L'altra faccia di Valéry

Società' e Cultura la memoria. A cinquant'anni dalla morte, Séte celebra il suo grande poeta L'altra faccia di Valéry Critico malpasato, innamorato dell'arte ESETE AUL Valéry non è quello che credete di conoscere. Non è solo un «immortale» che porta per l'eternità il fardello di funerali nazionali decisi dal Generale de Gaulle. Non è solo lo scrittore ufficiale, araldo della Terza Repubblica. Non è solo il cantore di Mallarmé, fedele al punto da rifiutarsi, il giorno del suo ingresso 'all'Académie Frane, aise, di pronunciare il nome del suo predecessore, Anatole France: colui che aveva maltrattato i versi di Mallarmé, quarant'anni prima... Paul Valéry è di Séte, un uomo quasi incomprensibile per chi non abbia passeggiato lungo le banchine del piccolo porto, lungo i canali e, naturalmente, nei vialetti del cimitero marino. Capace di entusiasmi duraturi, e di odi profondi, capace, come si dice laggiù, di spalancare le braccia ma senza mai richiuderle in una stretta che rischierebbe d'incitare il visitatore a fermarsi. Trascorse a Séte solo i suoi primi tredici anni? Dite poco. La sua vita è fissata «a qualcuno di quegli anelli di ferro che sono sigillati nella pietra della sua banchina». Montpellier, che lo vide affermarsi, Parigi, dove maturò, ebbero la loro importanza. Ma l'impressione fu minore. Una famiglia mediterranea E' questo che vuol mettere in luce l'esposizione biografica consacrata dalla Médiathèque di Séte al «suo poeta». Una buona introduzione a due manifestazioni organizzate in città per il cinquantenario della morte di Valéry. A condizione di non lasciarsi respingere da una scenografia di dubbio gusto, si scopriranno i ricordi in immagini e testi di una famiglia mediterranea: un padre còrso, funzionario delle dogane, una mamma milanese. Così pure, sono evocati i luoghi in cui, a Montpellier, si formava un giovane uomo. Sfilano gli amici: André Gide e Pierre Louys; e i maestri: Huysmans, Poe, Rimbaud, Wagner e Mallarmé. Mallarmé soprattutto, nei confronti della cui opera egli dovrà definirsi. Senza dimenticare Genova dove, in una notte di bufera, una delusione sentimentale gli provocò una crisi spirituale: «Avevo vent'anni, scrisse, e credevo alla potenza del pensiero». Al punto di buttarla giù tutta intera su carta: chilometri di note svariate, schizzi, disegni a inchiostro e acquarelli riempiono le migliaia di pagine dei Quaderni. Il Cnrs ebbe bisogno di 29 grossi volumi per riuscire a pubblicarli quasi per intero. Valéry accorda loro più importanza che alla parte pubblicata della sua opera. Li redige il mattino presto, per cinquantanni, senza specifica intenzione di renderli un giorno pubblici. Non si tratta di un diario. Solo di un impegno quotidiano, uno spazio di libertà che riposa Valéry dai lavori commissionati cui è condannato. Ad esempio la sua attività come critico d'arte, molto malpagata, a quel che pare: una lettera spedita da Londra al fratello Jules lo ringrazia dei sussidi inviati. E rende conto anche del suo metodo di lavoro a proposito di un articolo su Houdon commissionato dall'Art Journal: «Grana ricevuta. Ho finito il mio Houdon, bella roba! L'ho fatto tutto d'un fiato, diversamente non l'avrei mai fatto». In realtà l'arte lo occupa ben al di là di quello che si conosce solitamente (e cioè soprattutto l'assai notevole Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci, pubblicato all'età in cui altri tergi¬ versano ancora nei loro studi umanistici). Ed è questo che tenta di dimostrare la seconda esposizione, che il museo consacra a «Paul Valéry e