PARIGI II transatlantico del'900

PARIGI gli hotel letterari. Lutétia: fra nazisti, partigiani e vip della cultura PARIGI II transatlantico del '900 PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Ormeggiato nel cuore di SaintGermain come un pigro transatlantico d'antan, la poppa che fende boulevard Raspail e uno sfavillio notturno di luci che di terrazza in abbaino, slalomando fra le bandiere e i fregi enoici della facciata, s'inerpica fino al settimo piano, l'Hotel Lutétia ammicca dal 1910 alla Storia. Curioso destino per un albergo che, in origine, doveva ospitare non il destino del mondo bensì la ricca clientela di provincia scesa a Parigi per spendere & spandere nel limitrofo grande magazzino «Au Bon Marche». Quello immortalato da Zola. Ebbene no. Ironia della sorte, al Lutétia approderanno i Willy Brandt, i Max Horkheimer, gli Heinrich Mann, gli Ernst Toller, i Walter Ulbricht. Quasi che il Vascello Immobile fosse attraccato sulla Sprea. Tedeschi. Al «Bon Marche» - la famiglia Boicicault, proprietaria di entrambi gli stabili, li perdoni avranno rivolto, al massimo, uno sguardo distratto. Il loro obiettivo non era lo shopping ma abbattere il nazismo. Con la parziale benedizione di Stalin, fino al '39 il volenteroso «Comité Lutétia» alternò intrighi (le pressioni cominterniste arrivavano - guarda caso - da un altro grand hotel, il mitico Lux) e vibranti appelli. Lo sfrattò l'invasione hitleriana. Mentre gli esuli ancora s'ingegnavano a studiare il modo per liberare la Germania, Berlino sbarcava armi e bagagli al 45 di boulevard Raspail. Il tempo di rifare la camera et voilà: «Stanza 106, si accomodi Herr General». A dire il vero era un ammiraglio, Canaris. Lo stesso che negli Anni Venti aveva aiutato a fuggire gli assassini di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht. Responsabile del controspionaggio per il III Reich, installò nell'albergo i suoi uffici. Dai nomi talora surreali. Come il «Bureau Demoralizzazione». Un certo Ernst Jùnger prese a bazzicare saloni e corridoi del veliero che aveva ammainato il tricolore per issare la svastica. Imbattendosi nei vip dell'Occupazione e, talora, illustri collaborazionisti. Ma anche l'era dei Celine volgeva al termine. Il Lutétia, isola tedesca sulla Senna che una miracolosa extraterritorialità dal '35 annetteva alla Germania in chiave antinazista prima, hitleriana poi - si adeguò alla Parigi liberata. Ma ritrovandosi, come in una sintesi hegeliana, per la terza (e ultima) volta alle prese con il fantasma del Reich. Dopo resistenti e gerarchi, avrebbe infatti accolto come una provvida nave-ospedale gli scampati dei Lager. Spesso varcarano ancora in casacca a strisce i fastosi saloni ove i loro aguzzini erano di casa sino a qualche settimana prima. Straordinaria parabola, quella di un albergo che si fa traversare da vittime e carnefici senz'altra cicatrice che una lieve patina ambigua sugli stucchi, i lampadari Lalique, il mobilio tuttora Art Déco. E il salone dove la Wehrmacht festeggiò nel luglio '41 l'attacco all'Unione Sovietica alberga non di rado, oggi, feste di nozze ebraiche. Proviamo a ridargli un'occhiata in questa torrida estate parigina. Il suo inconfessabile gemello «Au Bon Marche» è sempre lì, in faccia. E pratica tariffe che smentiscono il rassicurante appellativo. Anche il Lutétia non scherza. Un Tre Stelle dove la stanza meno cara oltrepassa le 300 mila e la suite più lussuosa i tre milioni giornalieri fa notizia. E l'ultimo inquilino illustre, tal Antonio Di Pietro, può darsi abbia fatto il raffronto con i prezzi a Montenero di Bisaccia. Trasalendo. In realtà, la bassa categoria è un escamotage fiscale: di stellette il Lutétia ne vale 5 per meriti storici, e almeno 4 secondo gli standard alberghieri correnti. Risulta, inoltre, l'unico albergo di classe sulla Rive Gauche. Che gli americani chiamano «Left Bank» come la Cisgiordania. E proprio di turisti e businessmen Usa traboccano la hall del Lutétia (un vero Jardin d'hiver, ampia serra dal tetto di vetro sul cui décor si è sbizzarrita Sonia Rykiel), il restaurant, la brasserie, le 264 camere e 27 suites (inclusa la Nuziale), i corridoi curvi moquettati, gli angoli per le soirée jazz, nonché il bar dove Gilles ogni mercoledì li invita