«Pena di morte per quelli conte me» di Cesare Martinetti

«Pena di morte per quelli conte me» «Pena di morte per quelli conte me» «I violentatori? Mostri che mi fanno tutti schifo» RECIDIVO DEL SESSO VIOLENTO LO stupratore abita in una casetta piccolo borghese, in un posto qualunque della semiperiferia di una grande città come Milano. Si suona al citofono e lui risponde, dice «terzo piano», si sale e lui apre la porta, camicia slacciata, pantaloni corti, sigaretta accesa. Il mostro? Visto così, un uomo in ciabatte. Sta dando il bianco alla casa, approfittando delle ferie e di una «provvisoria» libertà dal carcere dov'è stato già per tre anni e dove dovrà tornarci per altri cinque. Condanna confermata in appello, difficile che la Cassazione faccia sconti. D'altra parte è reo confesso. Eppure sembra un vicino di casa qualunque. Ha anche una mamma che scivola silenziosa sulla cera delle altre stanze. Il problema è che questo figlio non è proprio un ragazzo; ha superato i 30 da un bel po', non ha mai avuto guai con la giustizia; aveva un lavoro, aveva - dice lui - tante donne quante voleva. «Non mi guardi come sono adesso - spiega per convincere - allora ero un figu- rino». Ma un certo giorno si è scoperto stupratore. L'ha fatto tre volte, quasi a ripetizione. Dice che la colpa è tutta di una sua amica, «quella puttana», che lui pensava di non far niente di male. Dicono tutti così. Era un gioco, un qualcosa che non sa ancora spiegare bene nemmeno adesso: «Ho cercato a lungo di capire come sia stato possibile. Ma la vita è complicata, le situazioni delle persone anche. Secondo me, se uno non è malato, quelle cose capitano in momenti particolari. E io, in quel momento, vivevo una situazione particolare, mi ero appe¬ na separato». Pentito? Pentitissimo: «Ho sbagliato, pago». Accanito lettore e spettatore di quest'estate di violenza: «Mi fanno schifo». Chi? «Tutti questi che fanno violenze, specie sui bambini. Sa cosa farei? Li ucciderei. Devono fare in fretta questa benedetta legge E credo che bisogna aumentare le pene per gli stupratori);. Sta parlando anche di se stesso? «Io, la mia condanna, l'ho presa. E non è leggera». Com'è stato in carcere? «Difficile. Quelli che hanno condanne per reati di violenze sessuali vengono te- nuti separati, non possono fare i giochi insieme con gli altri. Io per fortuna sono stato trattato in modo differente, perché capivano che ero un po' diverso. Io stesso stavo lontano da quelli lì». Parla per stereotipi e racconta come se fosse una cosa di altri. E invece bisognerebbe capire che cosa è successo davvero. Ma quel «momento» è difficile da far venir fuori: lo stupratore rimuove, giustifica, pasticcia, confonde, dice con chissà quanta sincerità - che il suo rimorso se lo vuole tenere dentro, per digerirlo e cancellarlo. Il racconto che ne viene fuori è un groviglio di contraddizioni, mezze bugie e mezze verità. Le donne, le vittime, non vi compaiono mai: corpi di reato e non persone, fantasmi di cui non vuol nemmeno sentire parlare. La cronaca racconta che lui e la sua amica (condannata a cinque anni) attiravano le ragazze in trappola con inserzioni sui giornali, poi facevano loro bere un elisir non d'amore e mentre lei guardava lui ci dava dentro. Dunque, ci spiega cosa scatta nella testa? Il silenzio è lungo, l'esitazione anche. «Ma io, intanto, non sono uno di quei maniaci che pedinano le donne per strada, io non ho mai avuto problemi di sesso o col sesso. Per esempio, mai andato a puttane». Sbruffone, aggiunge allusivo: «Anzi...». E sorride cercando complicità o ammirazione. «Io penso che quelli che aspettano le ragazze fuori dalle discoteche sono dei vigliacchi». E lui non era un vigliacco? «Il problema è che uno lo capisce dopo. Sì, è così io l'ho capito dopo. Mi sono lasciato trascinare». Ma allora, in quel momento, non si rendeva conto che stava trattando una persona come una cosa? Nessuna risposta. Ma sa di aver fatto male a quelle ragazze? «Sì, mi dispiace». Ha provato a chieder loro scusa? «No, per carità, non le voglio più nemmeno sentire nominare». Cancellare, dimenticare. Però non ci ha spiegato cosa succede in quel momento. «Gliel'ho detto, sono momenti speciali». Ma cosa succede? Prende tempo. «Guardi, io vorrei vedere, anche un giudice o un poliziotto, quando si trovano davanti una ragazza in certe posizioni, magari mentre fa vedere un po' le gambe... nessuno resiste». E' colpa delle donne? «Be', ho sentito l'altra sera quella del telefono rosa. Diceva che le donne oggi sono libere. Sì, va bene, ma bisogna anche sapersela gestire, la libertà. Viviamo in un mondo così cattivo». Pieno di stupratori... «C'è la cattiveria di chi vende la droga, che è una cosa schifosa e che io proprio non permetto. Ma le donne devono anche fare attenzione ad evitare certi posti. Una di quelle che ha subito violenze, ho letto che era andata in un boschetto buio, di notte. Ce uno se le va a cercare...». Colpa delle donne? Recupera l'espressione da viveur di barriera: «Le donne rovinano. Come si dice? Donne e motori, gioie e dolori. Ma loro ti rovinano, ti annientano, anche finanziariamente». Pensa di poterci ricascare? «No, ci tengo a dire che io non ero recidivo, nel senso che sono stato arrestato una sola volta. Adesso sono molto cambiato, come se si fosse spento qualcosa. Talvolta sento angoscia. Sono esperienze che maturano. Io prima ero uno ottuso, non mi importava niente di niente, non mi occupavo di problemi sociali. Ora sono diventato più sensibile. Mi sono iscritto all'associazione donatori di organi e quando vedo in tv i bambini della Bosnia, mi viene da piangere. Bisogna dare alla gente la possibilità di riscattarsi». Ma perché l'ha fatto? «Sono anni che me lo chiedo e ancora non me lo so spiegare». Ma sembra proprio una bugia. Cesare Martinetti «Ho aggredito tre ragazze, mi sentivo preso da un raptus» Un'immagine del film Sotto Accusa incentrato su uno stupro

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