le arti». Gustosa passeggiata, che alcuni prestiti eccezionali rendono ancora più densa, attraverso alcune opere principali. Venute dal Musée Fabre di Montpellier, dove Valéry provò i suoi primi turbamenti davanti ai seni della Sant'Agata di Zurbaràn; dal Louvre, come il Corot che gli servì come pretesto per denunciare l'onnipresenza del paesaggio e dell'impressione a scapito della composizione; o come il Veronese che ricorda la passione di Valéry per la pittura dei suoi lontani avi italiani; e dal Musée d'Orsay, come il Daumier (che egli non esitava a paragonare a Michelangelo e a Rembrandt). Il gusto classico Questa tela, Crispin et Scapin, era - come altre opere qui esposte - di proprietà di Henry Rouart. Rouart accumulava le funzioni come i quadri: pittore (allievo di Corot e di Millet), ingegnere, industriale, mecenate e soprattutto collezionista. Ed è questo un grande successo dell'esposizione: riformare un frammento della collezione (dispersa dal 1912) in cui grazie a Eugène Rouart, figlio di Henry, Paul Valéry potè scoprire settori interi dell'arte del XIX secolo allora inaccessibili. Rouart era amico di Degas e gli presentò Valéry, che ne era affascinato già prima di conoscerlo: «Mi ero fatto di Degas l'idea di un personaggio ridotto al rigore di un duro disegno, uno spartano, uno stoico, un giansenista artista... La serata con il signor Teste è stata in parte influenzata da un certo Degas che io mi ero immaginato». In questo ambiente brillante, Valéry incontra Jeanne Gobillard, nipote della pittrice impressionista Berthe Morisot, cugina di Julie Manet. La sposa. Nonostante la sua ammirazione dichiarata per gli impressionisti, le loro opere lo lasciano insoddisfatto. In materia d'arte, Valéry ha il gusto classico. Lo s'intuisce constatando come trascuri quasi completamente i movimenti che fanno il secolo, fauvismo e cubismo. Lo conferma lui stesso redigendo, nel 1921, il preambolo del primo numero della rivista Architecture, creata da Gaston Gallimard per promuovere «le qualità di chiarezza, ordine, armonia» che la Compagnie des Arts Francais riteneva specifiche dello spirito nazionale. Vi è contenuta l'origine del dialogo che darà Eupalinos o dell'architettura. Un'architettura più modernista che realmente moderna, la cui nascita sarebbe da cercare nel canto di Orfeo. E' il tema, questo, di Amphion, un'operaballetto di cui scrive il libretto nel 1931 e che sarà musicata da Arthur Honegger. Amphion sostituisce l'ordine al caos e costruisce la città. Ma sarebbe sbagliato fare di Valéry un semplice partigiano del «ritorno all'ordine» delineatosi negli anni tra le due guerre. Prova ne sia il suo gusto per la fotografia, che ha ai suoi occhi l'immenso merito di provocare «una sorta di evocazione progressiva della parola tramite l'immagine». Scrive la prefazione ai meravigliosi clichés di Frangois Rollar, s'interessa al tema di Narciso trattato dalle foto di Laure Albin-Guillot. Ferma restando, per tutta la vita, la fascinazione nei confronti di quel tuttofare che fu Leonardo da Vinci. Harry Bellet Copyright «Le Monde» e per l'Italia «La Stampa» Discepolo fedele di Mallarmé e (involontariamente) araldo della Terza Repubblica Nell'enorme mole dei «Quaderni» la sua ricerca di vera libertà Amici e maestri di Paul Veléry. Qui accanto, Arthur Rìmbaud; sopra, André Gide; in alto, Stéphane Mallarmé di cui il poeta fu cantore fedele Paul Valéry, nato nel 1871 e morto nel 1945. La sua città, Séte gli dedica una mostra per ricordare i SO anni della sua scomparsa

Luoghi citati: Genova, Italia, Londra, Parigi, Sant'agata