Vangi, teatro di colossi

A Firenze una monumentale antologia dello scultore A Firenze una monumentale antologia dello scultore Vangi, teatro di colossi Dall'avanguardia, al revival EFIRENZE A mostra antologica di Giuliano Vangi al Forte del Belvedere fino al 9 ottobre documenta in maniera clamorosa le altezze e le cadute di una personalità di scultore comunque eccezionale, che ha sempre affrontato di petto e d'impeto le sue avventure stilistiche e non ha mai sfumato il suo amore barbarico e illusionistico per la commistione anche cromatica delle materie minerali e metalliche. Ma altrettanto clamoroso è stato anche lo spiegamento dei mezzi di comunicazione, dall'editoria d'arte alla propaganda radiofonica, con attenzione al suo intatto e forse accresciuto potenziale di diffusione capillare messo in ombra dal mezzo televisivo: risultandone una forma e un fenomeno di costume culturale contemporaneo comunque significativi. L'editoria. Ben quattro volumi, tutti di alto livello fotografico, hanno accompagnato la manifestazione: il catalogo Fabbri con i testi di Calvesi e Hunter in due edizioni, la seconda comprendente le grandi foto a colori degli allestimenti esterni e interni al Forte; il volume di edizione Bolis sul complesso scultura-ambiente La scala del cielo con testi di Tassi e Fiz; il volume di Allemandi con testo di Gabriella Belli sulle cinque sculture di Vangi esposte alla Biennale di Venezia; un volume fotografico edito dagli Alinari. La chiave economica risiede nella singolarità dei primi due volumi, che comprendono la traduzione in giapponese dei testi; il cenno nel testo di Calvesi sull'ammirazione in Giappone per l'arte di Vangi e il ringraziamento alla famiglia Okano posto in testa al catalogo spiegano il tutto. Le ultimissime opere concluse in imminenza della mostra, Donna con albero, La scala del cielo, Stratificazione, dominanti sugli spalti con la loro ridondanza retorica neosimbolista, con l'eccezione dell' Uomo nel canneto che recupera nella dimensione della narrazione ambientale l'oggettività esistenziale delle origini, riprendendo l'amata tecnica fabbrile del bronzo legato con nichel e oro, sono già destinate al trasferimento giapponese. Portiamo l'occhio, lo spirito e la mente da quegli spalti e da quei colossali ripensamenti, che avevano un senso di attualità espressiva e significante quando negli Anni 1910 e 1920 Mestrovic squadrava Rodin, alla prima sala interna che ospita i legni policromi dell'Uomo in piedi, Uomo seduto, Nudo femminile, che Ragghianti volle alla prima personale italiana dello scultore alla Strozzina di Firenze nel 1967. Non nego che una residua compatta oltranza tridimensionale e il rifiuto comunque di ogni delicatezza di superficie colleghino le prime e le ultime forme e che l'Uomo disteso del 1993 sia il gemello cubistizzato e granitico del Nudo femminile del 1965; ma non mi piace constatare che quella stupenda rottura negli Anni 60 con ogni tradizione classica italiana paragonabile solo, con una forma e un linguaggio agli antipodi, con quella di Medardo Rosso -, ancora salva qui in mostra nell'Uomo vestito di viola del 1989, sia finita in un ennesimo revivalismo. In modi non comparabili nemmeno fuori d'Italia, Vangi seppe congiuntamente rinnovare la compatta verità sociale negli Anni 20 dei legni colorati del grande boemo Gutfreund e gli amori per le materie «industriali» dei coevi espressionistimeccanici tedeschi e anglosassoni, ma essendo ben conscio dell'angoscia esistenziale di Bacon e, qui da noi, di Francese: penso all' Uomo nudo su piano verde del 1968. Il suo verismo-espressionismo in presa diretta nella cronaca, persino nel costume contemporaneo, hanno costituito certamente un caso unico e altamente drammatico nella seconda metà del secolo. Questa tensione non è per nulla diminuta quando al legno colorato e al bronzo sono succedute le straordinarie, lussureggianti combinazioni materiche, la vetroresina e l'alluminio policromi, le leghe di nichel, argento e oro, le combinazioni policrome di marmi, graniti, onice, avorio, oro, pietre esotiche. Aleggiavano a questo punto, negli Anni 1980, memorie «colte», da Klinger a Wildt, dall'Egitto agli illusionismi manieristi e barocchi da «Wunderkammer»: ma questi fasti quasi barbarici non sminuiscono, anzi esaltano la sostanza umana. Persone di oggi, attori di un teatro fastoso, non idoli. Per questo posso pregiare, ma non amare i blocchi di pietre vulcaniche del 1990, ripresa di un discorso già concluso in Barlach, e mi lascia freddo la discesa nell'ipogeo della Scala del cielo. Marco Rosei Ma non convincono le ultime opere troppo «mercantili» ultore ossi val

Luoghi citati: Egitto, Firenze, Giappone, Italia, Venezia