La cucina, nuova vocazione ligure

La cucina, nuova vocazione ligure La cucina, nuova vocazione ligure Dal branzino ai carciofi, un arcobaleno di golosità Bi AMBINO milanese degli Anni Cinquanta, ragazzino negli Anni Sessanta, di famiglia tra il piccolo ed il medio borghese, seguivo le decine di migliaia di altri lombardi nelle loro vacanze natalizie o nei primi fine-settimana fuori città. La nostra meta era la Liguria del sole e del verde: prima Nervi, poi Rapallo, Santa Margherita, la riviera di Levante poi quella di Ponente. Allora, la famiglia Raspelli, prototipo delle schiere del nascente turismo di massa, approdava nelle semplici pensioncine a gustare il pesce. Già, il pesce, ma quale pesce? Che cosa si mangiava nelle mille Pensione Maria che si aprivano ad una clientela tutta nuova e vorace? La Liguria era sinonimo, allora, di pesce surgelato: le sogliole venivano dal freezer, i branzini non arrivavano per nulla. In trattoria, la musica era la stessa. La Liguria, la Liguria della gola, del buon mangiare e del buon bere, la Liguria capitale di leccornie, mi è scoppiata all'improvviso, in questi ultimi anni. L'arcobaleno è il simbolo di una regione che è un inno alla golosità. Certo, oggi c'è il pubblico, cosa non prevedibile solo 15-20 anni fa: un pubblico locale ed un pubblico di turismo che sa quel che vuole mangiare, sa quello che mangia, sa quanto è giusto spendere. C'è una domanda e c'è un'offerta in questa regione che, ad ogni chilometro, ad ogni stagione, riserva sempre nuove grandi sorprese. Certo, il dio della gola ha baciato la Liguria in fronte, pardon, ai fornelli: olio ed olive, carciofi e limoni, patate e fagioli, pesci e crostacei... ma alla ricchezza gastronomica di un territorio si sposa anche la cultura e l'impegno dei suoi ristoratori, dei suoi cuochi... Ecco allora che piccoli alberghi come, che so, il Columbia di Alassio od il Caprice di Diano, offrono materia prima locale di grande qualità; ecco il Lilliput di Voze di Noli che apre il suo ricco menu non disdegnando famigliole e gruppetti, attirandoli con i suoi buoni piatti e con prezzi particolarmente equilibrati; ecco gente come i Fiorillo della Lanterna Blu da Tonino di Imperia che, tra le tante cose, fanno «in casa» la bottarga di spada... («in casa» è letterale: a giugno, ai balconi di più piani penzolano le baffe ad asciugare al sole, quasi fossero lenzuola). Aprire un menu di ristoranti liguri è la felicità, anche per il critico: la ristorazione scopre, esalta, valorizza ed impiega prodotti locali. Accanto ad un numero sempre crescente di piatti e di ingredienti, la specificazione della provenienza è indice di qualità, prova di ricerca appassionata. Chef e patron sono gli artefici della sopravvivenza, per il nostro piacere, di un artigianato gastronomico che altrimenti andrebbe perduto. Mangiare in Liguria costa, certo, costa tanto, ma perché qui mangiare non vuol dire sfamarsi; mangiare qui vuol dire vedersi cucinare al meglio il meglio della materia prima. Se non sapete distinguere tra pesce fresco e pesce surgelato, se non conoscete la differenza, nel fresco, tra un branzino d'allevamento ed uno pescato... beh, allora, forse, la Liguria per voi è sprecata. Quello che non trova nella sua regione, il ristoratore ligure lo cerca poco fuori: le carni, certi formaggi, certi vini, vengono dal Basso Piemonte, con uno scambio, con una contiguità che fa di queste due regioni (assieme alla più lontana Lombardia) il triangolo del piacere italiano (almeno alla tavola di un ristorante). Balzi Rossi è il nome di un celebre strapiombo colorato, proprio al confine tra Francia ed Italia. Per il ghiottone è però un celebre locale sul mare, a Ponte San Ludovico di Ventimiglia, biglietto di visita meraviglioso, con due stelle della Guida Michelin, della cucina di casa nostra. Le olive taggiasche