco nessuno. E poi non scrivo romanzi, e ogni regola ha le sue eccezioni». La «tolleranza» di Zeri sa di artificio retorico. A poco a poco stiamo cancellando molto più di quanto non lasciassero intendere le premesse. Forse stiamo cancellando tutto. 0 quasi. Ma non è questo che preme particolarmente al grande critico. «C'è un processo veramente grave, in corso. La cultura della piccola borghesia soffoca quella alta: lo si vede da quanto accade alla televisione, che sta cancellando tutti gli spunti di alta cultura, salvo poche eccezioni trasmesse a notte fonda». Allora bisogna difendere l'alta cultura e non curarsi del resto? Non proprio. «Anche l'alta cultura in Italia è spesso impiantata male. Le faccio un esempio. Io non ammetto che l'opera Urica sia finanziata dallo Stato: paghino gli spettatori, e se non pagano pazienza, l'opera sparirà. Vedrà che alla fine spunterà qualcuno...». Possiamo correre il rischio di perderla? «No, e non lo correremo. C'è invece un'altra cosa da buttare, questa davvero, assolutamente. Io la chiamo proliferazione delle Fondazioni. Saranno migliaia, ma quante sono veramente utili? Le Fondazioni fregano tasse e non servono a niente. Molte volte sono solo una forma di gratificazione per i privati, col loro codazzo di segretari, macchine nere, fax. E non conosco nel mio campo un accordo tra le varie fondazioni per armonizzare 0 lavoro. Tutte quelle di Firenze che mi sono note comprano gli stessi libri». Un discorso analogo non dovrebbe valere per la proliferazione delle mostre? «C'è una legge, ma nessuno la applica. Dovrebbero essere non più di due a carattere nazionale, poi altre a carattere locale, ma con una finalità precisa: restauri ad esempio». Lei intende le mostre pagate dallo Stato: «Costosissime. E' inutile che si pianga sulla mancanza di fondi per i Beni Culturali quando si buttano miliardi per fare queste mostre. Ma c'è di peggio: molte hanno un solo scopo, quello di promuovere oggetti in commercio. E lo si sa persino in anticipo. Non servono assolutamente a niente, se non per fini di mercato o per valorizzare gli studi di qualche professorino universitario. L'Università, ecco un altro bel flagello». Da buttare? «Lo storia insegna che le grandi università restano tali finché c'è una struttura alternativa, c'è competizione. La nostra è solo una struttura che copre l'intero territorio nazionale, e genera le baronie, i giochi di potere. Questo si potrebbe combattere solo istituendo i docenti a contratto, riconfermati con il voto della facoltà e degli allievi. Ho letto libri di professori umversitari, nel mio campo, dove c'è davvero da vergognarsi». Da buttare? «Certi docenti di storia dell'arte sono ormai solo i promotori di determinati artisti. Il Caravaggio, il Guerrino. Promotori... E tutto questo si mescola col traffico dulie mostre e dei certificati commerciali». E si trasforma in libri. Primo, lei ha sottilmente gettato via, lasciandola a chi non può fare a meno di apprezzarla, la Tamaro. Parliamo di editoria? «Qui c'è qualcosa che detesto con tutte le mie forze: gli editori di alta qualità che precipitano a livelli assurdi». E dalle carte che ricoprono la scrivania esce l'affondo. Un testo dell'89, Storia delle immagini di Manlio Brusatin, editore Einaudi. La copertma è il primo teste d'accusa. «E' riprodotto a colori un quadro che non rappresenta quel che si vorrebbe dire nella didascalia. Non parlo dell'attribuzione errata, perché il dipinto non è italiano come si dice qui, ma olandese. Dico solo che vedere un tipico "Lot e le figlie" citato come "Scena di corteggiamento mascherata da Charitas romana", beh, fa un certo effetto. La Charitas romana è una scena composta da due persone, un vecchio e la figlia. Al massimo c'è una guardia che spia dalla grata, ma non un'altra donna entrata in carcere. E' tipico, inequivocabile. Come è inequivocabile il pittore olandese». Ma potrebbe essere un caso isolato. Un errore, in fondo. «E allora andiamo alla tavola 43, dove c'è una scultura di Sansone che fa crollare le colonne dei filistei interpretato come "caduta dei titani" e "scena di terremoto". Disprezzano la filologia. C'è in giro un movimento neobizantino per cui l'interpretazione razionale della storia, la classificazione razionale non conta più. Queste sono le cose veramente da buttare: mostre, fondazioni, università, cattiva editoria. Non quelle contro cui è troppo facile accanirsi, come il rock». Professore, lei davvero ascolta il rock? «Se è buono, sì. A me piace molto Madonna, e poi i Beatles, i Rolling Stones». Anche la musica italiana? «Oh, credo di no...». Un italiano. Dica il nome di un italiano. «Arbore? Sì, Arbore mi dà fastidio, a pensarci. Propone il revival di una grande tradizione in modo che trovo inaccettabile. Certo non parlo dell'acuto regista, del grande talent scout, ma solo del cantante». E nel rock anglosassone ci sarà pure qualcosa da gettare, non crede? Non vorrà assolverlo nella sua globalità. «Mi disturba Michael Jackson. E' musicalmente ad un livello alto, però è... schifoso. Fisicamente, intendo. Sa, io guardo le facce. Anche se mi danno del lomb rosi ano». Un retaggio positivista. «Ma sì. Proprio contro i neobizantini, quelli die disprezzano la ricerca filologica. Il positivismo avrà molti torti, ma non so se per esempio Lombroso sia proprio da buttare. Lo troverei anzi un errore. Io continuo a guardarle, le facce. E se mi danno del razzista, pazienza». Mario Baudino «Non si può proprio chiedere a chi ammira certi personaggi tv di essere entusiasta di Paul Klee o Rothko» «Non pretendo che i comunisti vestano di stracci: ma Bertinotti cura davvero troppo iparticolari» «L'alta cultura è sempre più soffocata, ipremi letterari sono tutti da buttare, senza pietà; e la Tamaro è come la piccola canonichessa di Delly» «Salvatores? Film impegnato, non sia salvato» Federico Zeri. Festa di compleanno per il grande storico dell'arte, che ha appena compiuto 74 anni Renzo Arbore, «condannato» come cantante, e, verso sinistra, la Tamaro e i Rolling Stones. A destra, Fausto Bertinotti; sotto, Madonna, molto apprezzata da Zeri, e Renato Guttuso

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