Rivivono gli anni 60

ÌRwivono Little Tony si ispira al rock dei '50. E protesta «I cantautori di adesso: non ci considerano» ÌRwivono ESTATE, tempo di revival. Molti fra i cantanti degli Anni Sessanta continuano a fare tournée. Little Tony per esempio, che intervistiamo qui accanto, ma anche Mal (in concerto con Wilma Goich e Alan Sorrenti), Michele, Jimmy Fontana, Tony Dallara. Mentre Riccardo Del Turco («Luglio, col bene che ti voglio») fa il produttore. Ma non soltanto gli Anni Sessanta sono sulla breccia: il revival non ha paura di niente. Fra poco si comincerà ad avere nostalgia degli Ottanta, c'è da scommetterci. Intanto, ci sono personaggi intramontabili che il pubblico continua a ricordare. Come Sergio Bruni, che a Napoli festeggia con un grande concerto di Ferragosto i suoi 50 anni di carriera. VARAZZE DAL NOSTRO INVIATO «L'altro giorno sono andato in una farmacia. La dottoressa mi guardava fisso, e mentre me ne stavo andando mi ha detto: "Sa, lei somiglia molto a Little Tony da giovane"». Se la ride soddisfatto, raccontando l'episodio, Little Tony (Tonino per gli amici), nato il 9 febbraio 1941. Ha 54 anni snelli ed efficienti e la faccia è quella di sempre; anche il fisico dev'essere quello di sempre, che gli consente un agosto da pazzi. Ieri a Bologna, oggi qui a Varazze, domani a Spoleto e via dicendo, ogni sera è un palco diverso delle vacanze degli altri, a cantare «Bada bambina», «Riderà», «La spada nel cuore» ma anche «Surrender», «Believe Me» e i fantastici rock'n'roll di Elvis, il suo mito di sempre. A Re Elvis lui s'ispira sfrontatamente, negli scatti ferini, negli abiti di scena di lamé bianco, nel ciuffo rischiarato appena perché, come si sa, il nero poi indurisce (vedi Paternostro). Quest'estate Little Tony è trendy. Cioè è uno che tira, che piace, che se lo mangiano con gli occhi: inspiegabile mania, che egli accetta volentierissimo, lasciandosi mettere le mani addosso da signore abbronzate e ragazze in minigonna, finché i gorilla del locale corrono a salvarlo. Forse però, il merito della risalita sta in tutto quel vecchio e sano rock'n'roll d'annata che lo riporta a razzo dentro i più felici Armi Cinquanta, dentro quelle «Blue Suède Shoes» che egli non manca mai di rinfrescare in scena; e comunque l'accompagna sempre l'ombra di Elvis. Del vecchio Re si stanno dovunque ripercorrendo i fasti; tra un paio di giorni, il 16 agosto, saranno 18 anni che non c'è più, e magari se fosse campato ora sarebbe qui sessantenne e salutista anche lui come Little Tony, che mescola il vino bianco con l'acqua. E, con cento concerti dall'inizio dell'anno, si permette di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. «Io devo molto alla tv, se sono tornato a quest'amore della gente per me. Sette puntate di "Domenica In", con 7 milioni di audience, han fatto la differenza. Ormai, chi non fa tv è meglio che smetta di cantare. Pensi che un giorno ho portato negli studi la mia Cadillac Biarritz del '59, alla Elvis, e siccome le porte non si aprivano, durante la trasmissione ci sono saliti sopra in tanti, arrampicandosi. Ebbene, ho trovato gente persino a Londra che mi diceva: "Ma come ti hanno ridotto la macchina, quel giorno?". Tutti, capito, avevano notato quel particolare». Sarà mica andato a cantare, a Londra? «Certo. C'è un gruppo di commercianti di Borgotaro, nel Parmense, che ha fatto fortuna tra le nebbie inglesi. Una volta l'anno affittano i saloni dell'Hilton Park e fanno venire cantanti italiani: che godere, gl'inglesi servono, gl'italiani