«C'è una seconda pista» di Giovanni Bianconi

«C'è una seconda pista» «C'è una seconda pista» Indagini su altre quattro persone I MISTERI DELL'INCHIESTA F: ROMA U una telefonata intercettata sull'apparecchio del figlio del maresciallo di polizia Salvatore Aversa a far entrare nelle indagini per quel duplice omicidio del gennaio '92 Rosetta Cerminara, la giovane donna prima premiata con una medaglia al valor civile e ora bollata come una bugiarda che ha mentito forse per interessi economici. Una telefonata nella quale una ragazza ancora senza nome, che già in precedenza aveva chiamato il figlio del maresciallo per esprimergli solidarietà, rivelò di lavorare in un certo ufficio di Lamezia Terme. La polizia decise di andare a fondo, perché quella ragazza mostrava di conoscere alcuni fatti relativi all'omicidio; gli investigatori si presentarono in quell'ufficio, identificarono Rosetta Cerminara e l'accompagnarono in questura per interrogarla. Fu allora che la «super-testimone» entrò nell'indagine, scovata dalla polizia senza che lei si presentasse spontaneamente, né sapesse che il telefono al quale chiamava era sotto controllo. Un coinvolgimento che ora fa pensare, visto che secondo i giudici d'appello la Cerminara avrebbe deciso di accusare il suo ex fidanzato (Molinari) e l'altro imputato (Rizzardi) nella «prospettiva di benefici economici». Difficile conciliare questa ipotesi con il modo in cui la testimone fu trovata. E difficile conciliarla anche con un'altra circostanza, che adesso viene ricordata in quegli ambienti investigativi finiti anch'essi sotto accusa nella sentenza d'appello: nel gennaio del '92, quando Aversa e sua moglie furono uccisi e la ragazza cominciò le sue deposizioni, non si parlava ancora così diffusamente - come invece accade dalla metà del '92, dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio, i provvedimenti antimafia e l'inizio della nuova stagione del «pentitismo» - di benefici economici e assistenza per collaboratori di giustizia e testimoni dei delitti di mafia. Chi all'epoca ebbe a che fare con la giovane «super-testimone» ricorda una ragazza un po' svagata, ben inserita in un ambiente come quello di Lamezia dove per i giovani c'è ben poco oltre ai pub-paninerie con le luci al neon, che non si rendeva minimamente conto - mentre cominciava a parlare - di quello a cui andavano incontro, lei e la sua famiglia. E oggi esclude categoricamente che Rosetta abbia parlato per soldi. E' vero che poi un contenzioso tra i Cerminara e il Servizio di protezione ci fu, nel senso che i familiari della ragazza furono sradicati dalla loro città, dove avevano delle attività economiche che dovettero abbandonare; chiesero di essere risarciti e sostenuti, ma avvenne tutto dopo che la ragazza aveva indicato quei due giovani come i killer dei coniugi Aversa. Rosetta fu una testimone «difficile», perché - ricordano sempre gli investigatori - le sue dichiarazioni necessitavano di riscontri e non era facile trovarne. Qualcosa venne fuori, come la «compatibilità» dei due accusati con l'area criminale che aveva interesse ad uccidere il maresciallo di polizia, la versione di alcuni fatti data dai due imputati smentita da altri testimoni, altri elementi «di contorno» che potevano conciliarsi con la ricostruizione fornita dalla ragazza. Al punto che, prima della clamorosa motivazione diffusa ieri, una Procura della Repubblica, un giudice per le indagini preliminari, un tribunale della li¬ bertà e una corte d'assise hanno preso per buone le accuse della Cerminara e le indagini della polizia. Eppure i giudici d'appello sembrano quasi spietati quando denunciano il «teorema Cerminara», l'«obiettivo di renderlo incontrollabile», l'«accreditamento ad oltranza della teste». Considerazioni durissime, che sfuggono perfino alla normale diversità di letture e di decisioni che può esserci in un processo indiziario com'era certamente quello contro i due giovani accusati da Rosetta. L'avvocato di parte civile Luigi Ligotti, che assiste la famiglia Aversa, commenta: «Tecnicamente, una sentenza di assoluzione poteva anche starci, pur avendo noi chiesto la condanna degli imputati. Quello per cui non mi sembra ci sia proprio spazio sono queste considerazioni che, se vere, non solo giungono inaspettate, ma secondo me non trovano alcuna giustificazione da quanto è venuto fuori nell'inchiesta e nel dibattimento. E' come se avessimo assistito ad un altro processo». L'avvocato ricorda quanto accadde la primavera scorsa, con il processo contro Molinaro e Rizzardi già in dirittura d'arrivo. Dalla procura della Repubblica arrivò la comunicazione che altre indagini sull'assassinio del poliziotto e di sua moglie erano in corso, e stavano coinvolgendo altre quattro persone, diverse dagli imputati. Qualche risultato veniva promesso per la fine di maggio, Ligotti chiese la sospensione del dibattimento, il presidente della Corte disse che non era possibile. A quel punto gli Aversa decisero di ritirarsi dal processo - «noi vogliamo la condanna degli assassini, non di imputati qualsiasi», dissero -, ma il presidente chiese loro di non farlo, di continuare a «fare il processo, anche nelle virgole». L'avvocato il processo lo fece, come lo fece la pubblica accusa, ma arrivò l'assoluzione. Della nuova pista investigativa non s'è saputo più niente, ma nel frattempo sulla medaglia al valor civile Rosetta Cerminara s'è abbattuto il discredito di una sentenza. E i figli del maresciallo Aversa e di sua moglie, sconcertati, tornano a meditare di abbandonare le aule di giustizia. Giovanni Bianconi Ma gli investigatori «Motivi economici? Non fu la ragazza a chiedere di parlare» A sinistra Salvatore Aversa. A destra, l'ex presidente Cossiga durante i funerali

Luoghi citati: Capaci, Lamezia Terme, Roma