Bosnia, s'incrociano fiumi di profughi

Migliaia di esuli della Krajina mandati nel Kosovo per schiacciare la popolazione albanese Migliaia di esuli della Krajina mandati nel Kosovo per schiacciare la popolazione albanese Bosnia, s'incrociano fiumi di profughi Serbi e croati, 150 mila ZAGABRIA NOSTRO SERVIZIO Non ha fine la tragedia dei profughi nell'ex Jugoslavia. Mentre dai territori croati della Krajina riconquistati dall'esercito di Zagabria sono uscite le ultime colonne di profughi serbi, dalle regioni della Bosnia controllate dai miliziani di Karadzic, e dalla Federazione serbo-montenegrina di Milosevic vengono scacciaati migliaia di croati. Fiumi umani di gente disperata si incrociano sulla via dell'esodo. I croati della regione di Banja Luka, roccaforte serba in Bosnia occidentale, sono stati scacciati con la forza dalle loro abitazioni dove si sono insediati i profughi serbi della Krajina. «Si tratta dell'ultimo atto della politica serba di pulizia etnica che dura già da tre anni» ha confermato il portavoce dell'Alto commissariato per i profughi, Chris Janowski. Secondo i dati dell'Orni nella zona di Banja Luka rimangono circa 12 mila croati, mentre prima della guerra ve n'erano 80 mila. «Oggi 600 persone sono state costrette ad abbandonare le loro case e a raggiungere la Croazia attraverso il fiume Sava a bordo d'imbarcazioni precarie. Domani ne aspettiamo altre 500, mentre nei prossimi giorni rischiano di aumentare» ha detto Janowski. Pur non essendoci mai stati combattimenti nella regione, i serbi di Banja Luka hanno «ripulito» città e dintorni di tutta la popolazione non serba. Negli ultimi giorni, in seguito all'esodo dei profughi serbi della Krajina, le violenze contro i croati si sono moltiplicate. A detta di Janowski, per rappresaglia bande di serbi hanno massacrato musulmani e croati, occupando con la forza le loro case. Le autorità di Banja Luka hanno dato disposizioni precise per la deportazione di circa 10 mila croati, che vengono caricati su autobus e portati al confine. Da lì, in barca, attraversano il fiume Sava, ma prima devono pagare dai 600 ai 1700 marchi per poter uscire. Nel frattempo, gli ultimi serbi della Krajina cercano invano di entrare dalla Bosnia nella Federazione serbo-montenegrina. Tre giorni fa Belgrado ha infatti deciso di chiudere i valichi di frontiera a tutti gli uomini abili alle armi, mentre quelli che sono già passati in territorio jugoslavo vengono rintracciati e rimandati indietro a combattere. La decisione ha scatenato la rivolta dei profughi perché le mogli e le madri hanno rifiutato di continuare la strada senza i loro mariti e figli. Le autorità serbe hanno dapprima smentito di aver chiuso il confine, ma gli osservatori internazionali hanno confermato che i tre principali valichi tra la Bosnia e la Serbia sono stati bloccati con grossi camion per impedire l'entrata dei profughi. Ieri Belgrado ha ammesso che gli uomini sopra i 20 anni non possono entrare in Serbia, dove nel frattempo si è scatenata la caccia ai profughi maschi che sono scappati dalla Krajina. Cinquecento di loro sono già stati rimandati sui fronti bosniaci. Secondo fonti jugoslave sarebbero 128 mila i profughi della Krajina che sono già entrati nella Federazione serbomontenegrina, mentre altrettanti aspetterebbero in Bosnia. Questo numero, che le fonti serbe fanno lievitare ogni giorno, viene ridimensionato dall'Alto commissariato. Dal momento del loro arrivo in Serbia sono riesplose le rappresaglie contro i croati della Vojvodina, la regione jugoslava che confina con la Croazia, dove vive una forte minoranza croata. Centinaia di famiglie sono letteralmente state buttate fuori dalle case con la minaccia delle armi. Nelle incursioni contro le abitazioni croate i profughi serbi della Krajina sono affiancati dai miliziani del partito radicale del leader estremista serbo Seselj. In Croazia sono già arrivate 500 persone scacciate dalla Vojvodina. «Siamo stati costretti a lasciare tutto in cinque minuti. Alcuni di noi che lavoravano nei campi non hanno nemmeno potuto rientrare a casa per prendere l'essenziale. Per di più le autorità jugoslave ci hanno costretti a firmare delle carte in cui rinunciamo a tutti i nostri beni rimasti in Jugoslavia», raccontano disperati. Intanto l'associazione degli ungheresi della Vojvodina, altra minoranza numerosa che vive nella regione, ha mandato una lettera di protesta contro l'annunciata mobilitazione in massa degli ungheresi nell'esercito jugoslavo. Belgrado starebbe infatti per chiamare alle armi 26 mila giovani della Vojvodina. «Non vogliamo essere carne da cannone per Milosevic» dicono gli ungheresi, che a loro volta temono di essere scacciati dalla loro abitazioni dai serbi. Una protesta ancor più ferma viene dall'Albania in seguito al¬ la decisione del regime di Milosevic di ripopolare con i profughi serbi della Krajina il Kosovo, regione abitata al 90 per cento da albanesi. «La nuova colonizzazione serba del Kosovo potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Con l'arrivo di decine di migliaia di serbi aumenta il pericolo di estensione del conflitto, il che significa una diretta minaccia militare per l'Albania», ha dichiarato il ministro della Difesa albanese Safet Zuljali. Nel grande esodo si sono ritrovati anche gli uomini del leader secessionista musulmano Abdic, che insieme con le formazioni paramilitari serbe della Krajina attaccava la sacca di Bihac. Dopo la sconfitta molti si sono arresi, ma 20 mila sono ritornati come profughi in Croazia. Un accordo tra le autorità croate e quelle bosniache prevede che possano raggiungere l'esercito bosniaco o le unità militari croate in Bosnia, altrimenti devono consegnare le armi, dopo di che verranno trattati come civili. Ieri mattina, a nome dell'Unione Europea, gli ambasciatori di Spagna, Italia e Francia hanno fatto un passo ufficiale presso le autorità croate di fronte alla tensione crescente e all'ammassamento di forze militari in Slavonia orientale, ulti¬ mo territorio croato occupato dalle formazioni paramilitari serbe. Lo stesso verrà fatto a Belgrado. «La Croazia non intende lanciare un'azione militare in Slavonia orientale. Siamo pronti a negoziare con i serbi», ha dichiarato il viceministro degli Esteri Ivo Sanader. Ma intanto i serbi della Bosnia continuano a bombardare la zona di Dubrovnik. «Nei loro attacchi sono affiancati dalle unità dell'esercito jugoslavo del vicino Montenegro», ha detto Sanader, annunciando che la Croazia si rivolgerà al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Ingrid Radurina SARAJEVO, MANTERRÒ' LA PROMESSA U Non possiamo aspettare l'inverno in queSta situazione. Ho detto che libereremo Sarajevo tra il 25 maggio e il 25 novembre e ancora non siamo atrivati alla scadenza. Non daremmo via Gorazde neanche se dovessimo combattere altri 15 anni}} Alja Izetbegovic movimento di tank serbi fili flussi di AW rifugiati rn aree serbe aree musulmane %VZ> aree croate . ancora in mano Al serbi attacco a un villaggio serbo e qui accanto altre immagini di profughi |FOTO REUTER]