Casa, fantasia medievale

l'antichissima civiltà indiana I Così i francesi hanno bocciato illuministi e utopisti: uno studio sull'abitazione ideale dal '200 a oggi Così i francesi hanno bocciato illuministi e utopisti: uno studio sull'abitazione ideale dal '200 a oggi Casa, fantasia medievale Un millennio all'insegna del «pavillon» mi parigi ili UTTE 1 storie, I quelle I che si raccontano in giro per il mondo sulla primordiale e secolare trasgressività del popolo di Rabelais. Le fantasie più sfrenate dei francesi, cifre alla mano, sono al contrario riservate oggi come nella notte dei tempi al luogo tradizionale e familiare per eccellenza: la casa di proprietà. Da che esiste memoria letteraria dei fatti umani, si trova conferma di ciò nei testi. Nulla è cambiato alla fine del secondo millennio; e oggi l'82 per cento dei francesi confessa che in cima ai suoi sogni c'è «una casa come non l'ha nessun altro», il giardinetto da coltivarsi in proprio che sia più bello di quello del vicino. Lucien Maillard e Christian Louis-Veictor - sociologi letterati hanno deciso di raccontare la storia di questa intramontabile passione. La maison des francais (edito da Clv Développement, collezione Habitat et Société) ripercorre attraverso documenti e monumenti, pagine e pietre, le modulazioni attraverso i secoli del desiderio della casa, da quelle ideali immaginate «diverse» dagli utopisti a quelle odierne ed eccentriche di clù fugge la città in odio agli edifici massificanti. Certo, in un passato non lontano, negli anni caldi della contestazione studentesca, non era concepibile per un giovane sotto i 25 anni apprezzare l'idea della casa fuori cintura. Per una stagione, venne relegata a simbolo del gretto arrivismo borghese, venne sostituita dall'utopia dei grandi insiemi, delle cosiddette città-satellite, quelle che fiorirono in pochi anni nelle banlieues delle città, fatte di costruzioni tutte nello stesso stile con un tocco caratterizzante per ognuna: nella cintura parigina, un esempio msuperato è quello di Cercy-Pontoise, le cui «cifre» stilistiche sono le orri- bili finestre a goccia e il color rosa delle pareti con nubi variopinte Ma se è vero che un architetti) passatista come Viollet-le-Duc nel secondo Ottocento presentava alle Esposizioni Universali i suoi modelli di «pavillon» per una clientela agiata che scopriva i piaceri dell'aria pura nei tronipe-ì'oeil dei falsi manieri Rinascimento, è vero anche che il modernista Le Corbusier neppure settant'anni dopo e partendo da ideologia del tutto opposta denunciò la bruttezza inaccettabile della banlieue, «cloaca dell'incuria politica, dominio dei poveri diseredati che si sballottano tra i vortici di una vita senza disciplina». Le Corbusier prospettava la città radiosa, in cui la casa fosse la più perfetta delle «macchine da abitare», non certo il ritorno al vecchio e borghese «esprit pavillonaire» (cosi Maillar e Louis-Veictor chiamano il rinato gusto dei francesi per la villa in provincia). Ma nessuno è profeta in patria ed ecco che oggi, superata anche la postmodernità, oggi che la banlieue è più che mai cloaca dell'emarginazione e dell'esclusione, proprio quello spirito riemerge. Del resto anche un antropologo come Marc Auge, dopo aver dedicato studi ai popoli africani prima e allo spaesamento metropolitano poi, ha finito per scrivere un saggio su «Ville e tenute», riconoscendo prima di tutto in se stesso il bisogno di ritrovarsi appagalo dall'idea di casa. Nella notte dei tempi, cioè nel Medioevo, tredicesimo secolo, Parigi contava 200 mila abitanti. Si estendeva allora su 250 ettari di terreno, ogni casa possedeva il suo piccolo orto, il giardinetto, il granaio e spesso il porcile. Era la norma per il paysan medio. Il duca di Berry si fece costruire poco fuori città, a Bicètre, il castello che passò alla storia grazie al celeberrimo libro delle Bieche Ore come l'arche¬ tipo del palazzo medievale. Oggi che Parigi conta con la cintura una decina eli milioni di abitanti, gli estremi della fantasia continuano a essere quelli: la villetta modesta purché sia unifamiliare e con tutte le comodità che assicurino un massimo di autonomia; e la dimora nobiliare che isoli nel tempo e nello spazio. Tra un polo e l'altro dal Medioevo a oggi, è periodicamente riemerso il sogno delle abitazioni comunitarie, affratellanti e democratiche. Ma per soccombere ogni volta, in nome del bello e del singolare. Agli avi dei quartieri residenziali immaginati da Thomas More per la sua città idealo, il saggio e francese Michel de Montaigne rispose con la «torre-biblioteca», la migliore delle case per vivere tranquillo, pensare e studiare: tre piani, il più alto riservato ai libri e a sé. I filosofi dei Lumi riformularono il progetto di un'abitazione per tutti, e l'accesso alla proprietà mdividuale venne inserita nella Dichia razione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Tra il 1760 e il 1788, la pre-Rivoluzione copri di costruzioni un terzo di Parigi, diecimila case nuove. Quanto all'esigenza del confort, c'era modo e modo di considerarla: Vivant Denon ad esempio la identificava negli specchi basculanti dei suoi tempietti d'amore, illustrati a perfezione dal libertino Fragonard. 'Inrnò Buffon a occuparsi - invece che di vizi privati - di virili collettiva. Il falansterio per i lavoratori delle forge di Montbard, raggruppamento di 17 abitazioni per altrettante famiglie di dipendenti, fu un esperimento riuscito. Poi riprodotto ma con ambizioni ben più vaste, da J.B.A. Godin, industriale e profeta del villaggio universale, Ma da Guy de Maupassant, che immortalo «il tondo di aiuola obbligatorio», alla casa-canile di Meudon di un selvaggio come Còline, i più grandi scrittori hanno dato prova di condividere «l'esprit pavillonaire» dei loro connazionali. Il Castello di Montecristo di Alexandre Dumas, a pochi chilometri da Parigi, con isoletta interna; il sogno ordinato di Zola, realizzato a Medan, alle spalle della strada ferrata, sicura dimora al riparo dalla «bestia umana»; le molteplici case di Colette sparse ai quattro angoli della Francia affastellate delle più incredibili chincaglierie... gli esempi non mancano. Dal feticismo del frigorifero all'attrazione per la formica, nella Maison des franqais c'è di tutto. Anche la mania delle targhe commemorative nobilitanti: cosi esagerata che, a Parigi, Molière risulta essere nato in due case diverse, e a due anni di distanza. Gabriella Bosco Dimora «esclusiva», intramontabile passione borghese La «torre» di Montaigne sconfigge Le Corbusier, il castello di Dumas cancella tutti i sogni dei falansteri La cucina di George Sand. I francesi preferiscono la casa autonoma e un giardino da coltivare

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