fanno da stuzzichino, poi ecco i fagioli di Pigna, quelli bianchi di Conio, le patate di Ormea, i gamberi di Sanremo, il «pesce del nostro golfo»... Costa, certo, mangiare ai Balzi Rossi: la metà od un terzo di un ristorante di pari livello di Francia o Stati Uniti. Duecento metri più in là, appena oltrepassata la galleria verso l'Italia, a Grimaldi Inferiore di Ventimiglia, Baia Beniamin lavora a pieno ritmo. Si lascia l'Aurelia (e la ferrovia) cinquanta metri di dislivello più sopra, si scende una ripida strada tra agavi e banani, si fanno gli ultimi passi a piedi e siete nel paradiso terrestre. Un pugno di camere di grande bellezza, un'ampia terrazza aperta sulla spiaggetta, un interno rifatto da poco con piante grasse che sembrano sculture e che ricreano un angolo di Tropici. Dopo la scomparsa, alcuni giorni fa, del socio Oscar Falsiroli che si occupava della sala, oggi è rimasto Carlo BruneUi, che dirige la cucina, a dover mandare via la gente, ogni sera: sono molti, francesi ed italiani, che non hanno pensato di prenotare la loro saporosa cucina di mare. Anche questo testimonia che la crisi (economica, generale, dell'Italia intera non della sola ristorazione! sta passando e che la gente ha acquistato maggiori serenità e fiducia. Patate, non solo semplici, banali, normali patate. Oh Dio, tanto normali no, perché le patate di Buggio, frazioncina da nulla di Pigna, sono piccole come un biglione e non ci sono macchine o tecnologie: vanno cotte e poi sbucciate, una ad una, con tanta pazienza. Ma ai primi di agosto ci sono già quelle nuove ed andranno avanti, migliorando in qualità, fino a marzo. Ed allora, se volete assaggiare la patata più buona della mia vita di crapulone, andate a Vallecrosia e cercate il vicolo che cela quello splendore sconociuto (la Michelin non lo cita nemmeno) che è il Giappun 1918. A Roberto Lamberti le procura la zia della moglie, trenta chili per volta... Il segreto? Assorbono solo l'olio che serve e.quando arrivano a tavola, nei ravioli ad esenpio, sono indimenticabili. Lo chef e la sua spalla, Adelio Viale, non si lasciano travolgere dal successo: si fermano a non più di 25 coperti per volta ed hanno assottigliato il menu; niente più spaghetti alle vongole, filetti, pesci bianchi che in questa stagio¬ ne non si trovano ma via libera agli scampi (pochi) ed ai gamberi, succulenti turgidi e frequenti, che arrivano da San Remo. Già, San Remo. Gamberi, gamberi, ancora gamberi: quelli che si pescano in questo mare e che hanno pochi eguali con gli altri di tutta l'Italia. Sono straordinari alla Pignese, ma ci sono anche in quel gioiello, piccolo, appartato, che è Paolo e Barbara, nel cui menu spuntano tipicità leccorniose come i fagioli di Pigna, gli agnelli della Val Bisalta (che gli fa avere il grande macellaio Martini di Boves) o il «bruzzo», la ricotta di pecora che arriva da quel personaggio della enogastronomia regionale che è Angela Maria (ma sì, chiamatela solo con il nome) che manda avanti la sua Bottega ai Molini di Triora. Siete nel «paese delle streghe», lei se ne dice discendente e per imitarle si veste sempre di nero. Sulla strada del Piemonte, dopo esservi fermati nelle deliziose poche camerette della serena Villa Pinus di Ormea ed aver mangiato le modernità ghiotte di Marco Costalla, da Garessio deviate per Mondovì. Nei pressi di Roburent fate attenzione: non succede tutti i giorni di vedere una famiglia di cinghiali, piccoli compresi, scortare la vosta auto lungo il ciglio della strada, come è successo a me. Edoardo Raspelli (4 - continua) Da Alassio a Ponte San Lodovico un viaggio alla scoperta del nuovo regno dei buongustai «Mangiare qui non vuol certo dire sfamarsi ma vedersi cucinare al meglio il meglio della materia prima» Nella foto, i giardini di Hanbury, nei pressi di Ventimiglia e uno scorcio di Santa Margherita Ligure