a «creare» i loro cocktail. Ci si direbbe in crociera. E se qualcuno chiede al direttore-capitano la rotta, si sentirà rispondere che l'Hotel Lutétia incrocia a 48° 50' 58" longitudine Nord. Segue latitudine. Per quelli che non vogliono saperne di tedeschi, o a cui i souvenir resistenzial-nazisteggianti causano una leggera inappetenza (deleteria: la cucina maison è ottima), il maitre saprà decantare altre glorie meno imbarazzanti. Per esempio Henri Matisse, Josephine Baker, James e Nora Joyce (che vi si trasferirono facendosi aiutare, nel trasloco, da Samuel Beckett), Salinger, Diaghilev, Cocteau, Breton, Picasso, Milhaud, Poulenc. Aggiungiamo che un ventottenne Charles de Gaulle appena rientrato dalla Polonia (era il 1920) vi trascorse la prima notte di nozze. Conservandone - si direbbe - un buon ricordo giacché da allora scelse il Lutétia come buen retiro per i soggiorni sporadici nella capitale. E la guerra lo sorprese proprio fra le dorature del nostro piroscafo arenato. Scappò via in un baleno, dimenticando in stanza gli effetti personali. Che reclamerà cinque anni più tardi. Ottenendoli: lo spazzolino del General era meticolosamente conservato in cantina. Ma la carrellata di uomini e donne illustri non finisce qui. Francis Ford Coppola, Paco Rabanne, Kenzo, Francpise Sagan (vi trascorse due anni)... sono di casa. E Catherine Deneuve è un'habituée. «Oh, really?», mormorano eccitate le abbienti ospiti d'oltreo¬ ceano cui il nome dell'ammiraglio Canaris e del suo regno - il temibile Abwehr - non trasmette brividi particolari. E l'hotel stesso insiste più volentieri sulle celebrità artistico-letterarie dello show-business che sugli oscuri Anni Trenta e Quaranta (peraltro mirabilmente ricostruiti da una monografia del tedesco Willi Jasper, Hotel Lutétia. Un exil allemand à Paris, Editions Michalon). Possiamo dargli torto? Il Ritz reclamizza forse la conferenza sulla Soluzione Finale che vi tenne Heydrich? Preferisce rievocare Hemingway. E il Meurice la presenza del generale von Choltitz (cui tradizione cinematografica vuole che Hitler abbia chiesto: «Allora, Parigi brucia?» nel tardo agosto '44)? No. Bisogna dunque essere comprensivi verso il Lutétia. Tanto più che, apprendiamo, pur accogliendo l'Abwehr trescava con i maquisards e Radio Londra. In nome della Resistenza (enologica), i sommelier nascondevano ai tedeschi i cru migliori. Patriottismo lodevole, ma non troppo rischioso. Ben altra cosa il nascondere prigionieri di guerra in cantina. Accadde. Gli 007 del nazitransatlantico si ritrovavano insomma beffardamente la stiva zeppa di clandestini. Non li scoprirono mai. Al Lutétia si credevano «chez soi». E non tardarono a scoprire i vantaggi della cuisine frangaise sul rancio teutonico. Come Annibale a Capua, sulle prime fecero resistenza esigendo le loro brave kartoffeln. Salvo scoprire che il foie gras era meglio degli knodel e il cognac batteva lo schnaps. Dopo sei mesi, i «barbari» ufficiali della Pomerania e del Meklenburgo erano dunque rotti alle mollezze parigine come i più fini gourmet locali. Il Lutétia - è il caso di dirlo - li cucinò a dovere. Ma incalzava l'ora dell'addio. E i tedeschi se ne andarono da portoghesi. Alla chetichella e, beninteso, senza pagare il conto. Avrebbero avuto l'intero inverno '44-'45 per rimpiangerlo. Nel frattempo, il vascello fantasma era caduto nelle mani di Pierre Taittinger. Un celeberrimo produttore di champagne era l'ideale per rifornire una cave esausta malgrado l'eroismo antiteutonico dei cantinieri. Ma Taittinger non era solo il nuovo «patron». Come sempre nelle vicende del Lutétia, la Storia gioca a nascondino con il dio Commercio, stuzzicandolo a dovere. Come il suo albergo, il neoproprietario poteva vantare una doppia identità. C'è il Taittinger decano del Consiglio comunale che riesce a ottenere dall'Occupante la promessa di non trasformare Parigi in Varsavia, abbandonandola, e intesse profondi legami con la «France Libre» sino a rischiare d'essere ucciso dalla Gestapo. E c'è il Taittinger che, dopo avere nell'anteguerra finanziato la Destra autoritaria e ultranazionalista, passerà qualche settimana in galera (compagni di carcere, Brasillach e Sacha Guitry) con l'accusa - poi non concretizzatasi - di