cantano, e non l'opposto come succede di solito». Com'è che si è comprato una Cadillac azzurra? «Non potevo lasciarla in quel salone, a Los Angeles. Però l'ho fatta restaurare a Torino. E quando Attilio Corsini mi ha invitato alla "Voglia Matta" dove ha ricreato il clima dei Sessanta, ho riflettuto che non cantavo nella mia Roma da 25 anni, e mi son detto: "Debbo andare con quella macchina". E sono arrivato fin sotto il palco in Cadillac. Come Elvis. Intorno a me, deve credermi, c'era il delirio». Con quest'aria di risorgimento intorno a lei, che cosa farà? «Eh, se non c'è la canzone... E' come per un'attrice, esser brava e non trovare la parte giusta: mi serve un disco. Avevo scoperto in anticipo i brani degli Audio 2, ma se li è presi Mina; vorrei andare a Sanremo. Gli altri, da Di Capri a Nazzaro, ci son tornati tutti: io non ci torno dal '73. Pensi che Bennato ha detto di aver scritto "W la mamma" con un occhio a "Datemi un martello" e un altro al "Ragazzo col ciuffo". Quindi, sono attualissimo, no? Adesso mi ci vorrebbe un rock Anni Cinquanta, ma con un testo ganzo, alla Bennato. Solo che questi cantautori...». Questi cantautori? «Non ci considerano, a noi della generazione precedente. Chiedi un testo a uno, devi passar da 5 manager e poi non si fanno trovare». Non sarà mica come Bongusto, che dice che i cantautori han fatto soltanto fumo ideologico? «No, non dico questo. Da Battisti a Dalla, da Venditti a Baglioni hanno scritto canzoni bellissime. Dico però che noi, quelli della mia generazione, gli abbiamo aperto la strada, abbiamo chiuso l'epoca della luna e del cuore che fa rima con amore, cantato il rock. Ma per loro è come se non esistessimo. Noi trattavamo con molto più affetto e rispetto i Latilla e le Pizzi che ci hanno preceduti. 1 cantautori sono un po', come dire, dei montati. Negativi sul piano affettivo. Riconosco però che da quando sono arrivati loro, il livello artistico ò cambiato da cosi a così». Un De André o un Guccini «montati»? Non ha senso, sono persone alla mano... «Questi due non li conosco. Io so solo che nel '91 sono andato a cantare ad Ascoli Satriano e ho trovato il sindaco terrorizzato; "Sarà mica anche lei come Barbarossa?" mi ha chiesto. Era successo che il palco era 16,50 metri invece dei 17 richiesti, e la sera prima di me Barbarossa e la sua band se n'erano andati per questo. La differenza è che noi cantiamo comunque. Loro però hanno dato dignità al business musicale, ora anche il paesino più sperduto ha un palco di 12 metri: in questo, ammiro i cantautori. Però, non socializzano, ti fanno il salutino del parente povero e scappano. E' come se dicessero: voi di qua, noi di là». Chiudiamo il Cahier de doléances? «Non ancora: i cantautori avranno fatto belle canzoni, ma non credano di essere Wagner o Beethoven. Abbiamo dovuto veder spuntare Fiorello, per trovare qualcuno che sapesse far spettacolo. Fiorello balla, canta, ride. Come Elvis. Invece i nostri cantautori sono i più tristi del mondo. Non Jovanotti però. Né Renato Zero e Vasco. Ha visto Vasco? Porta il cinturone con le borchie, come facevo io. Gli altri danno belle canzoni: ma, per favore, non parliamo di spettacolo. Elvis aveva 40 elementi di orchestra, 16 coristi, accoppiava l'imponenza della struttura a quella della persona, si vestiva di bianco: e nel mondo sono rimasti 5 mila suoi imitatori. Lui sì, è stato il primo e l'unico». Marinella Venegoni Parla il cantante, impegnato quest'estate in un fittissimo tour. «Devo molto alla tv. Chi non fa tv è meglio che smetta»