Ince è diventato il «faro
Ince è diventato il «faro INTER Ince è diventato il «faro » Sembrava pazzo come Gascoigne ma sul campo s'è rivelato geniale ICA facile per un inglese arrivare in Italia dopo Paul Gascoigne. Sarà anche per questo che quando Paul Ince è approdato a Milano, destinazione Inter, e ha cominciato a pretendere, capriccioso e bizzoso come un bimbo viziato, sfoderando una lista lunga così di optional in cambio della firma sul contratto - dal pediatra per il figlioletto Tomas alla villa nel verde «perché l'appartamento nel centro sta stretto a mia moglie» - c'è chi nello staff nerazzurro si è messo le mani nei capelli. Mamma mia, ecco il ritratto in nero di Gazza. Solo Massimo Moratti, che per gli inglesi e il loro football va matto da sempre (Baggio e Cantona a parte, al primo ha ovviamente rinunciato, al secondo no, meno che mai ora che la sua Inter balbetta vistosamente in attacco), solo Moratti, dicevamo, ha avuto pazienza, fiducia e ottimismo. «Firmerà, giocherà nell'Inter, troverà da noi quel che cerca». In effetti, è andata così: Madame Claire, la rossa e decisa moglie di Ince (che del marito parole testuali di Paul - ama più di tutto lo stipendio ...), dopo i capricci e le mille pretese ha dato l'ok. E con lei, ovviamente, il consorte. «Se mia moglia avesse cominciato a lamentarsi dell'Italia, come avrei potuto giocar bene?» allarga le braccia sospirando in inglese. L'italiano per lui è an cora tabù: inizia a capirlo, ma parlarlo è un'altra cosa. Spiccica solo dieci parole, dai saluti alle richieste più impellenti, cibo, bagno, dormire. Ogni tanto qualche parolaccia, quelle che s'imparano prima sui campi da gioco, fra i compagni. D'altronde il linguaggio del pallone è come quello dell'amore, universale. Passa i) tempo e ci si accorge che Ince non è Gazza. Mattac chione, certo, simpatico e affabile. Ma anche professionista serio, gran lavoratore, poco la vativo (si è fermato finora solo per un mal di stomaco, strasci co di una vecchia ulcera prò vocata dai troppi hamburger ingurgitati prima di essere folgorato dagli spaghetti). Soprattutto deciso a conquistare presto un posto di rilievo nell'Inter («per meritare non bisogna essere solo campioni o guadagnare tanto, ma battersi per la propria squadra con il cuore e la testa») e nel calcio italiano, che lo ha accolto con curiosità e attenzione, anche perché garantisce per lui Moratti che ha sborsato 16 e passa miliardi di lire. «In Inghilterra mi chiamavano "Guv", cioè colui che governa il gioco. Spero che la cosa possa ripetersi anche qui. Significherebbe che si fidano dei miei piedi e del mio cervello». Non entusiasma Italo Allodi («bravo e grintoso, ma non è né sarà mai Suarez»), Accende invece Trapattoni: «Era dai tempi del miglior Matthaeus che l'Inter non aveva un leader, un giocatore di ordine e di intelligenza così». Finora Ince, a parte le ultime due amichevoli (contro Arsenal e Psv Eindhoven dove, ammette, si è sentito un po' stanco) è stato di parola. Governa, dispone, orchestra il gioco, più con la bacchetta che con la clava. O meglio ci prova, visto che quest'Inter finora è ancora un'ipotesi di squadra. Lui se n'è accorto e non è un caso che abbia voluto dire già la sua. Riguardo il modulo: «Siamo in fase sperimentale, normale. Cambiamo schema di continuo. Io preferisco il 4-42, quello del Manchester United. Si sa sempre a chi dare il pallone. Con il 5-3-2 invece è diverso, le fasce restano spesso sguarnite e la squadra slegata. Per carità, si può giocare bene anche così, io sono fiducioso. Solo che ci vuole più tempo. Ne abbiamo?». Sul mal d'attacco: «Si continua a fare il nome del mio amico Cantona. Io non mi preoccupo né mi pronuncio ...». Ma c'è chi giura che da qualche tempo stia lavorando dietro le quinte per «agevolare» Moratti e convincere il francese, compagno di mille battaglie nel Manchester, ad accettare il corteggiamento interista. Ecco, questo è Ince, «governatore» in campo e fuori. Non è solo uno dei tanti giovani fortunati che grazie al calcio ha trasformato la sua vita, altrimenti vissuta ai margini, col sussidio di disoccupazione, come milioni d'inglesi. E' un giocatore che ama da sempre lavorare, pensare e fare in grande. Se avesse potuto scegliere di essere qualcuno nella storia, confessa, non sarebbe stato né un re né una rock star né un artista: «No, avrei voluto essere Pelè...». Con buona pace di Gascoigne e dei tanti «miti» del football inglese. Brunella Ciullinl
Luoghi citati: Inghilterra, Italia, Manchester, Milano
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