Bruni: «Per amore di Napoli»

Bruni: «Per amore di Napoli» Bruni: «Per amore di Napoli» Grande festa, mezzo secolo di carriera NAPOLI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Canterà il giorno di Ferragosto in piazza San Domenico Maggiore, nelle viscere della città più vera, quella dei vicoli del centro antico. «Forse reciterò anche una mia poesia: "Per Amore di Napoli"», dice mentre siede su un divano nel salotto della sua bella villa sprofondata nel verde e nella quiete di una sera di mezza estate. Per l'anagrafe Sergio Bruni ha settantaquattro anni, ma «diciamo pure che sono nato il 14 maggio del '44, quando debuttai in teatro». Il sinJacr Antonio Bassolino ha voluto a icbrare mezzo secolo di carriera t'i uno dei massimi interpreti della classica canzone napoletana ricevendolo sabato scorso a Palazzo San Giacomo, sede del Comune, per consegnargli ima medaglia d'oro. Ma la vera festa ci sarà martedì, con il concerto. Bruni, ricorda il suo debutto cinquant'anni fa? «A quell'epoca non mi sfiorava l'idea di diventare un artista di pro¬ fessione. Gli amici, però, insistevano perché prendessi qualche lezione. Accettai, ma un celebre maestro dell'epoca, Vittorio Parisi, disse dopo avermi ascoltato: "Voi non avete bisogno di alcuna scuola". E veniamo al mio debutto. La città era devastata dalle bombe e dalla miseria della guerra. Parisi, pregato dai miei compagni, mi presentò al direttore dell'allora teatro "Reale", convincendolo a farmi debuttare: gratis, naturalmente. Fu un trionfo». Così ebbe inizio il successo? «Niente affatto. Il giorno dopo mi presentai di nuovo in teatro, ma il direttore mi cacciò dicendo che aveva permesso il mio debutto solo per fare un piacere al maestro Parisi. Poco dopo mi recai da un altro famoso maestro di canto, Lama, che appena mi vide chiese: "Guaglio', che fai qua?". Gli spiegai che il direttore del "Reale" non aveva voluto che tornassi sul palcoscenico e lui commentò: "Sai che ti dico? Tu sarai il più grande artista di Napoli. Quel signore non ti ha voluto in teatro perché ha la moglie cantante, e tu con lo spettacolo di ieri l'hai distrutta". Da quel giorno cominciò un tirocinio durissimo. Bazzicavo nella Galleria Umberto I, frequentata da impresari e artisti: mi offrivo di cantare gratis, ma nessuno voleva saperne». Perché? «Forse i colleghi erano gelosi delle mie capacità. Ma poi arrivò la svolta: fui scritturato per quattro anni alla radio dopo aver vinto un concorso per voci nuove. Ero arrivato primo su 2 mila e 500 partecipanti. Da allora fui io a scegliere dove, come e quando esibirmi. Nel '48 mi feci scritturare dalla famosa casa editrice "La Canzonetta" per il lancio dei suoi nuovi brani: questa nuova forma di spettacolo si chiamava Piedigrotta. Non le dico le peripezie che dovetti affrontare quando cominciai questa attività. Una sera debuttammo nell'allora famosa "Arena Italia". Quando venne il mio turno, con il teatro all'aperto gremito di 5 mila persone, trovai tutto spento. Era venuta a mancare l'energia elettrica: non saprò mai se qualcuno aveva provocate quell'incidente o si era trattato di un guasto casuale. Ad un certo punto mi sentii preso come tra le braccia del mio angelo custode e portato sulla passerella. Lì mi voltai verso il golfo mistico e dissi al direttore d'orchestra di partire. Cantai una nuova canzone: "Vocca 'e rose", versi di Raffaele Mallozzi e musica di Furio Rendine. Fu un altro trionfo. Le donne del popolo, dalle prime file, urlarono: "Quanto si' bello", e mi fecero ripetere "Vocca 'e rose" per ben cinque volte. Nei giorni successivi la notizia si sparse anche all'estero. Si disse che in Italia c'era un artista della radio che aveva cantato senza microfono in un teatro all'aperto, davanti a 5 mila spettatori». Sono trascorsi cinquant'anni prima che il Comune di Napoli riconoscesse ufficialmente i suoi meriti. Non le sembra di essere stato dimenticato troppo a lungo dalle istituzioni? «Per me esistono napoletani e coloro che definisco "napolesi". I primi hanno un cuore grande così, gli altri... Le racconto un episodio. Al mio settantesimo compleanno fui invitato a Roma dalla Rai per uno spettacolo. Il sindaco dell'epoca, Polese, si limitò a farmi avere la copia di un telegramma che aveva inviato al direttore della seconda rete». Fulvio Mitone i» ra pettaa quel o dulleria mprentare aper delle vò la uattro to un arrirtecigliere i. Nel famoetta" brani: acolo le di«Non ci generaziotesto a unager e pNon ssto, chhan falogico?«No, nsti a Dni hansime. gremito tutto spere l'enermai se qquell'incun guaspunto mbraccia dportato stai versodirettoreCantai uca 'e roslozzi e mFu un alpopolo, d"Quanto petere "Vque voltenotizia sSi disse csta della Sergio Bruni, qui accanto e sopra, quand'era più giovane

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