collaborazionismo. Personaggio fascinoso. Bello e inquietante come il Lutétia. E di cui il gruppo Taittinger - tuttora in possesso di questo e altri prestigiosi alberghi come il Crillon - prolunga i talenti di amministratore e mecenate. Della Germania rimangono poche, o nessuna traccia. Se la Chiesa Americana di Parigi, sul Quai d'Orsay, esibisce un'assai curiosa (e pagana) reliquia definita «pietra della casa in cui nacquero i genitori di George Washington», il Lutétia glissa sui famosi inquilini germanici succedutisi dal'35 al '44 - quasi che grazie al loro antagonismo politico si elidessero a vicenda per limitarsi a ricordare, su una lapide esterna, il passaggio dei superstiti dei campi di sterminio. Nessun «Albert Ulbricht visse qui». Eppure proprio al Lutétia il cofondatore del pc tedesco, nonché futuro presidente della Ddr e tra i padri del Muro di Berlino, si temprò nell'esilio. E lo stesso vale per i suoi esimi compagni di strada, occasionali o no, in terra francese. A ripercorrere, con Jasper, le cronache del Comité Lutétia, ritroviamo giorno per giorno l'universo struggente e un poco irreale degli esuli. Gli entusiasmi spesso velleitari, la cultura del sospetto (l'Abwehr provala, invano, a infiltrare la cellula), i tic, le speranze, i sanguinosi conflitti interni. La Guerra di Spagna provocò clamorose rotture - i comunisti accusarono la tendenza socialdemocratica di proteggere la Quinta Colouna trockista in Catalogna - consumate dietro le spesse tende dell'ospitale naviglio. E la crisi del Front Populaire in Francia sabotò, dall'interno, le chanche dei rifugiati. Per loro il Lutétia fu un approdo tormentoso, ma retrospettivamente idilliaco se pensiamo alle Tempeste d'Acciaio (per citare il pariginizzato Jùnger) che l'imminente guerra avrebbe riversato sull'Europa intera. Ne uscirono diversi. Non il Lutétia, liftatosi negli /inni Ottanta proprio per non cambiar pelle. L'albergo nel senso moderno del termine c'informano gli storici - nacque proprio a Parigi. Era il 1650. E da allora, come sa ogni portiere di rango, fa dell'imperturbabilità la regola di sopravvivenza Numero Uno. In fondo, l'Hotel Lutétia si è solo limitato a spingere sino al virtuosismo quest'aurea regola. Si chiama come Parigi, la Parigi eterna di Giulio Cesare. Quale viatico migliore per navigare tra mine e siluri nei mari tempestosi del Novecento? Enrico Benedetto .M , i * JO t V- /■' </» .V w$ lÉtlÈ&ifct» pgmeno imbarazzanti. Per esempio Henri Matisse, Josephine Baker, James e Nora Joyce (che vi si trasferirono facendosi aiutare, nel trasloco, da Samuel Beckett), Salinger, Diaghilev, Cocteau, Breton, Picasso, Milhaud, Poulenc. Aggiungiamo che un ventottenne Charles de Gaulle appena rientrato dalla Polonia (era il 1920) vi trascorse la prima notte di nozze. Conservandone - si direbbe - un buon ricordo giacché da allora scelse il Lutétia come buen retiro per i soggiorni sporadici nella capitale. E la guerra lo / sommelier nascondevano agli occupanti i «crus» migliori pmeticolosamente conservato in cantina. Ma la carrellata di uomini e donne illustri non finisce qui. Francis Ford siness che sugli oscuri Anni Trenta e Quaranta (peraltro mirabilmente ricostruiti da una monografia tardarono a scoprire i vantaggi della cuisine frangaise sul rancio teutonico. Come Annibale a Capua, sulle prime fecero resistenza esigendo le loro brave kartoffeln. Salvo scoprire che il foie gras era meglio degli knodel e il cognac batteva lo schnaps. Dopo sei mesi, i «barbari» ufficiali della Pomerania e del Meklenburgo erano dunque rotti alle mollezze parigine come i più fini gourmet locali. Il Lutétia - è il caso di dirlo - li cucinò a dovere. Ma incalzava l'ora dell'addio. E i tedeschi se ne andarono da portoghesi. Alla E De Gaulle passò qui la prima notte di nozze Un'isola tedesca sulla Senna: da Jiinger e l'ammiraglio Canaris a Horkheimer, Ulbricht e Brandt L'Hotel Lutétia, oggi. A sinistra la festa d'inaugurazione nel 1910. Sopra due ospiti illustri: Ernst Jùnger e Paolo Picasso Josephine Baker. Sotto l'ammiraglio Canaris, responsabile del controspionaggio per il III Reich, che installò al Lutétia i suoi uffici / sommelier nascondevano agli occupanti i «crus» migliori E De Gaulle passò qui la prima notte di nozze